Mestiere della Supervisione


Flavio Cabrini Flavio Cabrini

No alla crisi di rigetto!

COSA SUCCEDE QUANDO INSERIAMO
UN NUOVO ELEMENTO IN SQUADRA E COSA FARE PER RENDERE L’INGRESSO PIACEVOLE

Immaginate che per rimettervi in forma, dopo anni di vita troppo sedentaria, vi salti in mente di iscrivervi a un corso di fitness. Al termine della prima lezione, il minimo che possa capitarvi è che torniate a casa indolenziti. E l’indomani, a dispetto di una notte di riposo, andrà di sicuro ancora peggio: non è neppure escluso che faticherete perfino a camminare. Se ne traeste la conclusione che per voi la palestra è controindicata, perché vi riduce a uno straccio, commettereste un madornale errore. È del tutto normale che sottoponendosi a carichi di lavoro inusuali, dopo un lungo periodo di scarsa attività, si avvertano fastidi e irrigidimenti muscolari. È del tutto normale anche che diventino più acuti a distanza di 24-48 ore. Ma poi si riassorbono nell’arco di quattro o cinque giorni, e, se insistete con la palestra, presto ne avrete soltanto benefici. Quei dolori muscolari con i quali avete dovuto fare i conti, quindi, sono stati semplicemente un momento di passaggio naturale, temporaneo e inevitabile verso una migliore condizione fisica.

Lo stesso fenomeno si verifica pressoché puntualmente quando un individuo viene immesso in un nuovo contesto.
All’entusiasmo e all’euforia iniziali subentra in qualche misura qualcosa che ha tutta l’apparenza di una “crisi di rigetto”: lo si riscontra ad esempio nell’avviamento scolastico dei bambini o nell’integrazione degli emigranti, per non dire nei matrimoni. E alla regola non sfuggono nemmeno gli inserimenti in ambienti lavorativi.

Un passaggio fisiologico
Gli esperti di psicologia definiscono “socializzazione  occupazionale”  quell’insieme  di  processi che portano una persona a sentirsi membro attivo di un gruppo o di una organizzazione. L’ingresso in un nuovo ambiente lavorativo comporta quella che, sempre gli esperti, chiamano una “transizione psicosociale”, che si realizza attraverso l’abbandono di una situazione nota per immergersi in una realtà, magari allettante e desiderata, ma mai provata. Kalervo Oberg, un famoso antropologo di origine finlandese, ha spiegato come la transizione si sviluppi per fasi: all’“honeymoon”, cioè alla “luna di miele” come lui ha definito la prima, segue in qualche modo appunto una crisi di rigetto. Più o meno accentuata. Ma perfettamente fisiologica come fisiologici lo sono quei doloretti provocati dal primo impatto con la palestra.

In una vita lavorativa le transizioni psicosociali avvengono pure ogni volta che interviene un cambiamento di ruolo, di funzione, di strumenti, di sistemi o di condizioni di mercato. Oggi ad esempio consideriamo la cosiddetta vendita distributiva una specie di residuato bellico. La vendita deve essere creativa. Il moderno venditore non ha più nulla a che fare col vecchio piazzista che recitava un copione mandato a memoria o, peggio, che si limitava a raccogliere ordini. Il moderno venditore è un consulente che sa percepire e soddisfare bisogni latenti, che sa utilizzare computer, cellulare o fax e che sa ottimizzare tempi e metodi, tant’è  che  una  fetta  cospicua  del  suo  fatturato può ricavarla anche senza visitare direttamente i clienti. Un cambiamento epocale che ineluttabilmente ha provocato nella categoria più di una crisi di rigetto.

Alla radice di una crisi di rigetto, apparente o conclamata che sia, c’è una discrepanza fra le aspettative e la situazione sperimentata. Se l’aspettativa era di uscire più tonici già al primo giorno di palestra e la situazione sperimentata è che invece ci si sente a pezzi, è comprensibile che si possano rimpiangere le serate passate sul divano. Calarsi in una nuova realtà significa misurarsi con sfide mai affrontate e scontrarsi con ostacoli imprevisti.

Il ruolo dell’attitudine
Nel modello di Oberg, applicato dagli studiosi di socializzazione occupazionale, la terza fase è quella dell’adattamento. L’esito non è certo scontato: la terza fase può sfociare in un atteggiamento di totale rifiuto o di totale accettazione. Cos’è che fa la differenza? La fa l’attitudine positiva del soggetto.
Più d’uno ha scritto che l’attitudine positiva si rivela quando i “se” si trasformano in “come”. I “se” manifestano una resistenza al cambiamento, i “come” (ossia il ricercare come affrontare e superare le difficoltà) una spinta al cambiamento. I “se” introducono dubbi e giustificazioni. I “come” conducono alla “mastery”, la quarta e ultima fase del modello evolutivo di Oberg. È la maestria, la definitiva padronanza di un ruolo e di tutto ciò che implica.

C’è una sorta di mantra al quale non può non ispirarsi la selezione del personale, tanto più se si tratta di venditori: “Assumi per attitudine e forma per competenza”. È uno dei fili rossi della recente riedizione e rivisitazione di Scegli chi ti aiuta, un libro che ho scritto a quattro mani con la recruiter Federica Broccoli. Personalmente, noto con piacere che negli annunci per ricerca del personale l’espressione “attitudine positiva” compare ormai con frequenza fra i requisiti richiesti. La valuto fondamentale per la riuscita di un inserimento ed è essenziale che i colloqui con i candidati siano orientati ad accertarla. Uno strumento utilissimo naturalmente sono i test: ne esistono degli specifici anche per profilare e intercettare chi ha le potenzialità per dare ottime performance in campo commerciale.

La crisi di rigetto, o qualcosa che comunque le somiglia, in ogni caso quasi fatalmente verrà. La sintomatologia è piuttosto varia: sbalzi d’umore, episodici attriti con i colleghi, mugugni, ritardi, risultati altalenanti e così via. Per esperienza, qualcosa che non va per il verso giusto, nel lavoro o nel privato, emerge sempre. Assolutamente sempre.
Ma l’insorgere di una crisi di rigetto è comunque anch’essa un fatto positivo. Significa che il neo inserito, assodato che abbia un’attitudine positiva, sta combattendo con se stesso per ridefinirsi, per diventare conforme alle aspettative che nutre verso di sé e a quelle che ha l’azienda nei suoi confronti. Insomma è in tensione. Perché è alle prese con i “come”.