Interviste


Valeria Tonella Valeria Tonella

Dal volume N° 72

Vaia Srl: le radici della (buona) impresa

 

UNA FILIERA VIRTUOSA, SOSTENIBILITÀ IN AZIONE:
LA BELLA STORIA DI VAIA, START-UP ITALIANA
CHE RIDÀ VITA AI BOSCHI (MA NON SOLO)


Avrete visto tutti le immagini: nella notte tra il 28 e il 29 ottobre del 2018, un violento uragano di dimensioni catastrofiche spazza via intere vallate nelle Dolomiti, 42 milioni circa gli alberi caduti. Un “cimitero a cielo aperto” distribuito tra Lombardia, Trentino e Veneto. Quasi 500 Comuni coinvolti e danni per 2,8 miliardi di euro. I prezzi dell’industria del legno nel Triveneto collassano. È crisi, crisi grande.


Proprio dentro questa crisi, nell’occhio del ciclone, qualcuno pianta un seme di ripresa.
“Vaia” è stata ribattezzata la “tempesta”; Vaia (Srl) è anche il nome che Federico Stefani, Paolo Milan e Giuseppe Addamo hanno scelto per la loro start-up, fondata un anno dopo la catastrofe (settembre 2019) a Borgo Valsugana, in provincia di Trento, non solo per dare una risposta immediata all’emergenza, ma anche per risvegliare la coscienza collettiva sui temi del cambiamento climatico e della tutela del territorio.


Quel natale compro il Vaia Cube, un amplificatore per smartphone prodotto con il legno caduto nella tempesta. Semplice, efficace: ogni pezzo è unico, e per realizzare il loro primo prodotto, Stefani, Milan e Addamo hanno coinvolto gli artigiani e i designer locali, in un processo circolare e virtuoso.


«A fine dicembre, abbiamo già recuperato l’investimento iniziale, e piantato 5 mila alberi. Poi Forbes ci include nella lista dei “100 giovani leader del futuro under 30”, fino a quando la domanda supera la produzione, e parlare di crescita sostenibile diventa un imperativo».

Me lo racconta, qualche giorno fa, Giuseppe Addamo, co-fondatore e responsabile Comunicazione. Ci “incontriamo” su Zoom una mattina di novembre: sono passati tre anni dalla tempesta. Capisco che Vaia, oggi, è soprattutto una “rete”:
•    di laboratori artigianali, che ancora collaborano;
•    di aziende, rivenditori, associazioni che sposano la causa;
•    di consumatori che, quando comprano, non sono solo clienti, diventano Vaiers, forieri del messaggio, partecipano alla community, piantano alberi;
•    di eventi, dai concerti alle piantumazioni, alle dirette su Facebook, per mettere il focus su sostenibilità e impresa, comunità e innovazione, design, legno e materiali del futuro. L’ultimo talk, il 29 ottobre di quest’anno, è “andato in onda” proprio in concomitanza con il G20 di Roma e alla vigilia della conferenza sul clima a Glasgow. «Non sono affari solo nostri, sono affari di tutti – ha detto quel giorno Federico Stefani – Non possiamo fermarci alla tempesta: obiettivi vincolanti e stringenti sono ormai necessari, soprattutto per le imprese».


Giuseppe, la vostra nascita, legata all’emergenza, è iconica, ma vorrei focalizzarmi sul vostro sviluppo: da tre fondatori a una squadra, oggi, di una quindicina di persone, solo nel “team” cuore di Vaia. Poi c’è tutta la rete che coopera con voi. Come ci siete riusciti?
Fin da subito il Cubo è piaciuto, le persone e le aziende hanno cominciato a seguirci. Quando è scoppiata la pandemia, parlavamo di “rinascita” a modo nostro: avevamo affrontato una tempesta, e capivamo la “tempesta” interiore di chi stava facendo i conti con il Covid. Le opere di piantumazione ci hanno dato legittimità: “per ogni Cubo, un albero”, e oggi siamo arrivati a 30 mila alberi nel Triveneto. La domanda ha superato la produzione, e ci siamo impegnati nel recupero del legno, sempre coinvolgendo i Vaiers e gli artigiani che ci danno fiducia. Alla base di tutto, c’è la volontà di crescere in modo sano e virtuoso.


Uno dei messaggi che diffondete è che la cooperazione è un punto di forza. Adesso dietro Vaia c’è una filiera: come avete comunicato con queste persone?
Il nostro mondo (quello delle start-up) e il mondo degli artigiani sono mondi con vocazioni molto diverse. È stato e continua a essere un bel momento di “incontro”: da una parte, c’è il “saper fare” degli artigiani, dall’altra la mentalità di noi Millennial. All’inizio, però, molti ci hanno chiuso la porta in faccia: “Faccio cucine, faccio mobili: cosa c’entro io con voi?” ci dicevano. A darci la spinta è stato il primo artigiano che ha voluto collaborare con noi per davvero, il maestro Giorgio Leornadelli. Siamo così riusciti ad aumentare il nostro potere negoziale: da tre ragazzi “sbarbatelli” siamo passati a essere una community, formata da boscaioli, segherie, gruppi locali.


Quindi avete parlato meno “aziendalese” e condiviso problemi e soluzioni concrete. Un messaggio che avete amplificato è “mettiamo le persone al centro del mercato in una circolarità intelligente” che abbia un impatto sociale positivo. Non solo “fatturato, fatturato, fatturato”. È davvero possibile, quindi, essere sostenibili anche da questo punto di vista?
Quando si fa impresa, bisogna prima considerare la sostenibilità economica, per mettere in atto una sostenibilità anche etica. La sostenibilità deve diventare una chiave di lettura per fare impresa. Fare impresa non è fare profitto, ma avere un impatto positivo, cambiare il paradigma: intervenire in un luogo, senza depauperare risorse, ma restituendole al territorio, reintegrandole nella natura, producendo oggetti, offrendo lavoro. Una buona impresa non toglie: dà. Vaia è piccola, siamo una goccia, ma pensa se anche le aziende più grandi mettessero in pratica questi principi…


Come possono altre PMI comunicare e condividere i loro messaggi, senza correre il rischio di essere autoreferenziali e “chiudersi a riccio”?
Il valore di una community per un’impresa è enorme. Noi non siamo partiti per creare un movimento di pensiero, abbiamo toccato delle “corde” su tema sentito.
Così la sostenibilità diventa azione. Oggi tutti parlano di sostenibilità: ne parla anche chi non dovrebbe: ma si può, anzi si deve, fare sostenibilità anche senza parlarne. Analizzare le conseguenze che hanno le nostre azioni, secondo delle logiche non solo di profitto: cosa vuol dire quello che faccio e che produco in termini di biodiversità, rispetto del suolo, sfruttamento di risorse?
Vero che un messaggio si amplifica quando è trasparente, genuino, e si capisce subito di cosa stiamo parlando. Questo aiuta.
Poi, come dicevo, serve una community, anche sui social: adesso siamo in 100 mila, tra Facebook, Instagram e iscritti alla newsletter. Non sono grandi numeri, ma la forza che ci danno in termini di energia è incredibile.
Non ci presentiamo come l’Azienda: anche sul sito mettiamo il viso delle persone che lavorano con noi. Ci mettiamo la faccia. Mettiamo al centro le persone, le coinvolgiamo.

Il titolo del vostro ultimo evento era “VaiaTalk: visioni per il futuro”. Cosa vedete nel vostro futuro?
Il Cubo ha già un erede: si chiama Vaia Focus, un amplificatore visivo per smartphone. Sfruttando una tecnologia antica di 200 anni, la lente di Fresnel, Vaia Focus ingrandisce lo schermo di qualsiasi telefono. Lo abbiamo presentato ufficialmente al Fuorisalone del Salone del mobile di Milano in settembre. Per ogni Vaia Focus venduto, salveremo un metro cubo del ghiacciaio trentino del Presena. Vogliamo continuare a mettere a fuoco ciò che conta davvero (riprendendo lo slogan di Vaia, Face What Matters, ndr). Il nostro obiettivo è valorizzare le materie prime provenienti dai luoghi colpiti da calamità naturali.