Storie dei lettori


Gabrio Maria Giorcelli Gabrio Maria Giorcelli

Dal volume N° 20

GLI AGGETTIVI DEL VENDITORE: "SOLO" E "RESPONSABILE"

LA VERA NATURA DI QUESTA PROFESSIONE, SENZA CLICHÉ. I NUMERI DA RAGGIUNGERE E L'AUTONOMIA CHE RENDE LUPI SENZA BRANCO. MA DA TUTTO SI IMPARA

 

Non ricordo di preciso quando ho deciso che la mia professione sarebbe stata quella del commerciale. So che ho iniziato a lavorare per ingannare del tempo che era diventato improvvisamente libero.

Ebbi la fortuna di entrare subito in una grande azienda, una multinazionale. In quel momento, per me, già solo l’idea di lavorare per un colosso di tali proporzioni era un successo, considerato che la mia prospettiva d’inganno del tempo doveva durare non più di qualche mese.

Invece quella che doveva essere una breve parentesi, non si è ancora fortunatamente chiusa.

Mi occupavo della gestione dei ricambi, e ogni tanto, non so bene per quale motivo, mi trovavo ad aver a che fare con i commerciali, forse per cercare di acquietare le acque con i loro clienti; dai piani alti arrivavano queste figure, io ero giovane e rimasi affascinato dai loro modo e dall’idea di quello che facevano.

Scelsi in un attimo.

Mi ci vollero almeno altri sette anni prima che mi ritrovassi nella posizione cui ambivo da tempo.

Quando ripenso ai motivi che mi spinsero a intraprendere questo percorso professionale, mi vengono subito in mente i vantaggi di un ruolo commerciale: non essere sempre in ufficio, entrare in contatto ogni giorno con persone nuove, viaggiare per città e regioni differenti; insomma il classico cliché che chi non ha mai fatto questo lavoro ha in mente.

Oggi so che sì, ci sono grandi vantaggi nello svolgere un ruolo commerciale, ma di gran lunga sono di più gli oneri che ne derivano; e dipendono dall’azienda nella quale si lavora e dal tipo di struttura commerciale in cui si opera. Se penso a degli aggettivi riferiti al mio ruolo, me ne vengono immediatamente due in mente: responsabile e solo.

Credo sia facile capire il perché di responsabile: si è responsabili direttamente dei numeri che ci vengono richiesti, si è responsabili di obiettivi qualitativi, ma la responsabilità più grande è quella a livello personale. Nella mia precedente esperienza professionale mi sono trovato a ricoprire la mansione che prima ricopriva il mio capo durante il suo periodo di maternità. Ero su una barca e mi chiesero: sai nuotare? Non ebbi né tempo né modo di rispondere che già mi trovai in acqua.

Si capisce come una delle caratteristiche principali di un commerciale deve essere lo spirito di adattamento: un commerciale deve essere rapido e capire in fretta quali sono i campi di azione concessi e non concessi; insomma un commerciale deve imparare a nuotare velocemente.

La difficoltà più grande, quando si copre un ruolo che prevede la gestione di risorse, è conquistare la fiducia della forza vendita. Non esiste un modo univoco per poter generare empatia e collaborazione con la forza vendita esterna, ma uno degli strumenti migliore è l’esempio: tanto più riconosceranno in te quelle capacità che hanno e quelle che non sanno ancora di avere, quanto più poi saranno a te leali nell’esecuzione delle richieste che verranno loro impartite.

È proprio nella quotidianità e nella gestione ordinaria delle persone che si vengono a creare legami personali che non devono influire sulla valutazione qualitativa delle forza vendita; sono questi legami, però, che rendono responsabili nei confronti delle risorse che si stanno gestendo: ognuna di loro ha una storia, delle caratteristiche e soprattutto delle responsabilità. E proprio il peso delle responsabilità delle risorse che si gestiscono diventano con il tempo le tue nuove responsabilità. Non si è più solo responsabili di numeri e di obiettivi qualitativi, ma si diventa responsabili di persone. La responsabilità nei confronti delle persone non può essere paragonata in nessun modo alla responsabilità nei confronti di un numero o di un risultato: le spalle del commerciale devono essere grandi, o, se non lo sono, devono diventare larghe in fretta.

Non avrei mai creduto che uno degli aggettivi che avrei scelto per descrivere il mio lavoro sarebbe stato “solo”, ma oggi sono certo che, anche se si tratta di una professione da sviluppare in team, un buon commerciale debba essere un solitario per natura.

Si è soli quando si studia una strategia per affrontare un cliente, si è soli quando si analizzano i dati che vanno presentati nelle riunioni commerciali settimanali, si è soli quando si prendono in carico le responsabilità che ci vengono affidate, e si è soli quando si bucano o si centrano obiettivi.

Ricordo come fosse ieri quando toccò a me intervenire per la prima volta durante un meeting con la forza vendita. Ricordo la preparazione della presentazione, ricordo la stesura del discorso che doveva accompagnarla e ricordo le prove. Arrivai al giorno della presentazione in una situazione particolare: il mio capo era appena andato in maternità, e fino a quel momento tutti gli indicatori numerici della nostra area erano sempre stati assolutamente positivi. Quando toccò a me salire sul palco per fare un’analisi sull’andamento dell’area e fornire le linee guida per il trimestre successivo, i dati, per la prima volta da sette mesi, non erano tutti positivi, e si iniziavano a intravedere i primi segni negativi che un leader di mercato spesso non vuole tenere di conto. Sul palco mi ritrovai nel buio della sala con un una luce accecante puntata contro, quasi fossi a un interrogatorio; in quel momento mi sentii solo, ma di una solitudine che è difficile da spiegare. Tutto ciò che avevo preparato era all’improvviso svanito dalla mia mente. Intorno a me c’erano più di cento persone, ma mi sembrava che nessuna di loro fosse lì con l’intenzione di ascoltarmi e prendere gli spunti che stavo per dare loro. Mi sembrava che fossero lì solo per un motivo: giudicare me e il mio operato e cercare di mettermi in difficoltà.

Il rito della presentazione a modo di interrogatorio è stato un “supplizio” che ho dovuto affrontare altre due volte nel corso di quell’anno nel quale ho preso il posto del mio capo di allora. Sia la prima che la seconda mi presentai davanti alla luce accecante con dati che non erano in linea con le richieste della mia azienda; ma la terza, la più importante, mi presentai alla chiusura dell’anno con tutti gli indicatori positivi e con tutta la forza vendita pienamente a target.

Oggi sono passati poco meno di due anni da quando sono salito per l’ultima volta su un palco per presentare dei dati a una convention aziendale, ma a dir la verità mi sembra una vita...

Sono convinto che ogni esperienza professionale segni la crescita del nostro essere professionisti.

Spesso si impara da chi è stato un nostro capo, dalle sue azioni e da quanto ti lascia; altre volte si capisce cosa non vogliamo essere o diventare.

Ripenso con un sorriso alle delusioni e alle notti passate in bianco sotto il peso delle responsabilità; proprio quelle delusioni e il non dormire mi hanno permesso oggi di essere un commerciale più sereno, in grado di affrontare le difficoltà con una consapevolezza maggiore, e maggiore fiducia nelle mie capacità.