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Simon Sinek: il cliente non va (sempre) al primo posto

Simon Sinek è un etnografo che ha tradotto il suo studio sul comportamento umano in insegnamenti per leader e organizzazioni su come ispirare le persone. Affascinato dai leader e dalle aziende che hanno un grande impatto sul mondo, ha scoperto alcuni modelli interessanti nel loro modo di pensare, agire e comunicare.
Autore del bestseller Start With Why, illustra i punti di forza della leadership basata sulla fiducia e sull’impegno e dei team che ottengono risultati eccellenti.
Il successo del libro, a cui ne è seguito un altro, lo ha portato a incontrare numerosi leader e organizzazioni (3M, Disney, KPMG, Pfizer, NBC/Universal, jetBlue), agenzie governative e militari.
Sinek applica la teoria evolutiva al management. Attraverso l’analisi dell’evoluzione della leadership, è giunto alla profonda comprensione di come creare ambienti in cui le persone lavorano insieme naturalmente per fare cose notevoli.


Da cosa si distinguono, allora, i bravi leader?

Dal fatto di comprendere che la loro principale responsabilità riguarda le persone, non i risultati. Si dice, ma non si fa. Tutte le organizzazioni del pianeta sono composte da persone e se il leader dimostra che il loro lavoro è prezioso sentiranno di essere preziose per l’organizzazione. E si metteranno a lavorare ancora più duramente.

Vengono prima i clienti o i collaboratori?
Domanda provocatoria, ma non ho dubbi: non fidatevi delle aziende che mettono il cliente al primo posto. Significa che metteranno i collaboratori al secondo.
I clienti non devono essere la priorità. Le persone che entrano in contatto con te: ecco la priorità. Possono farlo comprando qualcosa o lavorando per te: non cambia. Sono tutte persone, e ogni decisione di business dovrebbe essere presa considerando l’impatto che avrà sulle persone.
Dividere la popolazione in due sezioni – collaboratori e clienti – e avere diversi standard di comportamento con loro è una specie di… razzismo (passatemi il termine). Trattare un gruppo meglio di un altro farebbe rivoltare Martin Luther King nella tomba!
I have a dream! Che un giorno collaboratori e clienti siano trattati equamente, ed “equamente” bene. Non per ciò che fanno o per come devono essere visti, ma perché sono tutti persone. Collaboratori e clienti possono entrambi essere felici o feriti. Possono entrambi vivere per sentirsi valorizzati, che il motivo sia il lavoro fatto o l’acquisto appena deciso.
Le persone sono la priorità per un leader.

Cosa non deve mancare a un leader?
La capacità di mostrare il “perché”: perché stiamo facendo questo lavoro? Perché continuiamo a lavorare per questa azienda? Cominciare dal perché. Andare al centro di tutto.
È divertente: l’ho scoperto proprio quando avevo perso la passione per quello stavo facendo, il mio precedente lavoro, nel settore della pubblicità. E se lavori per qualcosa di cui non ti importa più niente, arriva lo stress. Il contrario positivo è la passione. Se non c’è passione, c’è stress, e viceversa. Nel mio percorso alla ri-ricerca della passione, ho scoperto l’importanza del “perché” e ho capito quello che mi era successo.

Lei ha accostato il ruolo dei leader a quello dei genitori. I nostri geni, però, non sono più importanti dei contratti con le aziende per cui lavoriamo?

Sì, ma essere genitori è una scelta: in generale si sceglie di avere dei figli. Allo stesso modo è una scelta anche quella di diventare un leader. Ottenere una promozione non trasforma qualcuno in un leader: significa soltanto che è stata conferita un’autorità.
Per contro, la scelta di diventare un leader, come quella di essere genitori, implica prendersi cura di chi dipende da te, aiutarlo a crescere, a imparare, ad avere fiducia in se stesso, in modo che raggiunga tutto ciò che desidera e molto di più.

Dunque la leadership che cos’è?
Non è una carica. Dovrebbe essere una scelta.

Nel libro Start With Why dice che i clienti non ameranno un’azienda se per primi non la amano quelli che ci lavorano. Come si riesce a far innamorare quest’ultimi?

Se li si tratta come risorse rimpiazzabili, facendoli sentire meno importanti dei numeri, se si licenziano molti non appena i bilanci annuali vanno male, senza tener conto dei loro sforzi, allora non ci si può aspettare che si innamorino dell’azienda. Le persone rispondono biologicamente a questo tipo di situazioni come una forma di auto protezione: si recludono, non si assumono rischi di fare cose innovative, non condividono informazioni. È quello che io chiamo il “cerchio della sicurezza”. Perciò risulta fondamentale che i leader “coprano le spalle” e li facciano sentire al sicuro. Se questo succede, la reazione naturale sarà di fiducia e cooperazione.

Qual è la differenza tra leadership e management?
Il management è fare cose, ed è necessario perché i processi e le operazioni che ogni giorno devono essere fatte, vadano fatte.
La leadership, invece, è qualcosa di diverso: riguarda le persone. Non è tanto ciò che fai, ma come sei, come ti comporti con chi lavora con te, come mostri il tuo lato più umano.
I leader non sono responsabili dei risultati. Sono responsabili delle persone che sono responsabili dei risultati.
Se sei in una posizione di leadership, chiediti: “Quale percentuale del mio tempo dedico al management e quale alla leadership?”. Se la percentuale di leadership è più bassa, anche i numeri (in termini di produzione, fatturato…) seguiranno questa tendenza…

Come possono i leader essere responsabili di vera innovazione nelle aziende?
L’innovazione non è un sogno, l’innovazione è una battaglia. L’innovazione non è costruire il futuro, ma risolverei problemi qui, nel presente.


Vi faccio un esempio: nel 1975 un giovane regista senza un grande curriculum progetta di realizzare un film horror. Vuole che l’elemento principale della trama siano gli attacchi di uno squalo, con tutta la loro violenza. Vuole che gli spettatori vedano questo enorme animale, nato per uccidere, divorare le sue vittime.
Ma c’è un problema: gli squali meccanici a disposizione per il film non funzionano come dovrebbero per dare questo effetto. E la tecnologia digitale non è abbastanza avanzata.
Il team di Steven Spielberg – di lui parliamo – lavora per trovare una soluzione: lasciare che sia lo spettatore a immaginare tutto. Una pinna, qualcuno che sparisce nell’acqua e l’acqua che si colora di rosso. Fatto. Addirittura in altri film della saga vedremo solo una boa gialla che viene spinta in superficie. Sappiamo che c’è uno squalo, lì sotto. Anzi lo immaginiamo. Non c’è, ma è come se ci fosse.


L’effetto è così spaventoso e potente da influenzare l’immaginario dell’epoca (oltre che noi spettatori moderni!). In America, dopo l’uscita del film, si diffuse una specie di “isteria da squalo”: la gente ci pensava due volte prima di fare il bagno nell’oceano. E nei film di Spielberg è tutto finto! Ma Spielberg sapeva che la suspense è nell’immaginazione, non nei nostri occhi.
All’inizio delle riprese tutto ciò non sembrava possibile, ma Spielberg, senza troppo denaro o altre risorse, trovò una soluzione al problema degli squali meccanici.

Quando mancano le risorse, quando manca il denaro, o se qualcosa per il verso storto, solo allora innoviamo veramente. Così le grandi aziende creano prodotti davvero innovativi. Pensateci! Altrimenti creerebbero tutti i prodotti che vogliono… ma non sarebbero quelli davvero innovativi.
L’innovazione c’è quando siamo costretti a trovare modi nuovi di fare le cose.

Quindi, che cos’è l’innovazione?
Spesso una necessità.