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Valeria Tonella Valeria Tonella

Dal volume N° 23

IL LATO OSCURO DELL'E-COMMERCE

Quando il blog di Econsultancy (sito di digital marketing) parla di “lato oscuro” dell’e-commerce, lo fa in senso letterale: la crescita esplosiva di transazioni online causa un movimento impensabile economico ma anche di informazioni. Gli utenti che comprano sul web sono sommersi da informazioni: in un solo minuto su internet vengono fatti 2 milioni di ricerche su Google, digitati 100 mila tweet, registrati 6 milioni di visualizzazioni su Facebook, spese 83 mila sterline su amazon.co.uk (quasi 100 mila euro). In un negozio reale la scelta dei prodotti è limitata dallo spazio sugli scaffali; online un retailer può mettere in mostra un’offerta dieci volte maggiore, se non di più.

Non solo si accentua il paradosso della scelta di Barry Schwartz (troppe possibilità che rendono difficile, se non impossibile, fare appunto una scelta); l’enorme quantità di prodotti presente in rete fa sì anche che molti di questi passino inosservati. Lo ha scoperto RichRelevance in uno studio: solo il 44% dei prodotti online riceve attenzione. Con il restante 56% l’utente passa oltre, ignaro. Un altro dato dice che solo il 10% dei prodotti “contenuti” in un sito retail si guadagna il 75% delle visualizzazioni.

 

Ecco il lato oscuro dell’e-commerce: prodotti ignorati non per mancanza di qualità, ma per sovrabbondanza di offerta. Prodotti che non hanno una clientela, come se si trovassero in una corsia di supermercato poco illuminata o al buio. Chi mai la visiterebbe? E considerando che entro il 2014 (quindi domani) più di metà di tutte le vendite globali sarà influenzata da internet (lo preannuncia Forrester in una ricerca), è il caso di capire come evitare che siano i nostri prodotti a cadere dal lato sbagliato dello “scaffale”.

 

Secondo Econsultancy, capendo quali prodotti attirano l’attenzione online, quali sono i brand più ricercati, si può anche capire come questi prodotti e brand sono considerati e acquistati dai clienti online. Il passo successivo sarà personalizzare la customer experience e dare enfasi all’offerta che il cliente apprezzerà di certo, invece di rovesciargli addosso l’intero range di magazzino.

La svolta è sempre lì, nella conoscenza di ciò che il cliente vuole. Molti siti web si stanno ottimizzando in questo senso: Asos, per esempio, negozio virtuale di moda con più di 850 marchi a catalogo, mette a disposizione un consulente che lavora come personal stylist. Basta inserire un’email nella sezione in homepage e si verrà contattati.

Un altro caso è quello di L’Oreal Paris Usa, che ha presentato alle clienti un sito interattivo (www. orealparisusa.com): in homepage scorrono le immagini dei look che più piacciono (naturale, romantico, vintage...) con relativi consigli di make up; grazie, poi, alla sezione “Tools and consultation”, si costruisce un profilo personale con i prodotti di bellezza più adatti, sulla base del colore degli occhi, dell’incarnato, dello stile dei capelli.

La cliente si vede rivolgere le stesse domande che udirebbe da una commessa di negozio (“Qual è il suo tono di pelle?”, “Che tipo di pelle ha?”, “Quale effetto vuole per i suoi capelli?”). Il tutto accompagnato da alcuni “segreti di bellezza” gratuiti, promozioni, video, articoli, aggiornamenti dal mondo beauty. Ci chiediamo allora: lasciare che non sia il brand a parlare, ma chi fa parte della community legata al brand può essere la soluzione per uscire dall’oscurità del web?