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Bruno Vettore Bruno Vettore

Dal volume N° 27

Qualcosa è cambiato

Se pensi di potere o di non potere... hai ragione comunque. Pensa di potere e sarai capace di farlo”.
Questa frase è attribuita a Henry Ford, il quale si autodichiarava senza indugi “primo venditore” della sua azienda.
Il successo di questo illustre capitano di industria, unitamente alla convinzione in se stesso e nei propri mezzi che sprigiona più che evidente da queste parole, sottolinea un aspetto importante che troppo spesso invece tendiamo a dimenticare: l’importanza dell’ottimismo.


In più di trent’anni di lavoro, mi sono dovuto letteralmente addestrare all’ottimismo e forse la cosa mi condiziona in qualche modo... Eppure, aggirandomi per i negozi del centro di Milano, ho come l’impressione che ci sia aria nuova nei mercati – e non solamente per colpa della crisi: i clienti pongono nuove sfide; chiedono nuovi servizi; esprimono nuovi valori; sono mossi da desideri diversi. Soprattutto chiedono di essere coinvolti e di partecipare. In altre parole, rifuggono la noia per cercare il piacere, il divertimento e l’esperienza.
C’è forse un’aria nuova anche nelle vendite: si è passati dall’era della transazione, dove il dato di spicco era essenzialmente quello economico, all’era della relazione.
Sento infatti parlare sempre più di esperienza di vendita e di emozioni.
In questi nuovi scenari, servono venditori capaci di sviluppare nuove competenze: venditori-consulenti, che, oltre a promuovere prodotti e servizi, sappiano vendere idee, costruire relazioni e aggiungere valore. Venditori che sappiano interpretare il prodotto comprendendone sia le dimensioni cognitive che affettive.


Servono, però, soprattutto venditori ottimisti, cultori, nonostante tutto, della positività.
Ci sono venditori che sembrano impiegare tutte le energie per raggiungere l’infelicità nella vendita, ricorrendo a modelli di comportamento inadeguati alla soddisfazione del cliente; altri invece sanno perseguire l’obiettivo di vendita collaborando con il cliente e rendendolo felice e coinvolto in una esperienza “intrigante”.
Chi vende moda, ad esempio, vende identità, piacere, gioco, fascino, divertimento e creatività. Per venderla bene, è necessario collocarla in un’atmosfera di ottimismo e saperla valorizzare con il marketing relazionale e la cura del cliente.


Paiono ovvietà.
Forse lo sono anche.
Resta il fatto che, a oggi, circa il 52% degli italiani che lavorano ha a che fare con il pubblico: in altre parole sono tutti, a proprio modo, “venditori” – non lo dico io, lo dicono le stime di Confcommercio.
In questo grande 52%, io non vedo ottimismo.
Sforziamoci allora di scordare per un momento la grande eminenza grigia (la famigerata crisi) e pensiamo un attimo all’enorme balzo in avanti che la diffusione di una cultura dell’ottimismo nella vendita potrebbe realizzare.


Addestrarsi alla vendita è possibile; addestrarsi all’ottimismo è possibile. Il punto è volerlo fare e soprattutto scegliere di farlo, preparandosi, formandosi, cambiando direzione e investendo sulla risorsa più importante che abbiamo: noi stessi.
Nonostante la crisi, il futuro di noi venditori rimane nelle nostre mani.