Noi e gli altri


Valeria Tonella Valeria Tonella

I misteri del cervello: la storia di Jonathan che ha perso la memoria per un anno

UN RAGAZZO COME TANTI VITTIMA DI UN INCIDENTE E LA FORZA DI CAPIRE CHE I RICORDI SONO LA COSA PIÙ PREZIOSA CHE ABBIAMO

"Se mai riuscissimo a capire fino in fondo il modo in cui un cervello umano sa come farci afferrare un bicchier d'acqua, già questo rappresenterebbe un risultato della massima portata".

Lo scrive John Medina nel suo libro Il cervello, istruzioni per l'uso.

John Medina è biologo molecolare, direttore del Brain Center for Applied Learning Research alla Seattle Pacific University e docente al dipartimento di bioingegneria della University of Washington School of Medicine.

Quindi, se John Medina dice che il cervello umano resta un mistero, resta un mistero. Per la maggior parte del suo funzionamento. E oltre a essere un mistero, è anche "il più sofisticato sistema d trasferimento di informazioni che esista sulla terra". Tu che leggi questo articolo, infatti, stai assimilando i segni neri che compongono le lettere e ne stai traendo un significato. "Per il compimento di questo miracolo, il cervello invia una miriade di scariche elettriche attraverso centinaia di chilometri di fili conduttori costituiti da cellule nervose così minuscole che migliaia di esse potrebbero stare dentro il punto che chiude questa frase".

Una macchina straordinaria. Che, però, può incepparsi.

Ci sono disfunzioni lievi, dovute allo stress, alla mancanza di sonno, al multitasking feroce. Altre che condizionano la vita per sempre.

Prendiamo la memoria.

John Medina nel suo libro racconta la storia di Kim Peek, nato nel 1951 con una testa più grande della norma ma privo del corpo calloso (una lamina di fasci di fibre che collega certe aree dei due emisferi) e con il cervelletto (linguaggio, controllo motorio, attenzione) danneggiato. Non cammina fino ai 4 anni, e gli viene diagnosticata una forte disabilità mentale. Ma Peek è speciale: è in grado di leggere due pagine contemporaneamente, una con ciascun occhio, e di ricordarne perfettamente tutti i contenuti. Per sempre. Lo scrittore Barry Morrow lo intervista, e saggiate le incredibili capacità di Peek - che ricorda tutti i libri della biblioteca dove si tiene l'intervista - decide di scriverci su un film (presente Rain Man, premio Oscar?).

Per l'essere umano, la memoria è un vantaggio finalizzato alla sopravvivenza: nasciamo senza cognizioni, e con la memoria ricordiamo le fonti di cibo, i pericoli. Senza memoria, ci saremmi estinti da tempo.

La cosa straordinaria, poi, e che diamo per scontata, è che non dobbiamo ogni mattina ricordare tutto quello che abbiamo appreso, visto, sentito: la memoria lo fa per noi. Custodisce. In parole povere, ci rende umani.

Jonathan e la memoria che non c'è (più)

C'è però questo ragazzo americano che non è stato altrettanto fortunato. "Ho perso la memoria per 14 mesi" scrive su Linkedin. Jonathan Jackson, un ragazzo normale, che va alla high school e viene accettato in una scuola privata prestigiosa, la Saint Paul's School, nel New Hampshire.

Al secondo anno, è vittima di una commozione cerebrale. Succede durante una partita di football, un colpo da dietro. Capita. All'inizio non sembra niente di grave, i test sono negativi. Ma tempo due settimane cominciano le emicranie, Jonathan diventa ultra sensibile alla luce e... inizia a dimenticare le cose. Dove si trova, a quale lezione deve andare. Non ricorda frasi dopo pochi minuti che gli sono state dette, e il suo umore ha degli oscillamenti anormali.

"Fui indirizzato verso uno specialista di traumi cranici. Scoprì che che la lieve commozione che avevo subìto in realtà mi stava causando un danno semi permanente al cervello. Voleva dire che avrei avuto difficoltà a fare cose che sapevo fare da sempre e che la mia memoria a breve termine era stata compromessa seriamente".

Jonathan attraversa un periodo durissimo: "Ero angosciato, la sera non volevo addormentarmi, per il terrore di risvegliarmi senza sapere chi fossi".

Alla fine delle lezioni, chiede di ripetere l'anno. Non è soddisfatto del suo rendimento. Passano altri mesi. A salvarlo dai pensieri più cupi è la scrittura. "Tutto quello che potevo fare era scrivere. Divenne una specie di catarsi: le parole che non riuscivo a pronunciare venivano fuori più facilmente se le scrivevo. Gli altri ragazzi odiavano scrivere tesine, io no. Ricordare equazioni e numeri era un incubo, ma giocare con le parole mi faceva sentire a casa".

Jonathan si risolleva. Il college si avvicina, e lui sa che non è più questione di "se andrà al college", ma dove andrà. "Vai al colloquio" si ripete. "In fondo, hai una storia da raccontare". La famiglia e i tutor gli consigliano di scegliere un istituto vicino a casa, ma "anche se pensavano che fosse il meglio per me, io avevo in mente altri obiettivi".

Che cosa ho imparato?

Lentamente Jonathan recupera la memoria. Non come prima, ma fa dei passi in avanti. "Vorrei potervi dire che fu facile. Che quando la memoria cominciò a funzionare meglio, le cose si sistemarono. Ma non fu così. Non avevo un piano. Dovevo crearlo al momento, nei vari giorni, e cercare di realizzarlo. Gli ostacoli sono questo: capitomboli temporanei che ti obbligano a chiederti cosa vuoi fare riguardo al tuo problema".

Ancora oggi, se non dorme a sufficienza, se è stanco, se non si è preparato abbastanza, Jonathan dimentica le cose. "Mi ripeto che è normale, che succede a tutti. Ma non so quanto sia ancora dovuto a quell'incidente. A volte mi spavento. Però mi ritengo fortunato: se guardate le pagine che ho scritto dopo l'incidente, sono piene di sbavature, strappi, lacrime. L'importante è che posso scriverne ancora".

Oggi Jonathan è un manager, lavora a New York e, se qualcuno glielo chiede, racconta ancora la sua storia.

"Mi aiuto con i post-it, tanti post-it, per ricordare. Ogni incontro, ogni lezione, ogni relazione sono degli strumenti con cui posso allenarmi a ricordare di più. Fare cose nuove e meglio. Sognare sogni che non credevo. Non è che la mia vita sia diventata più semplice. Io sono diventato più forte. Arrivano ancora le emicranie che mi impediscono di tenere gli occhi aperti. Ci sono persone che mi dicono di tornare a casa, di scegliere una strada più facile. Ma va bene. Finché qualcuno non mi dirà che non potrò più tornare quello di prima, vado avanti, perché quella sì che sarebbe una brutta notizia. Gli altri sono solo inconvenienti di un giorno. Arrivano e passano".

Jonathan continua a convivere con il suo cervello "ammaccato". E purtroppo la scienza non ha finito di studiare i traumi di questo tipo e le ripercussioni che hanno sulla memoria. Basti pensare che non esiste un solo modo di dimenticare le cose: i blocchi, le attribuzioni errate, le distorsioni. Ce ne sono tantissimi. "Non è certo un bel catalogo" dice Medina quando si tratta del cervello che non va.

A parte essere un esempio di incredibile forza, la storia di Jonathan ci... ricorda un'altra verità: "Il cervello è qualcosa di straordinario. - scrive Medina - Anche se la maggior parte di noi non sa come funzioni" e lo dia, quindi, per scontato.

Qui la storia in inglese di Jonathan Jackson.

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