Strategie e tecniche


Vincenzo Cammarata Vincenzo Cammarata

Dal volume N° 57

Storytelling, invece di vendere, puoi "convendere"

 

 

I CASI DI UNA SCUOLA DI INGLESE E UNA PER CROUPIER MOSTRANO COME "CONVINCERE" E "VENDERE"

 

Qualche tempo fa, con una mia amica, facemmo una pensata. Lei giornalista, con una start-up ormai avviata da un po’, e desiderosa di promuovere nuove iniziative per rilanciare il suo brand, “L’agenda delle Mamme”, una bella e, ancora oggi, prospera community.
E mamme (e papà, nonne, nonni, zie e zii) sono un bel business: tutto il mondo che ruota intorno al bambino, e più in generale ai figli, costa. Anzi, paga.
L’idea era semplice: aprire un canale YouTube che sarebbe diventata “Agenda delle Mamme TV”. Si sarebbe aggiunto al logo lo schermo di una bella tv vintage e un “TV” dopo il nome, lanciando il canale YouTube dedicato.
Ma la forza di questa TV dovevano essere i contenuti. Giornalisti con passato da ufficio stampa entrambi, sapevamo bene dove finisce un comunicato stampa e dove inizia un servizio o un reportage.

IL MODELLO DI BUSINESS
Il modello di business dell’Agenda puntava sulla gratuità della community per i membri e il pagamento di servizi da parte di aziende partner inserzioniste, al fine di “vendere” i loro servizi e prodotti a un pubblico attento e specifico, quindi già estremamente ricettivo perché altamente coinvolto.

LA STRATEGIA DI STORYTELLING

Occorreva un numero zero che, come d’abitudine, viene realizzato a fondo perduto, ma noi giornalisti, fotografi o video-qualcosa ci siamo abituati. È investimento: se il numero zero fosse piaciuto al cliente, allora avremmo proposto una serie di video su argomenti concordati con l’inserzionista.
Pensavamo a un approccio giornalistico/informativo: al logo dell’azienda ben presente durante tutto il video, preferivamo un “sottopancia” con nome, cognome, esperto in (area di business) di (nome azienda). Minutaggio del video? Da social: YouTube naturalmente, ma soprattutto Facebook o Instagram.
Tante pillole da un minuto valgono più di uno sbadiglio.

I TEMI
Contattammo alcuni degli inserzionisti più fedeli, fra cui una scuola di lingue per bambini. L’idea del logo quasi nascosto, magari alla fine nei ringraziamenti, fatica ad essere accolta: “Eh scusa, se pago, voglio il mio logo bello grande…”
Ci arrendiamo, ma non demordiamo. La pillola di un minuto si farà (tanto per il momento a pagare siamo noi). Il tema trattato era interessante, e sarebbe stato anche interessante trattarlo strategicamente e in modo autorevole: “Quando è giusto che un bambino faccia il suo primo corso d’Inglese?” La risposta, fosse stata supportata dall’esperienza e dalla lungimiranza del titolare, era semplice: “I primi corsi si fanno già nei primi mesi di vita del bambino”, il “come facciamo da noi” doveva rimanere sott’inteso.
Altri temi proposti da noi erano, ad esempio, “La gestione del bilinguismo in casa…”, “Imparare giocando”, insomma argomenti:
•    che creavano un archivio sempre consultabile di consigli di esperti;
•    spiegati da esperti che sarebbero stati la soluzione di tutte le perplessità, i dubbi, i problemi, le ansie dei genitori che avrebbero seguito tutte le “puntate” della serie dal loro black mirror preferito.

IL CONCETTO
Si trattava di convincere. Non di vendere.
Di mostrare, non di dimostrare. Il tutto con l’autorevolezza che viene riconosciuta a un esperto.

LA REAZIONE DEL CLIENTE
Ovviamente dopo aver prodotto il primo minuto, avendo visto che nel montaggio, soprattutto nel parlato, si cercavano di evitare frasi del tipo “il nostro metodo…” o “NOI abbiamo sviluppato un percorso…”, adatto più alla televendita di un materasso che a una serie strategica dal profilo informativo (se non oggettivo, almeno obiettivo), il cliente declinò l’offerta. Naturalmente la tesi che sostenevamo noi, quella del “ConVendere”, era supportata dalla nostra esperienza di comunicatori, prima che di giornalisti.

E infatti avevo già avuto modo di testare il successo della comunicazione informativa, non spudoratamente promozionale.

UN ALTRO CASO (DI SUCCESSO)
All’epoca mi trovavo a Torino, nel bel mezzo di un progetto di “storytelling territoriale” (quanto ci piace “storytelling”: per principio non snobbo mai parole troppo snobbate, sarebbe troppo snob). Ricevo una chiamata con un marcato accento inglese, parlava di casinò, croupier, ragazze e di reportage. La chiamata veniva da Palermo.
Di lì a poco sarei dovuto andare proprio a Palermo e quindi fissai un appuntamento per capire bene come potessi essere utile.
Mi trovai davanti una splendida donna inglese sulla cinquantina, ex-croupier, Christine. Molto pratica, lungimirante. Imprenditrice.
Bastò una chiacchierata e scoprii un mondo: aveva messo su una scuola per croupier. Lavoro garantito per chiunque avesse frequentato tre mesi di corso. Il posto migliore in cui aprire era proprio quello, dove c’era fame di lavoro, un lavoro che avrebbe portato centinaia di giovani a viaggiare, soprattutto nel Regno Unito e sulle navi da crociera o in qualsiasi altro posto in cui vi fosse un casinò.
Mi veniva chiesto di pubblicare un reportage: lo volevano su Donna Moderna (avevano già fatto le loro ricerche sulla diffusione nazionale dei principali magazine femminili).
Io frenai l’entusiasmo e dissi che non potevo garantirne l’uscita, potevo proporlo, ma il tema “gioco d’azzardo” non era così ben visto ai tempi, il rischio poteva essere un effetto boomerang o il disinteresse al tema.
A ogni modo m’interessava parecchio: non capita tutti i giorni di scoprire e raccontare come funzioni un casinò dall’interno.
Feci una domanda, più da esperto in comunicazione aziendale che da giornalista: “Perché volete parlare della scuola? Cosa volete ottenere?”. Erano già usciti l’anno prima su qualche altro magazine, cosa si aspettavano questa volta? Che risultati?
“Abbiamo una fortissima richiesta di croupier dai casinò inglesi, ma fatichiamo a trovare ragazze! Forse spaventa il tipo di lavoro o l’esperienza all’estero...”
“Ma se raccontassimo la storia di chi già lavora lì? – risposi io. Pensavo a dei ritratti video, dove le ragazze ci raccontavano non solo la parte cool, ma anche e soprattutto le difficoltà, sia del lavoro ma anche della lontananza da casa. Insomma, non avremmo parlato di un mondo fatato, bellissimo e glitterato, ma di un lavoro di responsabilità, con turni in orari inconsueti e tutti i “disagi” del vivere da soli: molte andavano via per la prima volta, dopo i viaggi d’istruzione delle scuole superiori.
Serena, il primo video girato in un casinò di Londra all’interno di un centro commerciale vicino al villaggio olimpico (era il 2012), fu un successo: molte ragazze, aspiranti croupier, scrivevano direttamente a lei e le iscrizioni aumentarono vertiginosamente. Seguì un tour, dalla Scozia al Galles, in cui raccontammo la storia di una decina di loro. Le iscrizioni continuarono ad aumentare e l’obiettivo che ci eravamo dati fu raggiunto in breve tempo. In questo caso la sincerità nel racconto convinse e vinse.

La Scuola di Croupier, malgrado la prematura scomparsa di Christine, oggi prende il suo nome, gode di un notevole successo, conta altre sedi oltre quella palermitana.

La Scuola d’inglese per bambini, che rifiutò il nostro numero zero, chiuse i battenti l’anno successivo alla nostra proposta.


LESSON LEARNED
Non vendete. Convincete.
Vedrete che vincerete.