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Quando Pavese rifiutò un lavoro (e come affrontare i "no")

Foto segnaletiche di Cesare Pavese (durante le sue lotte politiche) Fonte: letteratura.rai.it

Cesare Pavese vinse il premio Strega nel 1950. Piemontese, nato nel 1908, ha lasciato romanzi immortali come La luna e i falò, saggi e diari (vi consigliamo Il mestiere di vivere), traduzioni degli autori stranieri più famosi (Moby Dick, Uomini e topi, David Copperfield...).

Ma.

Ma c'è una storia che si tramanda tra gli amanti di vicende paraletterarie, quegli aneddoti, cioè, che riguardano la vita degli scrittori e sono tanto interessanti quanto i loro libri.

C'è una storia, e riguarda una lettera di rifiuto. Lettera che Pavese avrebbe scritto alla casa editrice per cui lavorava. Sì, Pavese rifiutò un lavoro. Almeno così sembra. E per motivi puramente economici: "sei sigari Roma".

L'immagine è stata postata e ripostata sui social, con gaudio di quanti hanno inviato non solo manoscritti, ma anche curriculum o proposte di lavoro, ricevendo rifiuti e restando inconsolati.

Purtroppo per loro questa lettera è un falso, nel senso che Pavese la scrisse realmente, ma come esempio di "scherzi d'autore", brani scherzosi (anche pungenti) che lo scrittore buttava giù per gioco e pura delizia letteraria.

Nel volume delle Lettere dove è riportata, infatti, si può trovare anche la lettera scritta dall'editore a cui Pavese rispose - lettera non meno ironica.

Cesare Pavese fu uno dei fondatori della casa editrice Einaudi, e pubblicò tantissime opere a "marchio" Einaudi.

E quindi?

Ci dispiace per chi aveva fatto di Pavese e della sua lettera di rifiuto una fonte di consolazione dopo un "Siamo spiacenti di informarla..." - magari stampandola e attaccandola al muro come monito per non arrendersi mai.

Lo spirito di Pavese dovrebbe, in ogni caso, albergare in ognuno di noi, quando riceviamo un "no". Lui ebbe successo in vita e dopo, non c'è dubbio, ma aveva anche un forte senso dell'umorismo, che dovremmo mutuare.

Più in pratica, come reagire alle "lettere di rifiuto" o in generale ai rifiuti che riceviamo?

La malattia di questo secolo? La bassa autostima.
Dietro a grandi macchine potenti, dietro ai lustrini e ai tacchi vertiginosi, scorgo spesso un ego mozzafiato e una autostima piccola piccola, come la cruna di un ago.
Gli animali mi ricordano, che chi abbaia più forte, è il più piccolo, è chi ha più paura.
Ed oggi giri nelle strade del centro, trovi ricchezza tra gli abiti sgualciti e povertà dietro a grandi macchine griffate ed i lustrini.
Se sei grande dentro, non ti serve urlarlo fuori. Puoi nasconderti quasi non visto tra le cose e le persone, compiere gesti eroici, grandi imprese. Sì, non visto, in silenzio, dietro falso nome. Come gli angeli e i benefattori.
(Stephen Littleword)

Fonte: www.letteratura.rai.it