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Valeria Tonella Valeria Tonella

Donne e sport: nella pubblicità messaggi sempre più strong


EleVen by Venus è il nome della linea activewear firmata dalla tennista pluricampionessa Venus Williams

"Perché Eleven? Perché undici è meglio di dieci. Riflette la mia filosofia di vita. Tirare fuori il meglio de sé e non fermarsi mai. Sul campo da tennis come nella vita, ti permette di scoprire risorse dentro di te che non pensavi più di avere".


Anche Adidas, con il progetto "She Breaks Barriers", si impegna a eliminare gli stereotipi di genere ("ci sono sport per maschi O sport per femmine") e a denunciare le discriminazioni subite dalle atlete.


E sicuramente non vi sarete persi lo spot Nike uscito in occasione degli Oscar per celebrare la "follia" delle donne nello sport, con la voce di Serena Williams.


Una lunga "maratona"

Wikipedia riassume bene i passi faticosi che le donne hanno dovuto compiere per entrare nel mondo dello sport: "la marginalità della donna nel moderno movimento sportivo era anche la necessaria conseguenza di convenzioni sociali implicite in un'organizzazione della società che intendeva relegarla a un ruolo generalmente subordinato, limitato alla sfera dei lavori domestici e alla procreazione.

Il francese Pierre De Coubertin, inconsapevole della partecipazione anche femminile ai Giochi di Olimpia, affidò per questo alla donna una funzione ancillare, in un ruolo che prevedeva solo l'incoronazione dei vincitori. A questo si oppose la francese Alice Milliat, fondatrice, nel 1921, della Federazione sportiva femminile internazionale, con la quale riuscì alla fine a dare importanza e riconoscimento alle donne nello sport agonistico.

Nel 1922 e nel 1926 furono organizzati, a Parigi e a Göteborg, i Giochi mondiali femminili, che minacciarono di oscurare i Giochi Olimpici; il loro successo indusse il Comitato Olimpico Internazionale ad ammettere, ai Giochi di Amsterdam del 1928, la partecipazione di quelle che un giornalista definì spregiativamente le atletesse.

Inizialmente non prendevano parte alle gare di atletica, e la loro partecipazione era limitata a gare di tennis e di tiro con l'arco.

Nel 1952, solo una metà dei Paesi partecipanti inviò una rappresentanza femminile alle Olimpiadi di Helsinki. E nel 1968, a Giochi di Città del Messico, nonostante la folta rappresentanza femminile dei Paesi socialisti, la percentuale delle concorrenti non superò il 12% (845 su 7.200). Quell'anno segnò comunque una crescita tecnica del movimento sportivo femminile, che contribuì a ridurre ulteriormente lo scarto fra prestazioni dei due sessi, un progresso accompagnato da una maggior naturalezza nello sforzo atletico.

Si dovette attendere la seconda parte del XX secolo per assistere a un aumentata partecipazione femminile nello sport".

Oggi anche le aziende ribadiscono la necessità di diminuire il gender gap e il trattamento troppo differente riservato spesso alle atlete - tenendo conto le ovvie disparità fisiche - spesso toccando anche temi delicati.

Ma l'empowerment è anche questo: avere il coraggio (o il "power", il potere?) di farsi avanti per parlare di una società che sta cambiando.


"Se proviamo emozioni, ci sono che facciamo le drammatiche. Se siamo troppo brave, in noi c'è qualcosa di sbagliato. Se ci arrabbiamo, siamo delle isteriche irrazionali o pazze. Ma una donna che corse la prima volta una maratona, fu giudicata pazza. Anche quella che tirò di boxe. O l'allenatrice di una squadra NBA. O la prima a tirare di scherma con l'hijab. Vogliono chiamarti pazza? Bene. Mostra loro quanto folli possano essere i tuoi sogni".