Mestiere della Supervisione


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Dal volume N° 31

Di collaboratori che non cambiano e di leader che non li aiutano

Joseph  Grenny  (autore di bestseller e studioso del comportamento) ha consigliato e insegnato a più di 100 mila leader di tutto il mondo come ottenere il meglio da se stessi e dagli altri. La sua esperienza – combinata  alle  più recenti ricerche in economia comportamentale e scienze sociali – lo ha portato a sviluppare le “sei sorgenti di influenza”. Secondo Grenny, queste fonti di influenza, se accuratamente e costantemente alimentate, forniscono una strategia sistematica per agire sull’influenza, e danno il potere di… cambiare qualsiasi cosa.

Perché la persuasione è così importante per un leader nel mondo commerciale?
Se immaginiamo i problemi come un iceberg, i leader devono affrontare sia ciò che sta sopra sia ciò che sta sotto la linea dell’acqua. I problemi sopra la linea sono quelli “visibili”, di strategia e politiche commerciali (creare nuovi prodotti, processi…). Sono compiti tangibili, ai quali bisogna trovare una soluzione. I problemi sotto la linea,
invece, tendono a riguardare il comportamento, atteggiamenti e pensieri che non sempre si vedono chiaramente, ma che colpiscono nel profondo la capacità di realizzare gli obiettivi che stanno sopra l’acqua sotto è fatta di problemi che persistono nel tempo, di idee più difficili da cambiare. E succede che un leader non abbia gli strumenti per risolverli.

Secondo lei, quali sono le qualità di un buon persuasore?
Ci sono due cose che i leader devono fare per essere efficaci nella persuasione.
La prima: devono comprendere, nel giusto modo, i comportamenti. Per esempio, se l’obiettivo è quello di migliorare la qualità del servizio al cliente, si è portati a “snocciolare” subito un cambiamento di strategia senza prima capire i comportamenti. Se i nostri collaboratori sono letargici, disinteressati oppure se oppongono delle resistenze, dobbiamo, innanzitutto, farci un’idea chiara dei motivi che stanno
alla base di questa situazione. Bisogna andare in profondità. Ricordate l’iceberg. La seconda: i leader devono essere bravi a definire strategie persuasive. È da almeno 25 anni che studiamo il meglio che le scienze sociali hanno da offrire, guardando ai migliori leader del mondo per vedere come diffondono in azienda un cambiamento di comportamento efficace, rapido e profondo. Personalmente, ho individuato sei “fonti di influenza”, che ci possono dire se la strategia scelta da un leader porterà a dei risultati.

Quali sono queste sei “fonti di influenza”?

Le persone, in genere, fanno le cose che fanno per due ragioni: perché vogliono e perché possono. Dunque  possiamo  individuare  due  fonti  di  influenza: la motivazione e l’abilità.

Dico subito che i leader si focalizzano troppo poco sull’abilità. Invece, quando siamo capaci, e ci sentiamo capaci, portiamo a termine un compito molto più facilmente.

Comunque.
Motivazione e abilità possono essere usate in tre campi diversi: personale, sociale e strutturale.

A livello personale, ci chiediamo “Voglio farlo?” (motivazione) e “Sono in grado di?” (abilità).


I leader si concentrano molto sull’aspetto personale, per convincere i collaboratori che dovrebbero fare qualcosa. Il difficile sta nel rendere desiderabile un cambiamento e nel rendere i collaboratori consapevoli delle loro abilità.
A livello sociale, ci chiediamo: “I miei leader, i miei colleghi… mi stanno incoraggiando oppure mi stanno scoraggiando dal fare questa cosa?” (motivazione). E poi: “I miei leader, i miei colleghi… sollevano delle barriere che mi ostacolano oppure mi forniscono tutto l’aiuto e le risorse di cui ho bisogno?” (abilità).
A livello strutturale, ci chiediamo: “Quali riconoscimenti o incentivi mi dà l’azienda?” (motivazione). E anche: “La mia azienda crea l’ambiente giusto per rendere i comportamenti positivi più naturali e quelli negativi più difficili da mettere in atto?” (abilità).
Motivazione e abilità declinate dal punto di vista personale, sociale e strutturale. Otteniamo le sei “fonti di influenza” (vedi tabella).
Questi sei elementi influenzano ogni comportamento, in positivo o in negativo. Condizionano qualsiasi scelta. I nostri collaboratori pensano: “Arriverò in orario al lavoro oppure no?”, “Mi impegnerò nel mio lavoro oppure no?”.
Se i leader non hanno ben chiaro quanto questi elementi influenzano i comportamenti dei collaboratori, falliranno più spesso quando saranno chiamati a risolvere i problemi “sotto la linea dell’acqua”. Nei miei studi, ho scoperto che i leader che fanno attenzione a questi aspetti hanno una capacità dieci volte maggiore degli altri di impostare un cambiamento buono in azienda. Dieci volte di più: è tantissimo.

Parliamo allora più nel dettaglio di queste “fonti dell’influenza”. La prima che ha no- minato è la motivazione personale. Come possiamo motivare qualcuno a fare qual- cosa che non vuole fare?

In genere i comportamenti positivi sono meno diffusi di quelli negativi. Se l’obiettivo è portare le persone a tenere un comportamento positivo in azienda, un leader deve aiutarle a trovare un collegamento concreto tra ciò che viene chiesto loro di fare e i loro valori personali. Dico collegamento “concreto” perché non deve essere un rimprovero verbale o una lezione frontale sui banchi.

Il leader deve ripercorrere delle esperienze personali molto forti che un collaboratore ha vissuto e che lo porta a immedesimarsi nel nuovo comportamento.


Il collaboratore deve arrivare a pensare: “Adesso non mi sento a mio agio con questo cambiamento, ma, se mi trovassi a vivere una situazione personalmente, potrei cambiare”.


In pratica come si fa?

Vi faccio un esempio: dovevo dare ai supervisori di una catena di fast food uno strumento per convincere, senza imposizioni dirette, i dipendenti a prendere in mano la scopa e pulire l’area dei tavoli duranti i momenti di calma. Penserete che si tratti di un cambiamento di poco conto, e soprattutto: come si può convincere un dipendente a tenere pulito il pavimento… con passione?! Decisi di raccogliere e riportare le testimonianze di clienti particolarmente insoddisfatti. Un manager, allora, parlò a uno dei dipendenti raccontandogli di come, venti minuti prima, avesse visto una mamma entrare nel fast food con la figlia di due anni. La mamma stava ordinando da mangiare, e la bambina, nell’attesa, passava le mani su un tavolo sporco di ketchup lasciato da un altro cliente e alla fine… le metteva in bocca! Il dipendente aveva 17 anni e fu disgustato dal racconto. Non ci fu più bisogno di dirgli di tenere pulire l’a- rea dei tavoli: sentiva quasi un impulso morale a farlo. Ecco, usare delle storie, umane e d’effetto, crea una motivazione etica che influenza profondamente le scelte delle persone.

E la motivazione sociale? Come instillarla senza generare risentimento?

In questo caso, l’errore che commettono i leader è di non indirizzare con abbastanza forza il cambiamento, di limitarsi a diffondere la loro opinione tra i dipendenti, senza individuare dei manager o altri che possano fare “da traino”. È difficile che un’idea, “buttata nella mischia”, attecchisca. È più facile fare riferimento su un gruppo di “opinion leader”, un dieci per cento dell’azienda, più vicini ai vertici, che spargeranno i consigli tra i dipendenti.
Un altro errore si nasconde nella scelta degli “opinion leader”, che devono essere veri elementi portanti e trainanti dell’azienda. Se, per esempio, stiamo preparando un nuovo  programma per la qualità dei prodotti o il customer service, non dobbiamo andare in cerca di volontari che ci aiutino, dobbiamo scegliere attentamente chi lavorerà al nostro fianco e riporterà la notizia dei cambiamenti agli altri dipendenti. Tra i volontari, ci sono spesso persone poco influenti, che si offrono solo per visibilità o una remunerazione più alta. E ciò significa uccidere qualsiasi tentativo di cambiamento.


Fin qui abbiamo presentato il funziona- mento delle fonti di influenza dentro le aziende. Come funzionano a livello più personale? Per esempio, se vogliamo convincere il nostro capo a riconoscerci un aumento di stipendio, come possiamo utilizzarle?

Partiamo dal presupposto che un aumento di stipendio arriva non solo se il nostro capo è motivato, ma anche se è in grado di garantircelo. Quindi, dobbiamo fare i conti sia con la motivazione che con l’abilità. Spesso, quando cerchiamo di influenzare un nostro superiore, pensiamo soltanto che debba darci l’aumento, e non pensiamo che magari, semplicemente, non possa. Saremo più convincenti se argomenteremo la nostra richiesta anche in base all’abilità del nostro capo, mostrandoci più comprensivi, insomma. Se il superiore ci dice che ha solo un budget del due per cento per l’aumento delle paghe, dobbiamo fare i conti con questi numeri. Dovremo dimostrare che quel due per cento è ben speso per noi, che diamo un valore aggiunto, e che quel valore aggiunto merita un contraccambio in denaro. Pensarla in questo modo ci apre la mente, e soprattutto ci rende più persuasivi. Se dimostriamo di valere, quel valore ci verrà riconosciuto, prima o poi. E, in ogni caso, avremo fatto del nostro meglio.