Mestiere della Supervisione


Flavio Cabrini Flavio Cabrini

Dal volume N° 30

In Antartide come in azienda

C’È UN MODELLO UNIVERSALE PER I LEADER? SOLO RISPETTANDO ALCUNE REGOLE, I NOSTRI VENDITORI CI SEGUIRANNO… IN CAPO AL MONDO

“Cerchiamo uomini per un viaggio pericoloso. Salario basso. Freddo pungente. Lunghi mesi di buio totale. Ritorno incerto. Onori e riconoscimenti in caso di successo”. È il brutale annuncio con il quale sir Ernest Shackleton reclutò – fra i 5 mila che incredibilmente si fecero avanti – i 27 membri dell’equipaggio salpato nel 1914 per una spedizione nell’Antartide. Oggi un esperto di guerrilla marketing definirebbe quell’annuncio un tipico “kick and kiss”: sferra un pugno e picchia pure sodo, ma poi abbi l’avvertenza di addolcirlo con un bacio. Quasi quarant’anni dopo, sempre un inglese, Winston Churchill, rivolgendosi al suo popolo non fu meno crudo spiegando che non aveva altro da offrire che lacrime e sangue.
Nei miei corsi e nei miei interventi in tema di leadership, mi capita spesso di prendere spunto dalla missione di Shackleton e di quei 27 uomini che misero la loro vita nelle sue mani, inseguendo un sogno che si sarebbe rivelato il peggiore degli incubi. So benissimo di non essere l’unico a farlo: per le sue pieghe e per i suoi risvolti, è una storia emblematica. La nave rimase intrappolata per 281 giorni fra i ghiacci e naufragò, facendo fallire l’impresa, ma tutti gli uomini a bordo riuscirono miracolosamente a sopravvivere fidandosi oltre ogni ragionevole limite del loro comandante. “Se un capo sa infondere speranza – ebbe a commentare Shackleton – allora i suoi uomini lo seguiranno”. Anche, come nel suo caso, in capo al mondo.
Abbiamo più o meno tutti in testa cosa si intenda per leadership, benché in italiano non esista un termine che la definisca compiutamente, costringendoci a ricorrere a delle perifrasi. Qualcuno ha detto che la leadership è l’arte di ottenere cose straordinarie da persone ordinarie. Più prosaicamente credo possiamo essere d’accordo nel dire che è la capacità di influenzare un gruppo per il raggiungimento di un obiettivo. E sotto questo profilo, la leadership è indissolubilmente legata alla comunicazione.
Potremmo discutere a lungo se leader si nasca o si diventi, se sia preferibile uno stile autocratico, democratico, paternalista o addirittura il cosiddetto “laissez faire”. C’è ancora chi opera una distinzione fra stili transazionali o trasformazionali, e qui entriamo a gamba tesa nella sfera motivazionale, il che ci porta a domandarci se valga più ventilare un premio o suscitare un’emozione.
È indubitabile che molti tratti comuni, più o meno spiccati, contraddistinguano quanti hanno le stimmate del leader. Ma è altrettanto vero che stenteremmo a trovare, fra i tanti che la storia ci ha proposto, un modello universalmente valido per l’interpretazione del ruolo.
A mio avviso, tuttavia, almeno sotto il profilo della comunicazione una leadership per risultare davvero efficace non può sottrarsi dall’obbedire ad alcune precise regole. Le ho condensate in quelle che chiamo “Le 5 leggi sulla leadership in azienda” e che ora proverò a enunciare.

Prima legge. Un leader deve essere consapevole che una delle sue principali missioni è riuscire a trasferire e a infondere nella rete vendita gli ideali, i princìpi etici e gli scopi che caratterizzano un’azienda, indicando e facendo condividere le mete verso cui progredire. Un leader è un ispiratore. Crea alte aspettative perché soltanto quelle producono alte prestazioni, e orienta tutti i suoi sforzi a costruire una tensione costante e comune perché gli obiettivi siano raggiunti. Non è un caso che etimologicamente la parola “leader” derivi dalla radice tedesca “leden” che significa “mostrare la via”. E i grandi leader spesso lo sanno fare mediante le suggestioni e il potere di una comunicazione simbolica: utilizzano miti, metafore, slogan o immagini per sintetizzare efficacemente qual è la loro “vision”.


Seconda legge. Un leader deve attivare e salvaguardare tutti i canali che permettono, all’interno della rete e dell’azienda, una comunicazione fluida tra i venditori e i vari settori con cui si relazionano. Tecnicamente si parla di canali “caldi”, basati sul contatto personale (in primo luogo il briefing e la riunione), e “freddi”, come la posta elettronica o la bacheca. Vanno certamente privilegiati i primi, ma non trascurati i secondi. Gran parte degli attriti e delle incomprensioni che si verificano fra colleghi che lavorano gomito a gomito o fra reparti di un’azienda è riconducibile a un difetto di comunicazione. Un’organizzazione, dalla più semplice alla più complessa, è un sistema di vasi comunicanti. Quando il flusso delle comunicazioni funziona a singhiozzo, si interrompe o anche si intasa (il troppo stroppia: mai lasciare che dei canali si abusi o divengano monopolio di alcuni), il gruppo si sfalda.


Terza legge. Un leader deve proteggere il livello e la qualità di feeling che si stabilisce tra i venditori, i gruppi di lavoro e i reparti, favorendone il coordinamento e la coesione. E lui stesso si adopera per entrare in feeling con ogni collaboratore. Il famoso motto latino “Divide et impera”, cioè tieni separati gli individui se vuoi governarli, nel sistema produttivo odierno è un’incongruenza, un’aberrazione. Eppure il modello di azienda “spezzatino”, in cui si opera su isole separate (e un arcipelago in cui lo “scaricabarile” prevale sulla collaborazione), per qualche imprenditore sembrerebbe essere ancora d’attualità. Si fonda sulla consegna del silenzio: rigido riserbo su dati, obiettivi e strategie. Per i collaboratori è un po’ come trovarsi in mare aperto a bordo di un transatlantico, ignorando la destinazione e la durata del viaggio e senza alcun punto di riferimento per riuscire a stabilire in quale parte dell’oceano stanno navigando.


Quarta legge. Un leader è tenacemente impegnato a ricercare il più alto grado di accordo fra le varie componenti aziendali e manifesta la sua creatività nel trovare sistemi e strumenti utili allo scopo. In un’azienda la comunicazione deve svilupparsi su tre livelli: “top-down” (dal vertice ai collaboratori), “bottom-up” (dal basso all’alto offrendo ai collaboratori l’opportunità di avanzare richieste o proposte) e “lateral” (cioè fra colleghi di pari livello, all’interno di un gruppo di lavoro o fra unità aziendali). Eppure troviamo ancora imprenditori e manager che hanno una concezione soltanto direttiva e prescrittiva della comunicazione interna aziendale: nel loro modo di vedere conta la precisione con cui si impartiscono le istruzioni, la puntualità con cui si trasmettono rendiconti numerici, tutto ciò che ha a che fare con l’operatività. L’esperienza ci dice esattamente il contrario: il valore della comunicazione interna aziendale si rivela quando genera scambio d’idee, creatività, condivisione, affiatamento e sinergie.


Quinta legge. Un leader deve fare in modo che i suoi più stretti collaboratori si facciano carico di spiegare fedelmente, nella maniera più cristallina ed esauriente possibile, le ragioni e i sentimenti che hanno determinato le decisioni e le scelte dei vertici aziendali. Più trasparenza c’è e meno si lascia spazio a interpretazioni fuorvianti. In determinate situazioni la riservatezza è d’obbligo; ma in tante altre i silenzi hanno un unico effetto: lasciano spazio a quanti – e purtroppo non mancano nemmeno nelle migliori famiglie – si presumono “bene informati”, spacciando la loro verità e talvolta provocando apprensioni o allarmi totalmente infondati.


Guidare una rete di successo implica uno sviluppo costante della leadership. Un elemento essenziale che determina non poco il risultato finale delle vendite. L’esperienza ci dice che oltre l’80% dei risultati di una rete sono riconducibili al livello di motivazione e coinvolgimento del personale commerciale negli obiettivi aziendali.