Noi e gli altri


Valeria Tonella Valeria Tonella

Dal volume N° 66

Keep calm e... spegni il fuoco (e il litigio)

UNA GUIDA FELICE PER DIBATTITI PIÙ FELICI (E MENO POLEMICHE)
SUL WEB, AL LAVORO E NELLA VITA

Non sono tempi facili per il dibattito, per niente, né online né offline. La rete, soprattutto, “è diventata un’alternativa, sedentaria e molto più comoda, alla lotta libera”, come scrive il professore dell’Università di Padova Adelino Cattani, nella prefazione all'ultimo libro di Bruno Mastroianni uscito in ottobre, Litigando si impara. Ma ormai quella che viviamo è una “onlife”, una vita connessa tra online e offline, fatta di chat, di post, ma anche di pseudo confronti verbali in cui le chiacchiere, le proposte, le idee vengono spesso sostituite da un combattimento che neanche i peggiori gladiatori. Se va bene, “la discussione è un dialogo tra sordi”. Come gli ultimi dibattiti per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti ci hanno mostrato (seguite il podcast di Francesco Costa? Spiega tutto benissimo).


Attenzione: il punto non è evitare il dibattito o il confronto. Già i greci (il filosofo Eraclito) credevano che “polemos”, cioè “il conflitto”, inteso anche come conflitto di ragionamenti, è “padre di tutte le cose”. Si tratta di disputare seguendo delle regole, ispirate dal buon senso e dal rispetto per l’altro, senza attacchi personali, senza tesi “fake” o scenate esplosive che sviino dal focus della conversazione.
Non uso a caso “disputare”: la “disputa felice”, come la definisce Mastroianni, si differenzia nettamente dal litigio. Gianrico Carofiglio nella sua ultima fatica letteraria, Della gentilezza e del coraggio, la chiama “discussione ragionevole”.
Lungi da me esaurire l’argomento in un solo articolo. Ma abbiamo tutti bisogno di una guida felice all’uso delle parole e delle conversazioni, per migliorarne la qualità, e migliorare anche la qualità delle relazioni, a casa e al lavoro.


Partiamo, allora, da due premesse.
1.    Chi è gentile non discute? Falso
Essere gentili non significa sottrarsi al conflitto. Carofiglio lo evidenzia così: “La gentilezza non corrisponde alla buona educazione, al garbo, alle buone maniere. (…) La gentilezza è il più potente strumento per disinnescare i discorsi semplicisti e gli attacchi verbali violenti”.
Mastroianni sottolinea che “oggi saper dissentire è ciò di cui abbiamo più bisogno”.
L’uomo o la donna civili e gentili accettano che il conflitto sia una parte inevitabile (e proficua, anche) della convivenza tra persone.
“La comunicazione ormai è comunicazione di crisi, cioè capacità di mantenere buone relazioni proprio quando le cose non sembrano andare per il verso giusto” (Bruno Mastroianni)


2.    La gentilezza è una virtù marziale
Richiede di essere flessibili, adattabili, non rigidi. In che senso? Sia Carofiglio che Mastroianni usano un’immagine, quella delle arti marziali, dove lo strumento della vittoria non è la forza bruta non necessaria. Lo scopo non è distruggere l’avversario (cosa per cui in gara si viene anche penalizzati), ma usare i suoi stessi colpi (parandoli, scansandots) per arrivare alla neutralizzazione dell’attacco, risolvere lo squilibrio. Difendendosi, certo, ma contribuendo affinché lo scontro insegni qualcosa a entrambi. Queste mosse vi ricordano, per caso, quelle di un dibattito o di una discussione? Oh yes.
Ciò a cui opponi resistenza persiste. Ciò che accetti può essere cambiato. (Carl Jung, allievo di Freud).

Caso 1 (e spesso il più frequente in assoluto): il nostro interlocutore formula qualcosa di categorico
Cosa faremmo di solito: reagiremmo con una risposta uguale e contraria, dai toni altrettanto aggressivi e categorici – succede in una riunione, con i clienti, soprattutto sui social, dove i commenti raggiungono velocissimamente toni accesi, e per difenderci… digitiamo e digitiamo sempre di più. Succede soprattutto sulle grandi questioni: economia, politica… e Covid, ovviamente.
Perché non funziona: il dissenso dell’altro non viene né ridotto né tanto meno eliminato; risulterà invece amplificato. Il conflitto si inasprirà, e uscirne con qualche teoria condivisa ed efficace sarà impossibile.
Cosa fare: primo, manteniamo la calma. “Offendili con la tua serenità” dice il saggio. Lasciamo che l’altro liberi i suoi istinti più violenti, ma non lasciamo che spinga anche noi a farlo. Non è tutto permesso, in una discussione ragionevole.
Poi, tranquillamente, chiediamo prove, verifiche, conferme: le affermazioni di chi abbiamo davanti (come le nostre) devono poter essere controllate. Chi sostiene una tesi deve essere disponibile a dimostrare che è vera, perché, come sottolinea Carofiglio, “formulare una teoria comporta un impegno di verità e di correttezza nei confronti del destinatario o dei destinatari”. Pensiamo a quante discussioni si risolverebbero in pochi minuti se gli aggressivi si fermassero e dovessero prendersi l’onere di dimostrare quello che dicono, prima di arrabbiarsi! “Se affermo che nel lago di Loch Ness esiste un mostro da secoli e il mio interlocutore mi risponde che non è vero e che dovrei fornire delle prove, non posso replicare chiedendogli a mia volta di dimostrare che il mostro non esiste”. Chi fa un’affermazione deve provarla e non scaricare il dovere di prova su chi dice il contrario (in termini giuridici si parla proprio di “onere della prova”). Cioè: non dobbiamo dimostrare noi che gli unicorni non esistono: lo deve fare chi dice che esistono!
L’importante è impedire che l’altro si scosti dall’argomento della conversazione, magari con attacchi personali. Il focus deve restare sul tema principale. Chiedi, magari, “Puoi spiegarti meglio su questo punto?” oppure “Quindi stai dicendo che…”.
Se ci attaccano sul personale, evitare di focalizzarsi su questo. Usiamo la tecnica del piano B, portando l’attenzione su altro, sul discorso: “Mi spieghi su che cosa non sei d’accordo di preciso rispetto a quello che ho detto?” (Cristina Scaraffia, Freelance Camp Roma 2020)


Caso 2: il nostro interlocutore è un pessimista cosmico
Carofiglio: “Essere pessimisti, quando non catastrofisti, interferisce con la capacità di affrontare e risolvere i problemi. Se pensiamo che le cose vadano sempre peggio, lo faranno. Distogliamo lo sguardo dal futuro, di fatto rinunciando a esso”.
Cosa funziona: dati. Grafici. Analisi dei dati e dei grafici. Confronti e parallelismi. Un pessimista si affronta solo con numeri e prove alla mano, per dimostrare che no, il futuro non è privo di prospettive, e che se va male, ci sono degli strumenti per fare fronte alla situazione. Con i dati ci dimostriamo preparati. Soprattutto spiegateli: primo, con un tono calmo (vedi sopra), secondo con estrema chiarezza. Calma e chiarezza sono gli antidoti all’irrazionalità, alla paura, alla rabbia. E verifichiamo che il nostro interlocutore abbia capito bene tutto, che non ci siano cose fraintendibili.
Attenzione: Questo tipo di interlocutore potrebbe fare molta leva sulle emozioni: “Mi spaventi/mi ferisci/mi metti ansia: con te non ci parlo più”. È solo un modo per dire… che non ha nulla da dire, perché qualsiasi emozione (anche quelle negative) devono servire ad arricchire, non a negare i confronti!
“Lascia andare le persone che condividono solo lamentele, problemi, storie disastrose, paura e giudizio sugli altri. Se qualcuno cerca un cestino per buttare la sua immondizia, fa' sì che non sia la tua mente” (Dalai Lama)

Caso 3: il nostro interlocutore è un egocentrico
La parola che usa più spesso è “io”. Ha come obiettivo primario quello di soddisfare le sue urgenze, perciò non si preoccupa degli altri. Queste urgenze (spesso fittizie) si impongono sulla discussione e la fagocitano. Di più: svaluta l’altro per rafforzare la sua autostima, e ovviamente la colpa delle cose non è mai sua. Anzi. L’egocentrico (o narcisista) pensa di meritare un trattamento speciale rispetto al resto del mondo. Il perché non si sa, lo sa solo lui/lei. Questo, purtroppo, lo/la porta a dichiarare spesso che “tutto fa schifo”, e se si sente ispirato, istigherà il litigio, con frasi autoreferenziali tipo “fidati, lo so per esperienza/perché ho studiato”, “ti pare che io non sappia ciò di cui parlo?”, fino all’attacco “cosa vuoi saperne tu”.
Altre finte argomentazioni possono essere “Quello che dici tu è falso, non si discute! (per principio oppure “non mi sembra questo il momento o il luogo adatto!”.
Cosa non funziona: seguire l’egocentrico nelle sue verità assolute. Rispondere con la stessa forza alle provocazioni. Essere scontrosi. Potremmo litigare, certo, ma ne usciremmo senza avere risolto la controversia e molto, molto frustrati (ricordate: il litigio dà soddisfazioni solo nell’immediato).
Cosa funziona: L’egocentrico non esercita il dubbio, quindi il punto è proprio concentrarsi sul fatto che esistano teorie e prospettive differenti, e descriverle il più obiettivamente possibile.
Se poi l’interlocutore si fa troppo fazioso o anche aggressivo, possiamo sempre ricorrere a una bella dose di ironia, rispondendo con “stile” e in modo leggero con battute intelligenti, per diminuire la tensione. È difficile, eh (Carofiglio definisce l’ironia una “virtù”), bisogna essere allenati, ma aiuta a disinnescare la bomba.
Un egocentrico può anche spingerci a rinunciare alla discussione, il che, come vedremo più avanti, non è sempre un male!

Fonti: Della gentilezza e del coraggio, Gianrico Carofiglio (Feltrinelli, 2020); Litigando si impara, Bruno Mastroianni (Franco Cesati Editore, 2020); Avere ragione. Piccolo manuale di retorica dialogica, Adelino Cattani (Dino Audino, 2019); Tienilo acceso – Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello, Vera Gheno e Bruno Mastroianni (Longanesi, 2018)