Case history


Alessandro  Zaltron Alessandro Zaltron

Dal volume N° 20

TE LO VENDO IO DEL PIERO!

LA STORIA DI SUCCESSO, I SEGRETI E I CONSIGLI DI CLAUDIO PASQUALIN, PIONIERE DEI PROCURATORI SPORTIVI ITALIANI. DA PINTURICCHIO A GATTUSO, DA VIALLI A GIOVINCO. «PER FIDELIZZARE I CALCIATORI, È UTILE INGRAZIARSI MOGLI E FIDANZATE»

INTERVISTA A CLAUDIO PASQUALIN

"Venduto!". Lo gridano i tifosi esasperati all’arbitro ritenuto colpevole di parteggiare per la squadra avversaria. La stessa accezione negativa del verbo vendere i tifosi non la applicano invece ai loro beniamini che vengono ripetutamente ceduti al miglior offerente. Già, il calcio è terreno fertile per la compravendita – quella legale ovviamente, escludendo partite vendute, scandali, calcioscommesse, doping. Non a caso si parla di “mercato”. Mercato del calcio, mercato di riparazione. È il regno della vendita.

Gli operatori di questo mercato sono le società e i calciatori, ma entrambi hanno dei rappresentanti, soggetti che in nome e per conto dei loro assistiti offrono, strappano, concludono contratti; stabiliscono royalty; fissano premi di risultato e sponsorizzazioni. Il protagonista di questo mercato è il procuratore, e uno dei principali procuratori italiani è senza dubbio Claudio Pasqualin, uno tosto che ha “venduto” giocatori come Del Piero, Gattuso, Vialli, Bierhoff, Dino Baggio, Vierchowod, Giovinco.

Quando è nata la passione per il calcio?

Da ragazzo ero un discreto giocatore, un terzino rude dell’Udinese. Ho anche giocato assieme a Zoff nelle giovanili e per poco non sono arrivato in prima squadra. Per mantenermi agli studi universitari – giurisprudenza a Trieste – ho iniziato a insegnare ginnastica in scuole disperse nella campagna. Poi, per laurearmi volevo fare una tesi sulle società calcistiche e ho interpellato Sergio Campana, che aveva creato a Vicenza l’Associazione italiana calciatori, un sindacato della categoria. Alcuni mesi dopo la laurea, venni a sapere che l’Aic cercava un segretario. Mi candidai, ma Campana non mi diede molte speranze. L’associazione aveva mostri sacri come Rivera, Mazzola, De Sisti, Bulgarelli… e io ero uno sconosciuto di 28 anni. Quando si riunirono a Bologna per nominare il segretario, telefonai al quotidiano Stadio. Il centralinista, scartabellando fra i comunicati, mi informò che era stato scelto un certo Pasqualin. Ero talmente incredulo che chiamai la Gazzetta dello sport per averne conferma.

E poi cosa accadde?

Ho lavorato dieci anni per l’Associazione italiana calciatori, che ha avuto un ruolo
essenziale nel riabilitare i diritti dei calciatori, all’epoca calpestati, nei confronti delle società. Rischiai anche di diventare amministratore delegato del Milan; nel 1980 avevo già la nomina in tasca ma, quando i tifosi seppero che Rivera sarebbe stato messo da parte, insorsero e il presidente Colombo fece retromarcia. Conclusa l’esperienza con l’Aic, aprii uno studio legale mio a Vicenza, che andava abbastanza bene. Un giorno si presentò da me il giocatore del Vicenza Eligio Nicolini, che mi chiese di curare il suo contratto. Me ne occupai. Mi chiese quanto mi doveva e non ne avevo idea, non mi sembrava di aver fatto molto. Lui calcolò una percentuale del suo contratto e me la diede. Era un bell’assegno e capii che quello poteva diventare un filone interessante. Da lì presi in carico quasi tutti i giocatori del Vicenza, andai a un raduno della Nazionale a Ferrara, cominciai a girare l’Italia in lungo e in largo per raccogliere mandati.

Come riuscì a convincere Del Piero?

Parlando coi suoi genitori, Gino e Bruna. La vicenda più divertente riguarda il rinnovo del suo contratto con la Juve, che scadeva nel 1999. La fase decisiva delle trattative si tenne al ristorante “Due Spade” di Sandrigo, specializzato in baccalà,

con Bettega, Moggi e Giraudo. Avevo ricevuto offerte da Manchester, Barcellona, Madrid, e più ritardavamo la firma con la Juventus, più si alzavano le quotazioni di Ale. Il direttore di Tuttosport offrì al titolare del ristorante una grossa cifra per il tavolo vicino al nostro, mentre gli altri giornalisti si erano asserragliati in cucina a scrivere le loro corrispondenze.

Gli juventini tentavano di tornare sul tema dell’incontro, ma io volutamente divagavo. Li portai a finire la cena nella fornitissima cantina del ristorante. Alla fine diedi a Maurizio Mosca la falsa notizia della chiusura dell’accordo e lui la sparò. Il contratto in realtà venne firmato pochi giorni dopo. Alla Juve costò 100 miliardi di lire: venne definito “il contratto del secolo”. Giraudo dichiarò che era stato il baccalà più caro della sua vita.

Lei è celebre anche per il passaggio di squadra più clamoroso di tutti i tempi…

Sì, Gianluigi Lentini giocava nel Torino e lo volevano sia Juve che Milan. L’Avvocato Agnelli e Berlusconi mi tiravano per la giacchetta. Il presidente del Milan mi invitò ad Arcore e passeggiando nel parco cercò di commuovermi elencando le cifre che aveva speso per acquistare la Standa e quanto gli era costato Van Basten. Proprio perché aveva tutti quei soldi, gli dissi, poteva pagare la somma richiesta per il giocatore. Berlusconi cercò perfino di escludermi mandando un elicottero a prendere Lentini da solo; ma su quell’elicottero pretesi di salire anch’io. Le condizioni della Juventus erano complessivamente meno allettanti, ma Lentini si arrabbiò perché pensava che volessi impedirgli di andare alla Juve. Nel 1992 passò al Milan per 8 miliardi lordi all’anno.

È sempre riuscito a ottenere le condizioni che voleva?

Me la vidi brutta quella volta che Ganz per andare all’Inter voleva il triplo di quanto prendeva dall’Atalanta. Facchetti, che conosceva bene la piazza di Bergamo, sapeva qual era la quotazione di Maurizio e non ci sentiva. Per alzare il prezzo, diffusi la voce che il Glasgow Rangers voleva Ganz. Il presidente mi resse il gioco: eravamo diventati amici da quando gli avevo fatto avere Amoruso e Porrini. Arrivai a battere a macchina una falsa offerta dei Rangers con la vera carta intestata del club scozzese. Durante le trattative Facchetti volle vederla e… non si accorse di nulla. L’Inter diede a Ganz la somma che chiedeva.

Alla Scozia è legato un altro bel ricordo. Mi trovavo in un albergo con Porrini e Amoruso e, mentre spiegavo loro perché dovevano rinnovarmi la procura, passò un ragazzino italiano. Chiese se poteva fermarsi. Ascoltò il nostro incontro e alla fine mi domandò: «Posso firmare anche io?». Era Gattuso. Accettai e poco dopo approdò dai Rangers al Milan, via Salernitana.

È stato il primo procuratore a portare giocatori italiani all’estero.

Ho curato il trasferimento di Vialli al Chelsea. Era il 1996. Gianluca, in veste di capitano della Juventus, aveva appena alzato la Coppa campioni vinta a Roma contro l’Ajax. Per assistere alla finale erano venuti i dirigenti del Chelsea. Vialli non aveva ancora deciso cosa fare del suo futuro, ma io consigliai agli emissari londinesi di prendersi un albergo e aspettare. Difatti un giorno a mezzanotte Vialli mi chiamò. Svegliai i dirigenti del Chelsea e andammo a casa di Vialli a Torino. Lui tirò fuori lo champagne e a quel punto fu certo che aveva scelto di andare all’estero.

Che qualità deve avere un bravo “venditore” di giocatori?

I giocatori bravi si vendono da soli e gli asini invece non li fa volare nessuno. Quindi, prima di tutto, scegliere giocatori di caratura tecnica. In secondo luogo, considerare l’importanza delle fidanzate e delle mogli. Quando incontrai la prima volta Ganz a Genova, mi sembrò gracile e mingherlino e mi fece quasi tenerezza. Concludemmo rapidamente l’accordo, tanto che mi avanzava del tempo prima che partisse il treno. Mi ricordai che Ganz aveva parlato della sua ragazza, dicendo che lavorava in una gioielleria vicino alla stazione. Decisi di andare a conoscerla e fu subito simpatia reciproca. Tanto che in seguito, quando si verificarono numerosi tentativi di strapparmi il giocatore, Monica consigliò sempre al marito di restare con me.

Quali consigli darebbe a un giovane che volesse seguire le sue orme?

Innanzitutto di ripensarci. Rispetto ai tempi pionieristici dei procuratori sportivi, oggi girano molti meno soldi. La concorrenza è aggressiva, anche nelle serie inferiori, e manca quel fair play che era un nostro segno distintivo. Se proprio un giovane vuole intraprendere questa carriera, gli consiglio vivamente di andare a bottega da un professionista affermato in modo da imparare il più possibile.

 

CHI È CLAUDIO PASQUALIN

L’avvocato Claudio Pasqualin, originario di Udine, fu chiamato nel 1972 alla Segreteria generale dell’Associazione italiana calciatori, della quale in seguito divenne vicepresidente.

Nel 1986 intraprese la carriera di procuratore sportivo diventando

presto esponente di punta di questa nuova categoria professionale. Dal 1996 al 2000 fu presidente nazionale dell’Assoprocuratori. Attualmente è presidente nazionale di Avvocaticalcio.

Già componente di numerose Commissioni di studio della Federcalcio e del Consiglio direttivo della F.I.F. PRO (Federation International Fooballeurs Professionels), è anche presidente della “Federcollezionisti Calcio”.

Opinionista televisivo apprezzato per il garbo, ha fatto parte dello staff di “Quelli che il calcio…” su Rai 2, di “Goleada” su Tmc, di “Dieci” su Sky, oltre a numerose collaborazioni con le reti Mediaset e presenze fisse alla “Domenica sportiva” della Rai.

Appassionato di ciclismo, è campione italiano avvocati.

UNA COLLEZIONE MONDIALE

“Io non sono malato di pallonologia” recita una targa sulla scrivania di Pasqualin. Affermazione imprecisa, se è vero che il nascente Museo del calcio di Wembley ha chiesto di acquistare la sua collezione di oggetti calcistici d’epoca, una tra le più importanti al mondo. Tentativo analogo fece la Fifa per traslocarla a Zurigo. Alcuni pezzi furono esposti negli Stati Uniti e in Francia in occasione dei Mondiali del ‘94 e del ‘98.

La raccolta, attualmente esposta a Vicenza, comprende

500 pezzi. Statue di porcellana raffiguranti calciatori, palloni autografati, bicchieri, boccali e tazze a tema, scarpini degli albori del calcio, orologi a cipolla sbalzati, ciondoli, gemelli e medaglie, fischietti da arbitro.

Fra i pezzi di maggiore pregio, la maglia di Pelè, una coppa degli anni Venti, un set portafumo del 1930 in metallo argentato.

«L’oggetto a cui sono più legato – racconta l’illustre collezionista – è il primo che acquistai, da un antiquario a Londra: una piccola scultura che riproduce un portiere nella presa alta».