Fondamentali del business


Edoardo Lombardi Edoardo Lombardi

Dal volume N° 44

Energizing, come "risvegliare" il tuo gruppo di lavoro


 

 

LEADER
SI CRESCE

NUOVA SERIE,
CINQUE PUNTATE
A CURA DI
EDOARDO LOMBARDI
PER IL MIGLIORAMENTO DELLA LEADERSHIP

LEZIONE 2
IL MANAGEMENT NON È NULLA
PIÙ CHE LA MOTIVAZIONE DEGLI ALTRI (LEE IACOCCA).

L’ENERGIZING, OVVERO LA CAPACITÀ DI ISPIRARE GLI ALTRI
E CREARE L’ AMBIENTE PER L’AUTOMOTIVAZIONE

Motivazione è un termine molto usato e dall’ampio significato. Gli studiosi della motivazione hanno a lungo parlato di due tipi di motivazione, “esterna” e “interna”. Facciamo le cose:
•    per effetto di un intervento esterno – la possibilità di un premio se abbiamo successo o di una punizione se non lo abbiamo
•    oppure perché spinti da un desiderio interno. Agiamo, in sintesi, o perché ci sentiamo costretti ad agire o perché vogliamo farlo.

Quale condizione è più probabile che produca risultati straordinari? Su questo punto gli studi non lasciano dubbi: la motivazione esterna può creare condizioni di obbedienza o disobbedienza; la motivazione interna, invece, produce risultati molto superiori e duraturi nel tempo. Ma…

Si può imporre una visione auto-motivante agli altri?
Sappiamo che ci sono leader in grado di farlo, leader capaci di trasmettere energia agli altri (in inglese, “energize”), promuovendo impegno e fiducia, riportando all’attività o alla vita qualcosa che è o è diventata inerte, latente o ferma nel suo sviluppo.

Quale particolare capacità devono avere questi leader? I leader capaci di “energizzare” sono quelli che appaiono in possesso di una speciale ispirazione chiamata “carisma”, un’attrattiva che si esercita sugli altri e che li porta a seguirli.

UNA RIFLESSIONE PRATICA
Come si fa ad avere carisma? Dan Reiland ha detto: “Preoccupati di far sentire bene gli altri piuttosto che far sentire bene te stesso”. Forse il segreto è tutto lì!

La validità dell’affermazione di Reiland sarà molto più evidente dopo avere rivisto insieme gli esempi di questa puntata.

DISRAELI VS GLADSTONE: DUE LEADER, DUE STILI

Durante la seconda parte dell’Ottocento, in Inghilterra due grandi uomini emersero nella guida del loro governo: Benjamin Disraeli e William Gladstone. I due uomini politici erano grandi rivali. Si può comprendere quale livello di conflittualità si fosse instaurato fra i due da un commento fatto una volta da Disraeli: “La differenza fra sfortuna e calamità? Se Gladstone cadesse nel Tamigi sarebbe una sfortuna, ma, se qualcuno riuscisse a salvarlo, quella sarebbe una calamità!”.

Molti ritengono che Gladstone, leader del partito liberale per tre decenni, personificasse le migliori qualità dell’Inghilterra vittoriana. Amministratore pubblico di professione, era un magnifico oratore, un grande esperto di finanza e un uomo di statura morale. Divenne primo ministro del Regno Unito quattro volte, la sola persona nella storia del Paese a conseguire un tale onore.
Disraeli aveva caratteristiche ed esperienze differenti e soprattutto, come vedremo, erano molto diversi in quanto a capacità motivazionale.

Un conservatore molto riformatore
Disraeli era fondamentalmente conservatore, pur aspirando all’alleanza fra la classe dei proprietari terrieri aristocratici e quella dei lavoratori per controbattere il potere dei commercianti e dei nuovi industriali della classe media. E nel 1837 fu eletto proprio fra i conservatori alla Camera dei Comuni.
Ricoprì negli anni successivi numerose cariche nel partito e nel governo; nel febbraio del 1874 divenne primo ministro del Regno Unito, ma nel dicembre dello stesso anno si tennero le elezioni generali, che videro i conservatori perdenti. Disraeli commentò: “Mi sono arrampicato al vertice del palo insaponato”.
Però dopo sei anni di opposizione, Disraeli e il partito conservatore vinsero le elezioni del 1874 conquistando la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni.

Il governo di Disraeli, che seguì la vittoria dei conservatori alle elezioni del 1874, introdusse molte riforme importanti, che gli diedero una reputazione di grande diplomatico e riformatore sociale.
In particolare, sostenne la difesa e l’espansione dell’impero britannico: introdusse il Royal Titles Act, che diede alla regina Vittoria il titolo di imperatrice dell’India e, nonostante le obiezioni del suo gabinetto, comprò il 44% delle azioni della società del canale di Suez, avendo percepito la grande trasformazione che il mondo aveva intrapreso in termini di comunicazione e commercio. Difficoltà in Sud Africa e in Afghanistan indebolirono il suo governo che fu sconfitto nelle elezioni del 1880.

Disraeli e Gladstone si scontrarono con violenza sulla politica estera. Sono rimasti celebri gli scambi di battute fra i due, sempre però improntati al tipico humour britannico. È famoso un loro scontro in cui Gladstone, nel mezzo di un violento attacco, ebbe a dirgli:
“Prevedo che lei morirà o impiccato o a causa di una malattia venerea”.
Al che Disraeli rispose:
“Tutto dipenderà da ciò che farò, se abbraccerò i suoi prìncipi o la sua amante!”

Il fattore chiave: l’approccio alle persone
In verità i due uomini erano molto diversi e ciò che li separava come leader era soprattutto il loro approccio alle persone. Mentre Gladstone era ammirato, Disraeli era amato e capace di ispirare i suoi collaboratori e le persone con cui entrava in contatto: ciò dipendeva dal fatto che era più attento agli altri che a se stesso.

La differenza può essere illustrata molto bene da un aneddoto: la storia raccontata da una giovane donna che aveva avuto l’occasione di cenare con i due rivali in due serate diverse. Alla richiesta di quale impressione avesse tratto, rispose:
Quando ho lasciato la sala da pranzo, dopo essere stata seduta a fianco di Gladstone, pensavo che fosse l’uomo più intelligente d’Inghilterra. Ma dopo essere stata seduta al fianco di Disraeli, pensavo di essere IO la donna più intelligente d’Inghilterra!
Un altro esempio per esemplificare al meglio l’approccio di Disraeli (con particolare riferimento al punto 4), viene da altre due sue frasi celebri:
1.    “Parla a un uomo di lui stesso e ti ascolterà per ore”
2.    “La cosa migliore che puoi fare per un altro non è dividere con lui le tue ricchezze, ma rivelargli se stesso”.

DA FORD A CRYSLER:
IACOCCA LEADER SENZA MEZZE MISURE

Guardiamo adesso al mondo degli affari. Lee Anthony Iacocca è rimasto famoso come il “Grande risanatore” per avere salvato la Chrysler alla fine degli anni Settanta. Ma va citato anche per le straordinarie caratteristiche di “leader carismatico”.

Iacocca iniziò a lavorare per Ford nel 1946. Dopo alcune iniziative commerciali di successo, che misero in luce le sue doti, gli fu affidato il progetto Mustang. La Ford voleva mettere sul mercato una nuova autovettura che fosse piccola (per gli standard americani) ma in grado di portare quattro passeggeri, e il suo costo non doveva superare i 2.500 dollari. Doveva inoltre essere corredata da un’ampia gamma di accessori in modo che il cliente acquistasse tanto “lusso” quanto potesse permettersene.
Il progetto permise di mettere in luce le abilità di Lee. Usò saggiamente i dati delle ricerche di mercato, si circondò di validi manager e seppe assumersi il rischio del lancio del nuovo prodotto. La nuova autovettura fu un successo. Lee divenne famoso come “padre della Mustang” e l’azienda lo nominò presidente nel dicembre 1970.
Nel 1975, presidente di Ford da circa cinque anni, Lee Iacocca cominciò ad avere dei problemi in azienda, dovuti principalmente a un conflitto di personalità con Henry Ford II, nipote del Ford fondatore.
La tensione continuò a crescere finché sfociò nell’ottobre 1978 nel suo licenziamento. Ma Lee rimase disoccupato solo pochi giorni: il 2 novembre divenne infatti presidente della Chrysler.

L’esperienza alla guida
Non gli occorse molto per capire che la nuova azienda versava in uno stato di emergenza: le vendite erano in calo vertiginoso, non c’era più liquidità. Mancavano le informazioni contabili e quelle di mercato. C’era una totale assenza di comunicazioni e di lavoro di gruppo. Ogni reparto sembrava vivere in un vuoto, a sé. I dipendenti erano frustrati e senza speranza.
Iacocca dovette fare appello a tutte le risorse della sua leadership carismatica.
Creò e articolò un insieme di valori e di motivazioni che restituissero impegno e fiducia nella missione aziendale, mettendo in pratica una frase che aveva pronunciato più o meno in quei giorni, e cioè “il management non è nulla più che la motivazione degli altri”.

1.    Incentrò la missione sulla preservazione dei fondamentali valori americani del sistema del libero mercato, dell’iniziativa imprenditoriale e della protezione dei posti di lavoro. La necessità di una garanzia del governo appariva fondamentale. Disse, intervenendo pubblicamente:
Sarebbe forse meglio per questo paese se Chrysler fallisse e decine di migliaia di posti di lavoro fossero persi a favore dei giapponesi? Abbiamo 11 mila fornitori e 4 mila concessionari. Quasi tutte queste persone sono piccoli imprenditori, che non hanno bisogno di sovvenzioni, ma di una mano che li aiuti”.

In essenza, ciò che Iacocca fece fu di volgere l’argomento a suo vantaggio. Il prestito governativo era un’opportunità per rinforzare e riaffermare l’impegno dello Stato nei confronti dell’imprenditorialità e dei piccoli business.

2.    Per generare entusiasmo intorno al suo messaggio, fu anche abile nell’uso della metafora e dell’analogia. Ridusse il suo stipendio alla cifra simbolica di un dollaro l’anno per mostrare che tutti dovevano sacrificarsi se volevano che l’azienda si salvasse. Nello spiegare questa decisione, ad esempio, utilizzò la metafora del comandante che raggiunge i suoi uomini in prima linea: “Non ho preso un dollaro all’anno per essere un martire, ma per scendere in trincea”. E tracciò poi un’analogia con la famiglia: “È un po’ come se la famiglia si riunisse e dicesse: abbiamo avuto un prestito dallo zio ricco e ora dobbiamo dimostrare che sappiamo ripagarlo!”

L’implicazione era che lui e i colleghi della Chrysler erano tutti membri di una comune famiglia che avrebbe lavorato duro per provare la sua serietà. Legando la crisi dell’azienda ai tradizionali valori della famiglia, i lavoratori trovavano una ragione razionale per affrontare le difficoltà e la motivazione per dimostrare la loro affidabilità come “famiglia” nei confronti di “zio Sam”.

3.    Prese alcune decisioni drastiche: licenziò molti dirigenti inetti e dovette negoziare con i sindacati tagli di stipendio e di benefici. Cercò di realizzare una partnership con Volkswagen, ma non se ne fece nulla quando fu chiara l’entità dell’indebitamento di Chrysler. Alla fine, però, trovò i prestiti e ottenne la garanzia governativa.
Nel 1983 Chrysler era di nuovo in piedi e pagava i suoi debiti. Lee dichiarò: “Noi di Chrysler ci finanziamo nel modo tradizionale. Restituiamo i nostri debiti”.

Iacocca rimase con Chrysler fino al 1992, quando andò in pensione.
Negli ultimi anni realizzò l’acquisizione dell’AMC che portò la redditizia Jeep Division nel perimetro di Chrysler.

IN CONCLUSIONE
Sia Disraeli che Iacocca rappresentano le migliori qualità del leader carismatico, che esercita una forte attrattiva sugli altri ed è capace di trasmettere la sua visione e i suoi ideali, portandoli a seguirli.

Entrambi avevano la dote dell’ottimismo, la fede che porta al successo. Niente può essere fatto senza speranza e fiducia.
Perciò entrambi credevano nella forza della auto-motivazione.

 

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