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Danesi più felici del mondo: e noi?

A Copenaghen esiste un Happines Research Institute. Sì, un centro ricerche sulla felicità. L'amministratore delegato è Meik Wiking, esperto, autore di numerosi bestseller, come The Little Book of Hygge: The Danish Way To Live Well (edizioni Penguin, di cui non abbiamo trovato traduzioni in italiano).

 

La cosa interessante è che il tema ha un peso sociale e culturale così grande in Danimarca da aver non solo permesso l'apertura e il finanaziamento di centri come quello di Copenaghen, ma anche l'introduzione nel vocabolario quotidiano di un termine, "hygge", che prima non esisteva.

"Hygge" (da pronunciarsi "hugga", o qualcosa di simile...) significa letteralmente "ricercare e assaporare i piaceri della vita".

Grazie a questo concetto - e all'organizzazione della vita e del lavoro secondo questo principio - i danesi hanno velocemente scalato la classifica dei popoli più felici del pianeta. Uno dei rapporti più recenti presentati dall'Onu mette la Danimarca al primo posto; l'Italia è cinquantesima.
I fattori che contribuiscono all'aumento o alla diminuzione della "felicità percepita" sono tanti, e anche abbastanza scientifici: Pil pro capite, aspettativa di vita in buona salute, benessere dei nuclei famigliari... In base a questi indicatori, Danimarca, appunto, seguita da Svizzera, Islanda, Norvegia (e poi Finlandia, Canada, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Australia e Svezia, per citare la top ten), sono i Paesi che, a oggi, stanno meglio.

Il Regno Unito è giù, al 23° posto, e neanche gli Stati Uniti fanno i salti di gioia: 13° posto.

Proprio alcuni quotidiani sia inglesi che americani hanno riflettuto sul concetto di "hygge" paragonando il modo di vivere dei danesi a quello dei loro popoli.

Il Daily Mail, per esempio, ha intervistato Mr Wiking (che si dichiara "felice al 100%" e spiega cosa fa per esserlo) e ha raccolto dei dati: se i danesi che si dicono "in pace con se stessi, calmi e in sostanza felici" sono il 33%, gli inglesi con le stesse sensazioni raggiungono a stento il 14%, e l'età in cui ottengono qualcosa che assomiglia alla serenità sono i 65 anni - i più infelici appartengono alla fascia dei 44-46. "Ci serve aiuto e ci serve subito" dice la giornalista del Daily, soprattutto perché con i danesi, spesso, non si possono fare paragoni: chi vive in Danimarca è tutelato da un sistema di benefit (orari di lavoro ridotti, congedi di maternità e paternità più lunghi, asili, scuole e università gratuite, buoni servizi statali) che fanno la differenza. E poi c'è la cultura, la cultura "hygge": mangiare bene, non fumare, organizzare le stanze della casa e dell'ufficio perché siano più confortevoli, trasformare anche i ristoranti e i bar in luoghi "hygge", organizzare eventi "hygge". Si dice che i danesi non guardino il telefono tutto il tempo (non sappiamo come sia stato verificato, ma pare sia così); sono generalmente più cortesi; fanno ancora i picnic nei parchi; giocano molto con i figli e stanno insieme, soprattutto in inverno. Meik sostiene come ci sia una maggiore predisposizione a coltivare le relazioni, prendersi del tempo per conversazioni tranquille, vestire alla moda sì, ma comodi, accendere fuochi e candele quando le giornate si accorciano e si rischia di cadere nelle classiche depressioni stagionali da mancanza di luce (e i popoli nordici conoscono bene il fenonemo).

Leggendo tutto questo, ci viene da pensare due cose:

A proposito del secondo punto.

Il magazine Inc. ha, come il Daily Mail, raffrontato il modo di vivere danese (o quel che ne appare) con il modo di vivere americano, individuando dieci atteggiamenti o princìpi (chiamiamoli come vogliamo) che potrebbero diventare delle linee guida per essere più "hygge". Magari ci tornano utili...

1. Atmosfera: il giornalista di Inc. ammette che gli americani non sono bravi a crearla, parlando di locali pubblici. Alzano le luci, riempiono le stanze di musica, per avere un miglior "effetto". Il consiglio del Centro ricerche felicità di Copenaghen è invece di rendere gli ambienti accoglienti, e non assalire gli astanti con suoni e fanali...

2. Presenza: tradotto con "attenzione al qui e ora". Minor ansia per il dopo, spegnere il telefono, concentrarsi sulle persone che abbiamo davanti.

3. Piacere: màngiati una torta, e non sentirti in colpa. Ecco, in questo caso il concetto è sentito in maniera diversa negli Usa (dove la tendenza è spesso quella di mangiare per mangiare, e per mangiare sempre di più); qui in Italia conosciamo anche il cibo come ricchezza e ci godiamo ogni boccone... un buon inizio per diventare "hygge".

4. Parità: dire più volte "noi" al posto di "io". Condividere, momenti e ruoli. Conversare. Ricordando che la parità, così intesa, non è nemica dell'affermazione personale.

5. Gratitudine: ok, non tutti siamo abituati a fare "saluti al sole" o a prenderci momenti di meditazione per ringraziare. Ringraziare gli altri, però, è una buona abitudine, perché anche gli altri combattono le loro battaglie, passano brutte giornate... La gratitudine predispone all'apertura e alla condivisione di cui sopra.

6. Armonia: "Non è sempre una competizione". Usare le conversazioni per vantarsi, usare i social per vantarsi... non ci rende più felici. Non alla lunga, almeno.

7. Comfort: quanto pensiamo al nostro comfort? Nel vestire, nello stare seduti, nel dormire... il giornalista di Inc. rimprovera ai suoi compatrioti di essere stati educati a non sentirsi mai a proprio agio, perché c'è il rischio di "sedersi", di demotivarsi. L'adrenalina conta. Certo. Ma forse bisognerebbe guardare agli effetti a lungo termine (vedi stress...).

8. Tregua: siamo più felici quando non polemizziamo su tutto e su tutti, quando non ci sfoghiamo trasformandoci in deprecabili "leoni da tastiera" su Facebook. Nella cultura americana c'è questa credenza che avere un nemico serva a tenersi "in allerta", come un soldato in guerra. Psicologicamente, è la stessa cosa. Chiaro che i problemi e le conflittualità esistono, ma è l'atteggiamento di aggressività che ci distrugge. A volte bisogna solo alzare bandiera bianca.

9. Unione: davvero siamo troppo impegnati per "stare dietro" alle nostre relazioni extralavorative?

10. Rifugio: Wiking consiglia a tutti noi di trovare almeno un luogo dove sentirsi al sicuro. Ne abbiamo bisogno. Ecco l'importanza della "casa", intesa come "luogo della pace personale". Può essere anche una sola stanza, un prato, una spiaggia...