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EX SINDACO DI NEW YORK, ALLA GUIDA DELLA CITTÀ QUANDO CROLLARONO LE TORRI GEMELLE, RUDOLPH GIULIANI SA BENE QUALI SONO LE DUE QUALITÀ CHE UN LEADER DEVE AVERE: OTTIMISMO E CORAGGIO. PER SUPERARE QUALSIASI CRISI

Intervista a Rudolph Giuliani A CURA DELLA REDAZIONE PER GENTILE CONCESSIONE DI WOBI

Nell’immaginario collettivo il leader è spesso “l’uomo del destino”, il condottiero dotato fin dalla nascita di capacità straordinarie grazie alle quali riesce a trascinare gli altri con successo. In realtà ci sono due scuole di pensiero sulla leadership: una che la avvicina molto a questo stereotipo e un’altra che sostiene invece che la leadership non è un fenomeno naturale, ma un’abilità che si può insegnare, imparare, sviluppare.

Di quest’ultimo parere è un personaggio che si è conquistato i galloni di leader gestendo con grande successo la città di New York in qualità di sindaco. Parliamo di Rudolph W. Giuliani, che ha rilasciato qualche anno fa a Milano l’intervista che trovate in queste pagine.

 

Rudolph Giuliani nasce nel 1944 da nonni immigrati italiani, originari di Montecatini Terme, in Toscana. Dopo aver svolto i lavori più disparati per mantenersi agli studi, si diploma e poi consegue due lauree, la seconda in legge nella prestigiosa Law School of New York University. A 27 anni riceve l’incarico di Procuratore distrettuale di Manhattan. Di lì parte la sua straordinaria carriera nel mondo della giustizia, che lo porterà a essere sindaco di New York dal 1994 al 2001. Le sue qualità di leader emergono soprattutto l’11 settembre 2001, quando si distingue come la personalità più salda d’America guidando la città e la nazione attraverso la più grande tragedia a cui il popolo americano abbia assistito sul suo territorio.

Giuliani crede che la leadership si apprenda, e le sue osservazioni sui princìpi che ne sono alla base sono di notevole valore pratico per chi vuole migliorare le proprie qualità di leader.

 

Signor Giuliani, che cosa pensa dell’ottimismo nella leadership?

Per essere un leader bisogna essere ottimisti. Se non lo si è, è molto difficile guidare gli altri. In realtà io suggerisco di essere ottimisti sempre e comunque. È molto più divertente essere ottimisti piuttosto che pessimisti. Nessuno va a cena volentieri con un pessimista. Nessuno è disposto a passare il tempo con un pessimista. Se si vuole essere leader, bisogna essere ottimisti.

Pensate per un attimo se avessi cominciato il mio discorso così: “Le cose vanno male, molto male e sono destinate ad andare peggio. Non c’è speranza”. E ci sono intorno a noi molti personaggi che comincerebbero proprio così. Ma gli individui seguono la speranza, i sogni, il soddisfacimento delle aspirazioni, seguono chi offre soluzioni ai problemi. Uno degli aspetti più qualificanti di un leader è non soltanto offrire idee, ma offrire idee che danno speranza, che suggeriscono soluzioni. Se tu hai una soluzione a un problema che tormenta una folla, quella folla è pronta a seguirti. Ecco perché è così importante addestrarsi a essere ottimisti, a saper risolvere i problemi. Ma, come chiarirò in un momento, ciò può valere nel bene e nel male, può servire a conseguire scopi nobili o perversi. Ciò è vero sia per i leader orientati al bene che per quelli orientati al male. Noi tutti conosciamo esempi della storia del mondo in cui sono state proposte soluzioni irrazionali, disoneste, criminali, e tuttavia le folle le hanno adottate.

 

Quindi offrire soluzioni è fondamentale per trascinare gli altri?

Offrire soluzioni, possibilmente quelle giuste, adeguate, buone, ha un grande potere, ma è importante che comprendiate il processo: supponete che qui esploda un tumulto, ci sia il rischio di una bomba o di un incendio e io mi alzi e gridi: “Conosco la via d’uscita, conosco la via di uscita!”. Ebbene tutti verranno da me. Qualcuno penserà: “Non so come uscire, ho paura di non poter scappare da qui”; un altro sarà impietrito dalla paura; un altro ancora griderà preso dal panico. In ogni caso, sentendo urlare “Conosco la via d’uscita”, correranno da me e mi seguiranno perché sto offrendo loro la soluzione.

Per essere un leader quindi bisogna saper offrire soluzioni. Nel business hanno successo le persone che sono positive, che offrono soluzioni, e nel governo è la stessa cosa. Quando mi fu affidato l’incarico di cambiare New York, la città presentava un deficit di 2,5 miliardi di dollari nel suo budget e registrava quasi duemila omicidi all’anno; dovetti circondarmi di persone che nell’emergenza potessero dire: “Seguitemi, conosco la via d’uscita”. L’11 settembre del 2001 rimanemmo bloccati in un edificio che era stato investito dalla caduta di una delle torri, e dovemmo vivere l’esperienza di evacuarlo anche se tutte le uscite erano bloccate. Ci concentrammo sul problema e con l’aiuto di un addetto alle pulizie trovammo il passaggio da cui uscire, cercando di rimanere calmi, focalizzati sulla soluzione.

 

Torniamo all’ottimismo. Può darci qualche altro esempio della sua importanza?

Essere ottimisti è enormemente importante. So che il football americano è diverso dal calcio italiano, ma penso che questa illustrazione possa valere per entrambi. C’è stato un allenatore, Vince Lombardi, che adesso sfortunatamente non è più con noi ed è considerato uno dei più grandi di tutti i tempi: allenò la squadra dei Green Bay Packers e vinse il Superball e molti campionati. Fu una leggenda.

Verso la fine della sua carriera venne intervistato da un giornalista, che gli chiese: «Coach, (così sono chiamati gli allenatori in America) lei ha vinto tanti incontri, campionati, trofei ed è stato sempre molto competitivo. Che cosa ha provato le volte in cui ha perso?». E Lombardi gli rispose: «Ma io non ho mai perso!». Il giornalista disse: «Non per contraddirla, è il mio eroe, ma lei ha perso delle partite, poche, ma le ha perse!». L’allenatore lo guardò serio, irritato e disse: «Non ho mai perso nessun incontro. Mi è solo venuto meno il tempo!».

Questo è lo spirito, il cuore, il pensiero di un campione. Questo significa essere un ottimista. Vincent Lombardi non sedeva sulla panchina a prefigurarsi la sconfitta, era in piedi lungo la linea di campo a prefigurarsi il successo. Perché, mentre osservava il gioco, si chiedeva come raggiungere la vittoria. Questo significa essere ottimisti: sapersi prefigurare il successo.

Occorre affrontare i problemi con l’obiettivo di risolverli, siano essi problemi finanziari, problemi di acquisizione di nuovi clienti, problemi di sviluppo di nuovi prodotti, problemi legati alla riduzione della criminalità nella città che si amministra. Bisogna prefigurarsi come migliorare le cose.

 

Un altro tema sul quale la sua testimonianza può essere preziosa è quello del coraggio.

Per essere leader, dovete avere coraggio. Per essere in grado di assumervi dei rischi, dovete avere coraggio. Per avere successo nel business a qualunque livello di responsabilità, dovete avere coraggio. Altrimenti, a meno di essere molto fortunati, non avrete successo.

Ora, per prendervi dei rischi, dovete comprendere a fondo cosa significa avere coraggio. La maggioranza delle persone ha coraggio, eppure molti non saranno d’accordo con questa affermazione: guardano, infatti, quelli che hanno coraggio e pensano che siano al di sopra degli individui ordinari, così dicono a se stessi: “Non potrò mai essere come loro, perché ho paura delle cose che quelli fanno, proprio quelle cose che mostrano il coraggio che possiedono. Come un vigile del fuoco che entra in un edificio in fiamme per salvare qualcuno. Molti direbbero: “Io avrei paura di farlo. Come potrei avere coraggio se ho paura di farlo?”. Una cosa sembra in contrasto con l’altra. Il fatto è che se il vigile del fuoco entrasse a salvare una persona e non avesse paura, sarebbe un pazzo irrazionale. Certo che ha paura, ma ciò che fa è gestire la sua paura, controllare la sua paura, superare la sua paura.

 

Ma il coraggio che cos’è?

Il coraggio non è assenza della paura. È presenza di paura, ma al tempo stesso abilità di controllarla in modo da riuscire a fare ciò che deve essere fatto, per realizzare gli obiettivi, la missione, il dovere, il compito assegnato.

Il vigile che entra in un edificio in fiamme è un esempio eclatante di coraggio, ma non è diverso da chi deve prendere una decisione finanziaria molto rischiosa o che riguarda la sua salute o per cambiare lavoro. Tutti gli esseri umani provano paura; il punto è riuscire a “maneggiarla”. Vediamo se riesco a spiegarvi il concetto in un altro modo: quando ero sindaco, alla conferenza stampa che tenevo ogni giorno nella City Hall ero solito invitare i poliziotti e i vigili del fuoco che si erano distinti in operazioni molto rischiose per il servizio della comunità. A un certo punto interrompevo la conferenza e chiedevo loro di raccontare che cosa avevano fatto, in modo che la gente ne venisse a conoscenza. La prima volta rimasi sorpreso: avevo invitato un poliziotto che aveva salvato un uomo saltando nell’East River; l’East River è un fiume molto turbolento, con terribili correnti, pericoloso per tuffarsi e nuotare e ancor più per salvare qualcuno. Quel poliziotto era saltato nel fiume in una giornata freddissima, riuscendo comunque nella missione. Quando si presentò nella City Hall, tutti percepirono che era molto teso, non poteva quasi parlare: cercò di spiegare ma il nervosismo era troppo. Lo guardai e mi dissi: non capisco come quest’uomo, che ha più coraggio di chiunque in questa sala, possa ora avere paura. Paura di rispondere alle domande della stampa! Pensai che i giornalisti di New York fossero più pericolosi dell’East River in un giorno di gelo (non ridete, perché non avete avuto modo di frequentarli!). Ovviamente, questo non è vero. Il fatto è che il poliziotto non aveva alcuna esperienza di conferenze stampa, non aveva esperienza di discorsi; aveva invece esperienza di salvataggi, aveva ricevuto la necessaria formazione e l’aveva accettata per controllare le sue paure, per poter fare il suo lavoro, per far fronte al suo dovere, per conseguire ciò che riteneva importante nella vita. E questo è coraggio: non è l’assenza di paura quando ti getti nel fiume, o l’assenza di paura quando prendi una decisione rischiosa, o l’assenza di paura quando accetti un nuovo lavoro. Il coraggio è avere quelle paure, ma superarle per fare ciò che sei tenuto a fare. E se sei un manager o un leader devi avere coraggio e instillarlo in quelli che lavorano per te, perché devi portarli a prendere dei rischi, allo scopo di avere successo.