Mestiere della Supervisione


Edoardo Lombardi Edoardo Lombardi

Dal volume N° 31

Facciamo gol

 

 

 

PER UNA VOLTA IL BUSINESS DOVREBBE IMPARARE DAL CALCIO, PONENDOSI OBIETTIVI SEMPLICI, CHIARI E CONDIVISI

Un’organizzazione il cui successo o insuccesso non deriva quasi mai da quanto chiaro sia ai suoi membri l’obiettivo aziendale è una squadra di calcio. Infatti, il suo obiettivo è semplice e diretto: due squadre si sfidano e la differenza è fatta da quante volte i componenti di una squadra riescono a gettare la palla nella porta avversaria o a evitare che gli avversari lo facciano. Nessun giocatore ha dubbi su cosa debba fare! Deve fare gol o evitare il gol degli avversari.

Facciamoci caso: “goal”, in inglese, significa proprio… obiettivo.

Inoltre il “manager” è fuori dal campo di gioco, ha quindi difficoltà a intervenire e a guidare le giocate dei suoi uomini. Deve limitarsi a controllare che le strategie applicate siano corrette; ciò che gli è consentito, entro limiti ristretti, è cambiare formazione nel corso della partita o nelle partite successive. Nel business e in molti altri campi dell’attività umana la situazione è diversa. Gli obiettivi sono in qualche misura confusi dalla suddivisione dei compiti fra colleghi all’interno e al di fuori del team: è come se l’ultimo passaggio sotto porta non fosse affidato a un compagno di squadra, ma al funzionario di una struttura centrale, che viene valutato non da quanti gol si realizzano grazie a lui, ma soltanto dalla qualità tecnica del passaggio in base al giudizio di alcuni esperti.

La grande sfida nel mondo del business è quindi stabilire degli obiettivi che siano semplici, chiari e condivisi. 

Semplici, chiari, condivisi

Nelle organizzazioni complesse in cui gli obiettivi si intrecciano, bisogna, a somiglianza di quanto avviene nel calcio, creare la libertà di agire, la sufficiente latitudine perché le persone possano muoversi attorno al loro compito.

La relazione con gli altri che ci accompagnano nel nostro lavoro deve essere reale e autentica; per usare un una frase del linguaggio comune, dobbiamo poter dire le cose “come sono”.

Deve esserci rispetto per l’individuo; ciò significa che i suoi talenti e le sue abilità devono essere riconosciuti.

Il lavoro va organizzato intorno “all’orientamento di squadra”. Deve esserci una logica nella struttura dell’organizzazione; occorre che ci siano buone ragioni per strutturarla così com’è. Per avere successo, l’organizzazione deve funzionare come team piuttosto che come insieme di persone. Il manager deve preoccuparsi che i team funzionino, che le strategie corrette siano applicate, che gli obiettivi non siano persi di vista: per il resto, deve fidarsi dei suoi uomini.

Gli obiettivi devono comportare un sufficiente livello di sfida per motivare le persone, ma non devono essere irraggiungibili.

Inoltre devono essere tali da assicurare il mutuo supporto fra i membri del team.

Devono permettere che una persona possa fare ciò che gli piace fare. Deve esserci sufficiente correlazione fra ciò che una persona vuole fare e ciò che l’organizzazione ritiene che sia utile fargli fare. Tornando al parallelo del calcio, non ha senso assegnare un obiettivo di seconda linea (quello di prima linea rimane vincere la partita), per esempio fare tanti gol, al portiere titolare.

Perché gli obiettivi contano?

A questo punto potreste chiedervi perché gli obiettivi sono così importanti.

La mia risposta è che lo sono per poter effettuare la necessaria transizione verso l’organizzazione “goal oriented”, cioè orientata agli obiettivi. In questo tipo di organizzazione – che nel business è ancora “futuribile” ma destinato a essere indispensabile in un mondo in cui la tecnologia aggiunge continuamente complessità e precarietà – la forza lavoro è aggregata sulla base degli obiettivi dell’organizzazione.

L’organizzazione “goal oriented” è creata per realizzare progetti e conseguire i suoi gol mediante gruppi di lavoro. I suoi organigrammi sono rappresentati da PERT, cioè da reti di persone che, lavorando “temporaneamente insieme”, conseguiscono gli obiettivi aziendali e non si focalizzano solo sulla convenzionale struttura del potere. I manager dei diversi progetti si muovono attraverso le linee funzionali per raccogliere gli specialisti di cui hanno bisogno. La gerarchia classica, in questa forma, può servire soltanto per dare a questi specialisti un ufficio, un punto di riferimento, una “casa”. Ma l’organizzazione laterale è più importante di quella gerarchica.

Oggi la maggioranza delle aziende è ancora strutturata in modo tradizionale, ma riuscite a immaginare una squadra di calcio in cui la difesa, il centro campo e l’attacco siano tre gruppi funzionali che perseguono obiettivi specifici diversi?

Se la vostra azienda ha una tecnologia molto semplice che non cambia significativamente con il tempo e se non ha turnover di persone, non dovete preoccuparvi degli obiettivi dell’organizzazione. Ma, se siete manager di un business complesso e in pieno sviluppo, dove tutto può cambiare e cambia di giorno in giorno, dovete avere il talento per negoziare con gli altri manager l’ottenimento delle risorse che possono permettervi di raggiungere gli obiettivi che avete concordato.

In una organizzazione “goal oriented”, le persone si differenziano sulla base di ciò che fanno e hanno grande fiducia l’una nell’altra. In questo modello non c’è modo per il manager di controllare che cosa stanno facendo i subordinati in ogni momento: il compito del manager è di verificare che le strategie e gli obiettivi siano corretti. La sola cosa che conta per tutti è tenere gli occhi fermamente concentrati sulla palla (gli obiettivi). Come nel calcio. La motivazione delle persone in questo ambiente viene non dal capo, ma dall’interrelazione fra l’uomo e il suo lavoro.

Dietro a questo grande cambiamento, c’è però una filosofia che riguarda l’uomo e il suo rapporto con gli uomini. Chi fra tutti gli studiosi del comportamento umano ha meglio espresso questa filosofia è Douglas McGregor. Rileggete le prime 85 pagine del suo The Human Side of Enterprise. Ritornate ad approfondire la Teoria X e la Teoria Y. È sorprendente quanto chiara sia la sua descrizione di questi due stili che dividono l’umanità. La Teoria Y dice semplicemente che alle persone piace lavorare; amano essere innovative. Non dice che siano necessariamente schierate dalla vostra parte. Potrebbero, infatti, lavorare contro di voi e mettere a punto ingegnose innovazioni per battere il sistema che avete imposto su di loro. Ma un aspetto importante della Teoria Y è quello che prevede che voi siate portati ad avere alte aspettative circa la performance del lavoro dei vostri subordinati. “Tu vuoi svolgere questo compito importante, non è vero?” è un tipo di attitudine che spesso produce ottimi risultati. Le persone faranno tutto ciò che è possibile per essere all’altezza delle vostre aspettative.

Torniamo per un attimo al calcio. L’obiettivo è chiaro: ognuno è in qualche modo uno specialista funzionale (portiere, difensore, mediano, attaccante, ecc.). Ma tutti hanno chiaro in mente quell’obiettivo e cercano di fare o di evitare il gol. L’allenatore è “esterno” alla partita: vigila sull’esecuzione delle strategie e si accerta che l’obiettivo non sia trascurato. Decide la formazione della sua squadra e, attraverso il suo potere di scelta, decide chi far giocare. Tutti vogliono giocare però, perché il gioco “piace”!

Ma anche il lavoro, se riesce a creare emozioni, soddisfazione e rispetto reciproco, può “piacere” come un gioco.

Se non definisci i tuoi obiettivi, sei destinato a lavorare per gli obiettivi di qualcun altro. (Brian Tracy)