Diritto e diritti


Silvia Tonella Silvia Tonella

Dal volume N° 20

LA TUTELA DEL MADE IN ITALY

 

È UNA DICITURA SPESSO UTILIZZATA PER DIFENDERE E VALORIZZARE LA PRODUZIONE ARTIGIANALE E INDUSTRIALE DEL NOSTRO PAESE. MA QUANDO È POSSIBILE (E LEGALE) APPORLA SU UN PRODOTTO AI FINI DI UNA VENDITA CORRETTA?

Nell’epoca della globalizzazione è di sicuro interesse per chi si occupa di vendita capire se e quando un prodotto è o meno “Made in Italy”.

Il problema nasce, in particolare, qualora alcune o tutte le fasi di lavorazione del prodotto si svolgono fuori dall’Italia.

In questo caso bisognerà accertare se e come si possono qualificare “italiani” tali prodotti, e se esiste l’obbligo giuridico di menzionare il luogo geografico di svolgimento delle lavorazioni.

 

“Made in Italy”: sì o no?

Bisogna dire che il “Made in Italy” indica un concetto disciplinato direttamente a livello comunitario: ai sensi della normativa europea (regolamento CEE n. 2913 del 1992, che istituisce il Codice doganale comunitario, e regolamento CEE n. 2454 del 1993), nel caso in cui alla produzione della merce abbiano contribuito due o più Paesi, la merce si considera originaria del Paese dove è avvenuta l’ultima trasformazione/lavorazione sostanziale.

Ancora più chiaramente, un’azienda può apporre la dicitura “Made in Italy” su un prodotto quando è stato interamente ottenuto in Italia e ha subìto in Italia una fase di lavorazione sostanziale.

 

I prodotti venduti in Italia

La normativa italiana ricalca quella comunitaria anche laddove disciplina, a eccezione di alcune tipologie di prodotti, la non obbligatorietà dell’apposizione dell’etichetta “Made in Italy” sulle merci commercializzate in Italia. L’etichettatura diventa obbligatoria solo quando il Paese di destinazione lo richiede in forza di una propria regola interna (es. Cina e Stati Uniti).

La legge n. 166 del 2009 ha stabilito che l’importazione e l’esportazione di prodotti recanti falsi o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell’art.517 del Codice penale. Secondo il Codice, chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 20 mila euro, oltre al fatto che la merce su cui è illegittimamente apposta la dicitura “Made in Italy” verrà sottoposta a sequestro e saranno comminate le relative sanzioni amministrative.

La legge 166/2009 ha stabilito inoltre che l’importatore possa – al momento dell’operazione doganale d’importazione – presentare all’autorità doganale una dichiarazione (“attestazione”), nella quale si impegna a regolarizzare la merce al momento della commercializzazione, salvo verificare che il prodotto importato non faccia parte di una categoria che prevede l’obbligo di indicazione del luogo d’origine (prodotti alimentari, abbigliamento, giocattoli) e indicando al consumatore le precise informazioni sull’origine.

In sintesi: il produttore/importatore non è tenuto a indicare l’origine nei confronti del consumatore finale, a condizione che non vi siano indicazioni o segni che lo possano trarre in inganno. Qualora venga tuttavia indicata, essa dovrà rispettare le regole di origine previste dalla normativa europea. In caso di indicazioni fallaci o mendaci l’imprenditore, in presenza di controlli, potrà essere punito secondo le norme penali sopra menzionate.

La legge 55/2010

La nuova normativa sull’etichettatura, contenuta nella recente legge n. 55 del 2010, riguarda esclusivamente i settori tessile, calzaturiero, pelletteria, nonché i prodotti conciari e i divani. Prevede un sistema di etichettatura obbligatoria recante evidenza del luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione. La dicitura “Made in Italy” è possibile solo su prodotti finiti per i quali almeno due delle fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio nazionale e per i quali sia verificabile la tracciabilità delle rimanenti fasi. Molto interessante è l’ultimo comma dell’art. 1 della legge: “per ciascun prodotto di cui al comma 1 (settore tessile, pelletteria, calzaturiero nonché prodotti conciari e divani) che non abbia i requisiti per l’impiego dell’indicazione ‘Made in Italy’ resta salvo l’obbligo di etichettatura con l’indicazione dello stato di provenienza, nel rispetto della normativa comunitaria”.