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Valeria Tonella Valeria Tonella

Il buono della tristezza

 

Viviamo una specie di culto della felicità: almeno una volta al giorno, ci sentiamo dire che "l'importante non è la destinazione, ma il cammino e devi godertelo"; "sii felice, qui e ora"; "anche in azienda, la felicità è fondamentale".

Sacrosanto. Ma altrettanto lo è l'esperienza della tristezza.

Affannarci per eliminare il "brutto" della vita è controproducente: Oliver Buckerman dimostra che, proprio quando ci preoccupiamo di raggiungere la felicità a tutti i costi, viene meno il concetto stesso di felicità.

Inoltre, non sempre questa esaltazione del benessere (well-being) nel pensiero occidentale ha portato conseguenze storiche positive...

Ci dimentichiamo (o siamo portati a farlo) che la tristezza fa parte delle emozioni umane, e, come emozione umana, dobbiamo provarla e passarci attraverso: è naturale. Siamo fatti anche per essere tristi. I brutti momenti vanno ricordati, assimilati e interiorizzati.

Don Draper nella serie tv Mad Men ricorda che "la pubblicità si basa su una cosa sola: la felicità". Quella che le aziende e i marchi vogliono assolutamente trasmettere per stimolare l'acquisto. E in effetti, la felicità è ovunque: pensiamo solo alla campagna "Stappa la felicità" di Coca-Cola. In genere, il prodotto vuole essere associato ai "momenti migliori" della vita di un consumatore. E non c'è niente di male in questo.

Il "buono" della tristezza

Ma non dobbiamo negare le emozioni contrarie alla felicità; perché anzi, uno stato umorale "basso" può avere dei benefici.

Storicamente, filosofi e studiosi lo sostengono da sempre: la tristezza e il dolore sono sentimenti essenziali per vivere una vita piena. La tragedia greca, per esempio, nasce sì, come intrattenimento, ma soprattutto come momento di "catarsi", durante il quale il pubblico era posto davanti a situazioni difficili (battaglie, tradimenti, morti...) e, entro la fine dello spettacolo, aveva avuto modo di prenderne coscienza, familiarizzare con quelle sfacettature dell'animo umano. Lo stesso Epicuro, che viene sempre ricordato come "il filosofo del piacere", in realtà incoraggiava i suoi seguaci a fare pratica del giudizio negativo, delle avversità, dell'ingiustizia, della perdita, perché parti imprescindibile della natura.

Disclaimer: in questo articolo non si fa riferimento a forme di tristezza o depressione durature o croniche, per le quali è bene rivolgersi a un esperto