Noi e gli altri


Sebastiano Zanolli Sebastiano Zanolli

Dal volume N° 34

Paura in evoluzione

NONOSTANTE LE DIMENSIONI DELLE AZIENDE, LE PERSONE CONTINUANO A PROVARE QUESTO SENTIMENTO ANCESTRALE

Sono in Portogallo a una convention di una grande azienda di vendita diretta. Una di quelle che conta milioni di collaboratori.
Uno dei temi che devo affrontare in questa tre giorni è quello relativo alla paura.
Nonostante le dimensioni delle aziende, le persone continuano ad avere paura.
Nonostante le dimensioni ciclopiche di questo network, si è ritenuto importante toccare una questione di cui si parla molto ma che di solito si affronta individualmente in modo scomposto e imbarazzato.
Un tema che però limita la crescita aziendale e personale.
La paura di entrare nella vita degli altri, che, parlando di vendita, è come dire che un calciatore abbia paura di toccare il pallone.
Non è questione di tecnica, non solo perlomeno.
Chi vende può prepararsi bene, leggere libri e libri, conoscere l'analisi transazionale, la Pnl e il metodo AIDA.
Ma quando la paura inizia a farsi sentire non c'è più nulla che tenga. Tutto quello che hai accumulato è acqua fresca rispetto al tremito che ti sale dalle budella. Ai sudori che di notte ti svegliano.
Hai paura di essere inadeguato.
Di non essere capace di fare quello che hai promesso e di incontrare un cliente che ti dimostrerà tutta la tua incompetenza.
Hai paura di non raggiungere tutti quei numeri che si ergono in lontananza come un miraggio.
Per questo siamo imbarazzati e confusi davanti alla paura.
Perché è tutto il contrario del mondo di sicurezze e certezze che siamo soliti vedere in tivù o nelle bacheche di facebook e instagram dei nostri amici. Nelle classifiche che mostrano gli altri sempre più bravi di te. Lì tutto appare così lineare, fattibile, felice. Sembra sempre che gli altri si pongano obiettivi e li raggiungano senza imperfezioni né titubanze. Secondo traiettorie che fanno di loro degli esseri perfetti. Lo sai che non è vero, ma vallo a spiegare al tuo cervello rettile. A quel centro di interessi che spartiamo con gli animali e che trasforma tutto in cose che ti mangiano o che puoi mangiare.
Quel nucleo non ragiona.
Quel nucleo reagisce e basta. Velocemente.
Più vuoi fare, più sei bloccato. Più vorresti essere all'altezza degli altri, più hai paura, e così via in un crescendo immobilizzante.
Ci vuole creatività per trasformare la paura in uno stimolo.
Ci vuole intelligenza per trasformare l'invidia in una ispirazione.
Ci vuole un passaggio.
Un passaggio mentale più che di pancia.
Un passaggio che renda onore a 150 mila anni di evoluzione.
Serve bloccare il rimuginino istintivo che le emozioni creano quando non passano il vaglio del nostro cervello più giovane. Ma per farlo bisogna bloccare il pilota automatico che dirotta il nostro focus.
Per averlo provato mille volte, so di cosa parlo.
L'effetto valanga inizia con pensieri piccoli, quasi impercettibili, che si intersecano con altri pensieri, ingigantendosi, in un crescendo di catastrofismo.
Gli scenari più improbabili si fondano su indizi che non presentano quasi mai un nesso logico di causa-effetto, ma nella tua testa scatenano una tempesta ormonale che si conclude con una sentenza terribile.
Ho paura.
L’evoluzione della paura
La paura produce reazioni biochimiche e ormonali.
Che siano poi di immobilità o scomposte azioni casuali, la paura non è quasi mai una buona consigliera di questi tempi.
Esiste una abisso tra le motivazioni biologiche ancestrali per cui siamo paurosi e le necessità di una vita moderna fatta di sottili sottintesi.
Centomila anni fa era un vantaggio essere paurosi.
Noi siamo i discendenti dei paurosi.
Perché avere paura significava sopravvivere in un ambiente ostile.
Oggi molto meno.
L'ambiente raramente mette in discussione la nostra sopravvivenza fisica.
In compenso rende vulnerabile quella psichica.
Ma è un altro livello, e a questo livello si gioca con regole differenti.
Per superare questa vulnerabilità, serve lavoro.
Lavoro su se stessi.

1. Serve aumentare la capacità di focalizzazione.
E per questo saper meditare e astrarsi è un ottimo allenamento.
2. Serve setacciare le paure e dividerle in razionali e irrazionali.
Le prime prevedono azioni atte a minimizzarle. Studiamo una strategia e applichiamola.
Le seconde no. Le seconde si combattono confondendo il cervello e sostituendo le emozioni con stimoli più grandi e diversi.
Un modo per spostare un pensiero fisso ma sbagliato su qualcosa di più neutro o addirittura positivo.
3. Serve valutare le esperienze precedenti e notare quante volte abbiamo tirato conclusioni sbagliate basandoci sulla paura.
4. Serve agire, perché agendo manteniamo occupato il pensiero sulla realtà fisica impedendogli di occuparsi di altri sentimenti o realtà psichiche.
5. Serve tenere a mente che non abbiamo tutto il tempo del mondo per fare ciò che desideriamo. E perdere tempo avend paura è davvero un lusso che non ci si può permettere.

Come diceva Viktor Frankl, padre della logoterapia e reduce dai campi di concentramento nazisti, non è cio che ci attendiamo dalla vita a essere importante, piuttosto quello che la vita si attende da noi. E la vita si attende che noi sappiamo essere all'altezza delle situazioni che ci scegliamo, ma ancora di più che sappiamo essere all'altezza di quelle che non ci scegliamo.
Questo non si può fare decidere al pilota automatico.
La paura serve fino a quando la usiamo come sentinella, ma non se le lasciamo potere di veto.
La sentinella avverte se vede qualcosa di anomalo. Ma non tutto ciò che è anomalo è cattivo. Di questi tempi, anzi, è probabile che il nuovo racchiuda opportunità. E di queste opportunità abbiamo sempre più bisogno.
Il pilota automatico sembra un buon affare.
Ma non lo è.
La paura è un ottimo servitore, ma un pessimo padrone.

La paura può farti prigioniero. La speranza può renderti libero. (dal film Le ali della libertà)