Stili di lavoro


Valeria Tonella Valeria Tonella

Dal volume N° 66

Mini guida per discussioni ragionevoli

 

PAROLE E PENSIERI PER AVERE UN CONFRONTO ONESTO

 

Non siamo “tutti tuttologi”
La competenza non può essere universale: riconoscere che non possiamo sapere e discutere tutto non è segno di ignoranza, ma di intelligenza. Come esseri umani, saremo esperti solo in alcuni campi specifici, e in quelli possiamo iniziare dei dibattiti. “Il vero esperto si riconosce dalla capacità di ammettere la sua ignoranza. L’esperto sa cosa sa e dunque sa cosa non sa. Quando finisci fuori dalla sua zona di competenza, lo ammette. È capace di dire: non lo so” (Carofiglio). Come disse Socrate: “Io so di non sapere”.


Basta “paroloni” con i clienti
Per favorire il giusto confronto con i clienti, soprattutto con i più “difficili”, aiuta moltissimo usare un linguaggio il più possibile chiaro, lineare, privo di “tecnicismi” oscuri che pensiamo ci facciano sembrare più autorevoli, e in realtà allontanano il cliente e distruggono la fiducia. “Prendere il potere” con l’aziendalese ed essere autoreferenziali aumentano il rischio di essere visti come dei professoroni e chi prova ad ascoltarci, se già in disaccordo, troverà l’espediente per esserlo ancora di più. “Un disaccordo può essere risolto solo se una parte non fraintende quanto affermato dalla controparte” (Carofiglio)


Evitare formule tipo “c’è chi dice” o “dicono che”
Succede soprattutto in contesti informali e sui social, quando vogliamo dare peso a una opinione condivisa da molti, ma senza avere dei dati o delle prove. È una formula che si smonta con facilità: difficilmente chi usa iniziare “dicono che” saprà specificare chi siano questi qualcuno. Basterà chiederglielo, e il castello di carte crollerà.


Evitare di basarsi su aneddoti
È il classico caso, dice Carofiglio, del “eh, mio nonno ha fumato per tutta la vita un pacchetto di sigarette al giorno, ed è morto a 94 anni”. Dunque le sigarette non fanno male? Ovviamente no. Ma è un ragionamento usato spessissimo, quando si vogliono sostenere tesi non proprio stabili.


E a volte sì, bisogna ignorare
Se nell’interlocutore vediamo i semi di una fede cieca in qualcosa, o peggio di una malafede, o di uno stato di ignoranza (intesa come non conoscenza) che lui stesso o lei stessa non vuole superare, sarà altamente improbabile, quasi impossibile, condurre una “discussione ragionevole”. E allora sì, bisogna rinunciare.
Al lavoro, potremmo chiedere a qualcun altro di intervenire al nostro posto, per esempio, per avere un punto di vista esterno e per mettere anche l’interlocutore davanti a una persona diversa, se è una cosa che condiziona l’operato di tanti e, volenti o nolenti, deve essere risolta. Anche in famiglia è utilissimo rimandare il dibattito a un terzo che ci conosce entrambi.
Sui social, invece, be’… non replichiamo. In dibattiti dove il confronto è impedito da tutti i casi che abbiamo visto sopra e non c’è una volontà di contribuire in nessun modo alla discussione, dobbiamo sforzarci di non rispondere più, spegnere, dedicarci ad altro. Anche se in noi è montata la rabbia, lasciamo perdere. Non ne verrà niente di buono: se non una gastrite…
“Discutere con certe persone è come giocare a scacchi con un piccione. Puoi essere anche il campione del mondo, ma il piccione farà cadere tutti i pezzi, cagherà sulla scacchiera e poi se ne andrà camminando impettito come se avesse vinto lui” (anonimo)

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Fonti e consigli di lettura: Della gentilezza e del coraggio, Gianrico Carofiglio (Feltrinelli, 2020); Litigando si impara, Bruno Mastroianni (Franco Cesati Editore, 2020); Avere ragione. Piccolo manuale di retorica dialogica, Adelino Cattani (Dino Audino, 2019); Tienilo acceso – Posta, commenta, condividi senza spegnere il cervello, Vera Gheno e Bruno Mastroianni (Longanesi, 2018)