Stili di lavoro


Valeria Tonella Valeria Tonella

Dal volume N° 53

"E se...?" I lati buoni del rimpianto

Ve lo confesso: l’autunno, per me, è (anche) tempo di rimpianti. Insomma, con tutta la buona volontà, la motivazione, i buoni propositi, non posso dire di aver raggiunto tutto quello a cui ambivo o di aver fatto tutte le esperienze – lavorative e non – che mi ero immaginata.
Ogni volta che ne parlo con gli amici, salta fuori l’immancabile imperativo categorico: meglio i rimorsi dei rimpianti. Però, si sa, non sempre guardandoci indietro, siamo soddisfatti delle nostre azioni passate, soprattutto di quelle mancate.

È anche vero che i rimpianti sono un fardello inutile, per chi, come me, come voi, vuole iniziare questo “nuovo anno” ingranando la marcia giusta. E allora metto da parte gli articoli che Google mi suggerisce alla voce “come non avere rimpianti nella vita”, accetto di averne e butto giù una lista di consigli pratici, prima per me e poi anche per voi, per affrontarli con un po’ più di serenità.


NOSTALGIA CANAGLIA
Mi affido al dizionario: “Rimpianto: ricordo nostalgico o dolente di persone o cose perdute o di occasioni mancate”.
Sezioniamo questa definizione: il rimpianto è un ricordo, quindi è una rappresentazione della mente. Un punto importante, ci servirà dopo.
Il rimpianto provoca nostalgia e, nei casi più “gravi”, sofferenza: a un primo sguardo, niente di positivo.
Il rimpianto nasce quando perdiamo qualcuno o qualcosa oppure quando sentiamo di non aver fatto qualcosa che, a posteriori, avremmo voluto fare.
È chiaro quanto sia complesso il meccanismo del rimpianto. E per tre motivi:


1. il rimpianto si riferisce al passato. Quando proviamo rimpianti, siamo decisamente rivolti con la mente all’indietro, a un momento che non c’è più e su cui non possiamo più intervenire.


2. Il rimpianto ci paralizza. Proprio perché si riferisce al passato, il rimpianto ci spinge a focalizzarci sulla distanza che esiste tra una situazione o un risultato che ci eravamo immaginati e la situazione o il risultato che abbiamo raggiunto – e che non ha soddisfatto le nostre aspettative. Ecco, allora, affiorare i pensieri paralizzanti: “e se sbagliassi ancora?”, “e se soffrissi ancora?”, perché, ormai lo sappiamo, la mente si muove soprattutto per schemi ripetuti e purtroppo li ripropone come su una ruota che non riusciamo a fermare, facendo sopraggiungere il panico.


3. Il rimpianto non segue la logica. Il rimpianto è emotivo, e le emozioni sono un fiume in piena o la goccia che scalfisce – a nostra insaputa – la roccia della nostra consapevolezza. Nella maggior parte dei casi, il rimpianto provoca tristezza, stress, paura.


SIAMO FATTI COSÌ
“Se tornassi indietro, rifarei tutto allo stesso modo”. So che qualche lettore starà già scrollando la testa pensando: “Io non ho rimpianti”.
Lo deluderò: è impossibile.
Partendo dal presupposto che il rimpianto è una elaborazione della mente, a cui dobbiamo aggiungere una dose non indifferente di emozioni, tenete conto che “anche se prendessimo sempre decisioni perfette la nostra vita, sarebbe sempre un patetico fallimento rispetto a come abbiamo sognato che sarebbe potuta essere: i sogni sono pregni di infinite possibilità, mentre la vita è una sola”. Incoraggiante, eh? In realtà quello che lo scrittore Oliver Burkeman sta cercando di dirci, commentando il pensiero di un altro studioso (il francese Henri Bergson), è che provare dei rimpianti, a un certo punto della nostra vita o anche spesso, è inevitabile. Come esseri umani, portati a vivere e a muoversi per la sopravvivenza della specie, siamo degli inguaribili ottimisti, tutti: tutti, guardando al futuro, ce lo immaginiamo come il migliore possibile, o almeno speriamo che lo sia. Questa speranza non viene mai meno – se non in gravi casi di sofferenza o patologia in cui non mi addentro.


Cosa vuol dire nella pratica? Risponde Burkeman: “Smettete di tormentarvi al pensiero che forse un giorno vi pentirete di una certa scelta, perché sarà sicuramente così. Cercare di evitare i rimpianti è inutile, voler sempre fare la cosa giusta significa non fare quasi mai nulla. Ma questo mi dà un inesprimibile sollievo”.
Eh sì.
Non si tratta di una condanna all’infelicità, ma della consapevolezza che non c’è niente di sbagliato nel rimpianto. E solo questo dovrebbe farvi respirare molto meglio.
Smettiamola, quindi, di porci sotto giudizio, dice Burkeman tra le righe:
•    non avrete mai tutto sotto controllo, e comunque avere sotto controllo il passato è fisicamente impossibile;
•    non siete infallibili, dovete solo riformulare le vostre aspettative;
•    occupare la mente revisionando continuamente le vostre azioni (o non azioni) passate vi toglie solo energia. Energia che potreste spendere meglio in altro.

Potremo concludere questo paragrafo dicendo che avere rimpianti fa parte della vita? Sì. E, ripeto, è una realtà che non deve rendervi tristi o frustrati, anzi.

Leggi perché nell'articolo completo, ordinabile qui. Quali sono i lati "buoni" del rimpianto? In che modo ci aiuta? E se... doveva andare così?

 

SLIDING DOORS E TUTTI I NOSTRI "E SE...?"

Il film simbolo del “e se avessi fatto così” è sicuramente Sliding doors: commedia del 1998 (tradotto, il titolo vuol dire “porte scorrevoli”) è la storia di Helen (Gwyneth Paltrow): un giorno viene licenziata (lavorava come Pr) e torna a casa dal fidanzato chiedendosi come cambierà la sua vita. Da qui il film segue due strade: in una Helen riesce a prendere la metropolitana; nell’altra, no, e deve salire su un taxi. Si snodano due dimensioni parallele, che le faranno trovare due situazioni completamente diverse, una volta arrivata a casa. E le faranno vivere due vite diverse… Il messaggio è: cosa succede se gli eventi si modificano anche solo di poco? Ma soprattutto: non dovremmo essere noi, con le nostre scelte, a cambiare il corso della vita, prendendoci serenamente la responsabilità di eventuali errori o di altrettanti auspicabili successi?