Strategie e tecniche


Maria Bietolini Maria Bietolini

Dal volume N° 69

Rebranding: il logo è l'anima dell'azienda (anche di una PMI)

 

IL MARCHIO È VALORE: E NON È IL TUO MESTIERE!
REGOLE, TREND E UNA CASE-HISTORY ITALIANA: IL REBRANDING ASSITECA

Il logo di un’azienda o un prodotto è molto più di un puro simbolo o della scelta di un carattere (tecnicamente: font).
Un logo è l’immagine personificata di un’organizzazione, e quindi ha l’onore e l’onere di rappresentare il brand di un’azienda, o l’azienda stessa. Secondo alcuni, una delle prime cose da fare insieme allo sviluppo del prodotto o servizio chiave, è proprio lo sviluppo di un logo forte e distintivo che diventerà “la faccia” dell’azienda.
Mica bruscolini… il logo dice chi siete, a volte (nei casi più riusciti) vi rende immediatamente affidabili o riconoscibili anche senza il nome scritto: vedi lo “swoosh!”, una mela addentata o due archi allungati, e leggi Nike, Apple o McDonald's. Basta un segno, e li chiami per nome. Wow.
Non è necessario che descriva il vostro business, ma deve rappresentare la storia o la visione del brand o dell’azienda – perché il logo non vende di per sé, ma costruisce: la relazione, la fiducia, il senso, la storia.
Specialmente nel caso dei loghi corporate, è proprio di “volto” aziendale che si tratta: il simbolo rappresenta l’azienda come un’impronta digitale, quindi la scelta dell’immagine o segno, del carattere, dei colori costituisce l’insieme e la sintesi di ciò che l’azienda vuole dire ai suoi clienti nella costruzione della relazione.
Poi, naturalmente, il logo aziendale costituisce il riferimento “madre” per lo sviluppo dell’identità di marca e della comunicazione su tutti i materiali – fornendo gli elementi guida o ancoraggi per i diversi aspetti creativi del progetto: dai caratteri ai colori, ma anche stile e tono di voce.
Il logo è logica, oltre che cuore.

Fareste fare il vostro lavoro a un grafico? No, eh? (quindi?)
Pragmaticamente: un logo azzeccato distingue, posiziona, comunica, “fa”. Vale il tempo di investirci su, e vale la spesa.
Oggi, invece, troppo spesso le aziende medio-piccole prestano poca attenzione ai loghi, o meglio si limitano a soluzioni banali: solo una scritta magari scelta un po’ a caso o segni/disegni freddi che cercano di rappresentare un dettaglio anziché un mondo, oppure (aiuto!) simboli prefabbricati tipo clip-art e icone d’archivio (magari gratuite). Peggio ancora: è un classico il caso dell’imprenditore che in prima persona “si diverte” a fare il creativo, pilotando come mero esecutore l’art director o il grafico, magari anche bravi se lasciati lavorare come i professionisti che sono. (E poi, va da sé: quando in azienda si fa il “corridor test”, il sondaggio al volo in corridoio, chi oserebbe mai dire al capo o al padrone che il parto del suo ingegno è un papocchio?)

Il risultato di un lavoro sottovalutato o preso come “divertimento” è inevitabilmente quello di partire con una mancanza di identità e tanta possibilità di essere confusi con ennemila altri – e di fare confusione nello sviluppo della comunicazione e dei materiali, tipicamente trovandosi ad applicare lo stesso logo in modi diversi a seconda delle occasioni, modificarne i colori, avere versioni diverse applicate in contemporanea…
Un logo dovrebbe essere come un diamante: per sempre. Poi, certo, se nella vita cambia l’amore, anche un logo può cambiare… ma perché si matura, non per colpi di testa!

LOGHI: COSA FANNO I TOP BRAND?
Il 95% dei 100 top brand nel mondo usa solo uno o due colori nei loro loghi. (fonte: Design Buddy)
Il 63% usa un carattere “bastone” (cioè senza grazie); per il 21% è l’Helvetica. (fonte: Tasty Placement)

10 CONSIGLI-BASE PER LA CREAZIONE DI UN LOGO
1.    Quasi mai la prima idea è la migliore (vedi i primissimi loghi di Apple o Amazon: bleah! Da non credersi!).
2.    Meglio partire da uno schizzo a mano, non dal computer (la creatività prima, poi si affina).
3.    Più semplice è, meglio è: pensa a Nike (la regola è sempre: KISS – Keep It Simple, Stupid!).
4.    Parti dal design del logo in bianco e nero: aiuta a semplificare, a definire il tratto, la personalità e la leggibilità – se non funziona in bianco e nero, nessun colore lo salverà.
5.    Usa colori “intelligenti”: evita colori troppo brillanti (possono dare fastidio), non usare colori fluo o troppo chiari (nei formati piccoli e a video tendono a scomparire), ricordati che ogni colore evoca qualcosa – un’emozione, un mondo, anche un settore.
6.    Vacci piano con gli effetti! Illustrator e Photoshop hanno molti vantaggi ma… generano mostri: poter fare tutto può portare a sperimentare ogni filtro e delirio. Torna ai punti 2, 3 e 4.
7.    I caratteri tipografici sono determinanti. Qui sì che bisogna provare tante opzioni diverse: a parte la scelta fra bastone e graziato, nel design le dimensioni contano – e anche il peso, l’inclinazione, la rotondità… Ci sono font applicabili in più situazioni e altre in pochissime – per leggibilità e personalità. Per dire: in Comic Sans qualunque brand sarà improbabile, non c’è bisogno di spiegazioni…
Ogni carattere ha il suo… carattere: provate a scrivere la stessa parola 20 volte usando 20 font diversi, il senso e il tono di voce cambieranno drasticamente!
8.    Disegna il “tuo” carattere: una cosa invece che richiede impegno ma può fare la differenza è modificare un carattere tipografico esistente in modo da personalizzarlo oppure crearne uno completamente nuovo. Il logo sarà unico e distintivo di per sé (anche ai fini della sua tutela) e, in casi fortunati, sarà lo stesso lettering (il modo in cui la parola è scritta) a creare un logo inedito, senza bisogno di altri segni. CocaCola insegna!
9.    Colori: parlano, emozionano, provocano reazioni. Potremmo parlarne per ore. Per prima cosa diciamo che il fatto che siano infiniti non significa usarli a mani basse (torna a KISS! e punti precedenti). Ogni colore ha un suo carico di significati e di vissuto.
Quindi se tanti marchi di servizi, medicina e finanza sono nei toni del blu c’è un perché (trasmette autorevolezza, sicurezza, tranquillità), così come se tanti marchi giovanili o di alimentari sono rossi (amore, passione… ma il rosso trasmette anche lo stimolo della fame!).
10.    Segno: la parte disegnata del logo si chiama “pittogramma”, e spesso è quella più ricordata – a volte “parla da sola” e diventa icona. È la sintesi della storia o della visione del brand. Può essere descrittivo, vedi la sirena di Starbucks o il coccodrillo di Lacoste; o un “semplice” segno, vedi quello celeberrimo di Nike, originariamente simbolo delle ali della dea greca della vittoria, di fatto ormai un segno che è diventato un suono – lo “swoosh!”, come un’accelerazione, uno scatto, un salto per spiccare il volo.


Esempi di font “classici”
Serif, cioè con le cosiddette “grazie”: Times New Roman, Georgia, Trajan, Garamond.
Sans Serif o “bastone”, senza “grazie”: Helvetica, Myriad, Calibri, Futura, Arial, Verdana.

MA QUANDO E PERCHÉ UN LOGO AZIENDALE PUÒ O DEVE CAMBIARE?

La parola esatta è “rebranding”: cioè, la modifica o evoluzione di un logo e, di conseguenza, dell’immagine coordinata che ne consegue.
Le motivazioni possono essere diverse, prima fra tutte la inevitabile obsolescenza degli stili. Mantenere inalterato un marchio per anni o decenni può essere una precisa scelta strategica –mantenere l’immagine “di una volta” per un brand tradizionale o dal forte vissuto storico. Altre volte (poche) il logo è perfetto così; anche se di marchi inalterati in realtà ce ne sono ben pochi, pressoché tutti nel tempo hanno fatto un lifting, magari impercettibile o a piccoli passi: basti pensare a CocaCola o alla già citata mela di Apple.

 

C’è poi un fattore del tempo diverso dal puro calendario: nel tempo cambia anche quello che si definisce “sentiment” del pubblico, cioè il modo di provare empatia e reagire alle cose. Pensiamo solo a come cambiano nel tempo le abitudini e le parole – e il modo in cui le interpretiamo!
Pare rientrare in questo filone il grande numero di aziende e prodotti che stanno rivedendo la loro immagine quest’anno, come se il 2020 e i suoi paralizzanti eventi si fossero ora tramutati in un’ansia positiva, dando vita a quello che a distanza di sei mesi dai primi grandi rebranding potremo definire un trend.
Non ci siamo alzati stamattina con questa idea in testa: è stato nientepopodimeno che l’Economist a rilevare recentemente che molte multinazionali stanno sostituendo i loro caratteri classici con quelli più tondi, morbidi, “amichevoli”.

È una tendenza che va anche oltre i loghi: a fine aprile Microsoft ha reso noto che il prossimo aggiornamento del pacchetto Office avrà come cuore non una funzione, bensì il nuovo font predefinito per i suoi programmi – attualmente il Calibri (senza grazie, che nel 2007 aveva già sostituito l’originario graziato e classicheggiante Times New Roman).
Perché? Secondo quanto dichiarato da Microsoft: “Il font standard definisce la prima impressione, il carattere del prodotto, e non può essere sottovalutato”.
I caratteri tipografici sono infatti parte del tono di voce che non è solo questione di audio, ma è di scelta delle parole e degli elementi visivi. Anzi: in un mondo in cui tanta parte della relazione è basata su contenuti visivi, il modo in cui scriviamo diventa centrale. Insomma: il font “siamo noi”. Anche per questo sarebbe importante sceglierne uno facilmente applicabile in tutte le comunicazioni e situazioni).

Questo nuovo trend, quindi, vede da un lato una semplificazione dei loghi a livello di pittogramma (la parte disegnata, il “segno”); dall’altra l’evoluzione verso caratteri che vadano oltre la migliore leggibilità, che può essere fredda e anonima come quella dei soliti Frutiger, Avenir o Arial. Ecco allora la ricerca o la creazione di nuovi font con gli angoli il più possibile arrotondati, fluidi, “abbraccianti… affettuosi, potremmo dire.

UNA CASE-HISTORY IN ANTEPRIMA: IL REBRANDING DI ASSITECA

Il nuovo trend evidentemente lavorava sottotraccia già dall’anno scorso, e sta coinvolgendo anche i marchi italiani.
Tra le prime aziende ad avere le antenne alzate c’era Assiteca, il più grande Gruppo italiano nella gestione del rischio d’impresa e nel brokeraggio assicurativo, che proprio ora, giugno 2021, inizia il nuovo corso della immagine corporate.

Il suo logo “storico”, pur attraverso alcuni cambiamenti, ha sempre rappresentato il concetto di crescita, che è un concetto positivo. Allora perché cambiare?


V+ ha intervistato Dario Zerboni, Direttore Comunicazione, Relazioni Esterne e Rapporti Istituzionali.

Allora… perché cambiare?
Assiteca sta per celebrare il suo 40° anno di attività: abbiamo ritenuto fosse l’occasione giusta per ripresentarci ed evidenziare meglio il capitale umano, la sua protezione e valorizzazione. Ma non si cambia per il puro gusto di cambiare: il marchio credo debba rappresentare non solo o non tanto l’azienda in sé, ma la sua visione.

Avete avuto un approccio strategico, quindi…
Certo: prima di avviare il lavoro di restyling, abbiamo effettuato una ricerca, da cui è emerso che in effetti il brand Assiteca godeva di un’ottima reputazione, ma la sua rappresentazione visiva andava invece adeguata al posizionamento percepito dell’azienda.

Così avete “asciugato” l’albero fino ad arrivare alla pura “A”.
Sì: la lettera A del nostro nome è diventata un pittogramma, dalla forma morbida e rassicurante, costruito attorno a una figura umana – il blu accarezza e ricrea le spalle, il capo…
Arrivati a questa essenza concettuale, il segno (che è stato creato da un rinomato designer italiano) assume anche altri significati. In particolare: rappresenta una freccia, per sottolineare l’orientamento alla crescita e all’innovazione di Assiteca.
Dopo una fase di lancio “puro”, inizieremo a declinare il nuovo segno in diverse modalità comunicative che consentiranno di affermare appieno la sua “personalità”.

Anche il lettering del nome è cambiato: basta angoli e asimmetrie, tutto sembra essere alla ricerca dell’equilibrio, dell’armonia…
Quello sul carattere è stato un lavoro importante: non si tratta infatti di un font esistente, le lettere sono state appositamente disegnate proprio per essere uniche e, soprattutto, per armonizzarsi con il pittogramma. Si è optato per un mix molto particolare di lettere maiuscole e minuscole, con le “a” minuscole in modo da riprendere ed accompagnare il centro del pittogramma.

LESSON LEARNED

1.    La personalità della marca è valore per la marca: vale la pena investirci tempo (e risorse).
2.    Arrivare alla semplicità è un processo elaborato, ma ripaga sempre (non solo nella grafica…)
3.    Nel tempo i codici, i vissuti e la percezione cambiano, e ogni cambiamento è strategico.