Strategie e tecniche


Valeria Tonella Valeria Tonella

Il mito della montagna (e perché ci fa comprare da vestire)

Campagna adv The North Face: giacche per chi scala (a sinistra)

ma anche per chi vive e lavora in città (a destra)

 

Perché ci vestiamo come gli alpinisti è un articolo di Rivista Studio che mi ha fatto riflettere.

Il fenomeno mi è passato sotto gli occhi spesso: coetanei Millennial, ma non solo, che indossano capi da montagna, o addirittura, tecnici anche quando sono per locali o, alcuni, al lavoro. Li avrete sicuramente notati: giacche antivento che neanche Messner; scarpe da trekking; piumini Patagonia o The North Face; pantaloni con cerniere contro la sudorazione; zaini che ricalcano i classici modelli da camminata; guantini da scalata... Rivista Studio parla di "nuova divisa urbana". Sicuramente un trend diffuso, una moda a tutti gli effetti.

Dopo qualche ricerca - e soprattutto dopo una pillola che ho scritto per V+ e che è rimbalzata molto online - ho applicato a questa tendenza il concetto del "cliente che compra una versione migliore di se stesso".

E combacia.

Chi aderisce a questa moda non lo fa per la praticità dei capi (o solo in minima parte); non sono neppure capi "fashion", se vogliamo dirla tutta, anzi.

Ma creano delle "circostanze", rispondono a delle "esigenze". Di più: contribuiscono a disegnare un immaginario molto potente.

 

1. Il fascino del "grande freddo" e dell'avventura - Ci sono vari fattori, dalla cultura al cinema, alla letteratura: il successo di serie tv come Game of Thrones, ambientate in luoghi glaciali e super affascinanti; il ritorno costante di successo di film come Into the wild o della sua versione al femminile con Reese Witherspoon; Paolo Cognetti e il suo libro Le otto montagne, vincitore dell'ultimo premio Strega. Scenari temibili, scomodi, ma emblemi di libertà, affermazione di sé, rottura dei legami da una vita digitale e stressante. Ci sentiamo anche noi un po' Jon Snow, un po' Cristopher McCandless, con indosso un paio di scarponi e il pelo sul cappuccio del giubbotto. Un antitesi alla giacca e cravatta. Uno sprazzo di avventura anche nella quotidianità meno avventurosa che ci sia. Se fa freddo, preferiamo questo a un cappottino o a una pelliccia eco-finta, perché è il profumo dell'aria che porta neve, lo scoppiettio del fuoco, l'aroma dei pini. Questo compriamo.

 

2. Una moda per tutti - Il trekking è democratico: lo possono fare tutti. E così tutti possono vestire capi da trekking. Sono comodi, colorati. Ci fanno sentire bene con noi stessi. Normalmente si indossano per stare all'aria aperta, ed è proprio questo che li rende "desiderabili": immaginare e aspettare la prossima uscita, o magari passeggiare solo per Milano ma senza scomodi tacchi o jeans contenitivi.

3. Il mito, anzi i miti - L'abbigliamento tecnico da montagna nasce per vestire i grandi scalatori, quelli che salivano gli 8 mila, che sono diventate delle leggende. Storie che non demoralizzano i consumatori, anzi. Vestire come vestivano loro (o una specie) è un po' essere come loro. O come gli indomabili pescatori islandesi per i quali nascono le giacche North 66... Un po' come diventare il capitano Achab che va a caccia della grande balena bianca per raggiungere l'immortalità e superare i demoni interiori. Altro che "è solo una giacca"

4. Eco-amico? Magari no, ma non importa - Molti marchi di abbigliamento tecnico possono sperimentare sulla produzione e provare nuovi tessuti, diverse combinazioni. Non sempre l'ecologico è al primo posto, ma in qualche modo passa anche questo messaggio: vestire "tecnico" è prendersi carico anche dell'ansia per l'ambiente. Chi va in montagna o ne assume lo stile non può non interessarsi alla natura... tesi molto facile da smontare, ma l'importante, la cosa fondamentale è una: l'immaginario.