Mestiere della Supervisione


Flavio Cabrini Flavio Cabrini

Dal volume N° 23

"HAI FATTO UN BUON LAVORO"

QUANDO È STATA L’ULTIMA VOLTA CHE LO HAI DETTO AI TUOI VENDITORI?

 

Sono molti i termini che oggi si associano a “brand”: si parla di brand image, brand identity, brand essence, brand value, richiamando una pluralità di elementi che determinano l’apprezzamento dei consumatori e del mercato. Ma un imprenditore deve essere anche consapevole che ad affermare e a consolidare il “brand” di un’azienda sono in larga parte le azioni e i comportamenti delle persone che la compongono. Sono loro, a partire dall’impiegata del front desk, gli attori del marketing relazionale. Un capitale umano che sapientemente gestito, responsabilizzato e motivato può creare valore giorno dopo giorno.

 

Uno stile gestionale basato sulla relazione è di gran lunga quello ideale. Relazionarsi ha come sinonimo un termine che nell’era di internet è molto in voga: connettersi. Solo quando c’è connessione, c’è trasmissione. Qui mi limiterò a far osservare che una relazione, per essere considerata veramente tale, non può che essere bidirezionale, cioè a doppio senso, e perciò – pur nel rispetto dei ruoli – costituisce uno spazio di dialogo, di incontro e di scambio con l’altro. E non mi riferisco solo al rapporto con il cliente: è solo attraverso la relazione che anche un direttore vendite o un manager influenzano in positivo le risorse umane di cui dispongono e trasferiscono loro valori, entusiasmo e fiducia.

 

Nell’era del capitalismo cognitivo, un’azienda ha successo quando diffonde e afferma la cultura della relazione. È un processo a cascata che deve partire dall’alto, dai vertici aziendali e dallo stesso imprenditore: glielo impongono le responsabilità, – e quella di promuovere la crescita dei collaboratori è certamente una delle più importanti – responsabilità che è chiamato ad assumersi in fatto di guida. Tanti anni di esperienza mi hanno insegnato che un’azienda è lo specchio di un imprenditore, e che un’azienda cresce tanto più chi la guida si mette in discussione, si impegna e si sforza per migliorare se stesso, adoperandosi perché l’ambiente di lavoro risulti coinvolgente e non alienante.

 

C’è una sostanziale differenza fra autoritarismo e autorevolezza, e il futuro esige che un direttore vendite sia capace di relazionarsi con i venditori, sublimando così il ruolo che svolge.

Quando si parla di motivazione dei venditori e dei collaboratori in generale, il primo fattore si potrebbe condensare nel concetto del pieno apprezzamento per il lavoro svolto. Significa che, per un venditore, fare un buon lavoro non è scontato. Molto frequentemente per un imprenditore o manager invece lo è. Qui sta il peccato originale. La cultura prevalentemente diffusa nella gestione del personale non lo ammette, e svolgere bene un lavoro è una cosa normale (tra l’altro, in molti casi, il venditore è pagato bene se ottiene risultati).

Eppure questa “clausola” – fare bene il lavoro – non è citata in nessun contratto di lavoro o di agenzia, senza contare che spesso il compenso base (sia esso un fisso o un portafoglio clienti) di un venditore garantisce a malapena la sua presenza dai clienti, figuriamoci la sua dedizione. No. Per avere venditori volenterosi, serve motivarli e coinvolgerli.

Uno dei comportamenti più efficaci che un supervisore della vendita può adottare è il seguente: affiancare il venditore, sorprenderlo a svolgere bene il loro lavoro e riconoscerlo esplicitamente e pubblicamente.

Se ci pensate, è l’antitesi di quello che normalmente viene fatto. Di solito si affianca o ci si sofferma in cerca di errori e cattivi comportamenti, e li si palesano “mettendo alla gogna” il malcapitato.

 

Ricordo un aneddoto raccontatomi da un giovane imprenditore che aveva ereditato dal padre l’attività di famiglia. Possedeva una fonderia di alluminio. Per inciso, non ho mai sentito nessun altro ragazzo esprimere il desiderio di una vita di lavoro in fonderia. È, di fatto, uno tra i lavori più sporchi, rumorosi, malsani e pericolosi che ci siano. Comunque, il problema principale di questo imprenditore era l’assenteismo del personale. Comportamento in parte giustificato dal tipo di lavoro, ma le necessità di produzione e di consegna dei manufatti ai clienti aveva creato una tensione terribile tra la proprietà e le maestranze. I sindacati avevano iniziato una lotta e i conflitti non si contavano più. Fortunatamente il giovane protagonista di questa storia era una persona intelligente e disposta a cambiare. Cominciò a riflettere su come

approcciare diversamente il problema e decise di mettere in atto il principio dell’apprezzamento: fece appendere un cartello all’entrata dello stabilimento sul quale erano scritti i nomi di coloro che nel mese precedente avevano lavorato più giorni continuativi facendo meno assenze. Sotto la lista dei nomi c’era un sentito ringraziamento da parte della proprietà per il supporto ricevuto da quelle persone. La questione fece notizia, poiché ogni dipendente alla mattina, arrivando al lavoro, poteva vedere la lista dei meritevoli. Nel giro di pochi mesi l’assenteismo venne ridotto del 60%. Le persone avevano cominciato a voler essere parte della lista e sentirsi apprezzati per il loro sforzo.

 

Nota importante

Questo elemento di motivazione viene frequentemente disatteso dall’imprenditore/manager e non viene utilizzato per due ragioni che ho riscontrato nella mia esperienza:

1. Si pensa che, elargendo apprezzamenti ad alcuni, ci potrebbero essere altri che si risentirebbero per non averli ricevuti allo stesso modo, con la nascita di invidie o demotivazione.

2. Si pensa che, dicendo “bravo” a un venditore, quel venditore inizierebbe a chiedere degli aumenti provvigionali o delle gratifiche economiche o di carriera.

Sono idee sciocche. I venditori davvero capaci e affezionati all’azienda non assumerebbero mai certi comportamenti. Se ci pensiamo, quelli che reagirebbero nei modi 1 e 2 sopra descritti sono di fatto collaboratori di scarsa qualità, se non addirittura degli “scollaboratori” (che remano contro, mele marce).

Questo per ribadire che non applicare un sistema di motivazione significa piegarsi a coloro che sono negativi a discapito del personale più valido. Significa delegare la motivazione della squadra agli elementi peggiori.

Suggerisco sempre agli imprenditori o ai manager che incontro di riappropriarsi della propria funzione e della propria azienda. Checché se ne dica, i venditori vanno motivati, e se quelli che incontro non fossero della stessa idea, consiglio una profonda riflessione sul ruolo che svolgono, perché non lo stanno svolgendo bene. E l’azienda dovrebbe cercare qualcuno di meglio. Perché qualcuno di meglio in giro sicuramente c’è.

Il vero capitale che un direttore vendite possiede è costituito dalla buona volontà dei venditori. Buona volontà non è solo voglia di lavorare, ma predisposizione a crescere e a migliorarsi. Va alimentata e non depressa o, peggio, mortificata. Ogni volta che un responsabile vendite la indebolisce, con atteggiamenti sbagliati, giudizi affrettati e ingenerosi o comportamenti dispotici, l’azienda diventa più povera. All’inizio ne soffrirà semplicemente il clima aziendale e del gruppo, ma poi, nel medio e lungo periodo, si avranno ricadute negative anche in termini economici. Ogni volta, viceversa, che attraverso una gestione motivante e coinvolgente la buona volontà dei collaboratori viene rafforzata, l’azienda diventa più ricca. Ne guadagnerà l’armonia interna, con riflessi positivi sulla produttività e sui risultati.