Professioni


Valter Ribichesu Valter Ribichesu

Dal volume N° 75

Di cosa parliamo quando parliamo di formazione in azienda?

NON È UN ATTIVITÀ DI “CORREDO”
O UN PALLIATIVO: QUINDI COS’È?


L’imperversare di guru e santoni da operetta ha portato a una diffusa e crescente percezione negativa sulla formazione aziendale (FA).

La questione è proprio questa: cosa vuol dire formarsi? Cosa è giusto attendersi da un percorso o da un intervento di formazione? Che differenza c’è tra il metodo di apprendimento del bambino e dell’adulto?

L’EQUIVOCO È DIETRO L’ANGOLO
La formazione è un processo che ha origine da un’esigenza di cambiamento finalizzata al raggiungimento di un obiettivo. Il livello di competizione dei mercati moderni ha innescato una costante necessità di apprendimento e/o aggiornamento professionale in ogni settore; da qui deriva l’importanza strategica della formazione aziendale.
Ma non esiste una specifica e univoca definizione: la formazione aziendale è un variegato campo di sapere, culture e pratiche professionali, ma anche di procedure formali che un’azienda usa per facilitare l’apprendimento, così che il comportamento risultante contribuisca al raggiungimento delle mete e degli obiettivi dell’azienda stessa. Non è un’attività specifica, ma una serie di processi di acquisizione di abilità, concetti o atteggiamenti che portano a una migliore prestazione in una situazione on the job, così come al benessere e al successo degli individui.
Esiste (o dovrebbe esistere) una forte relazione tra formazione e azienda, per cui la formazione è al servizio dell’azienda (senza dimenticare l’importante ruolo che ricopre per l’individuo).

Questa premessa ci aiuta a definire la formazione aziendale a seconda dei suoi diversi aspetti:
•    la formazione per le competenze (o anche per l’organizzazione/azienda), in una prospettiva di gestione e sviluppo delle risorse umane;
•    la formazione per il cambiamento (o anche in organizzazione/azienda) in una prospettiva di consolidamento della relazione tra individuo e organizzazione/azienda;
•    la formazione per lo sviluppo personale (o anche oltre l’organizzazione/azienda) in una prospettiva di crescita e di autonomia del soggetto.

SENZA OBIETTIVI CHIARI, NON SI VA DA NESSUNA PARTE
Affinché un percorso formativo abbia successo, devono essere chiari a tutti i soggetti coinvolti gli obiettivi che si intende raggiungere, tenendo presente che all’interno di qualunque percorso ci sono sempre e contemporaneamente tre obiettivi “formativi”.

Tutti i soggetti coinvolti in un piano di formazione, in realtà, puntano a obiettivi sinergici ma diversi tra loro. L’unica cosa in comune, è (o dovrebbe essere) la consapevolezza che la formazione è un percorso educativo che ha come obiettivo l’apprendimento e l’attivazione, il sostegno, il consolidamento dell’apprendimento stesso.
La mancanza di chiarezza e condivisione di obiettivi e dei suoi diversi aspetti può portare a disallineamenti e talvolta innescare effetti negativi di rebound, inficiando lo sforzo compiuto o addirittura dando adito a comportamenti controproducenti.
Non si può “pensare”, quindi, a un corso come a un’attività di “corredo” o come a un “palliativo”, cioè un provvedimento che non risolve ma allontana per un po’ il problema.

È bene che il committente, manager o imprenditore, scelga di utilizzare un percorso di formazione se conosce:
•    sufficientemente bene i processi formativi dell’adulto;
•    bene gli obiettivi dell’organizzazione/azienda committente;
•    molto bene i sistemi di erogazione (compreso chi erogherà la FA);
•    benissimo le persone a cui l’attività di FA è rivolta;
•    eccellentemente sé stesso.

Inoltre serve andare oltre la fase d’aula, e generare un adeguato follow up, inteso come l’assistenza ai partecipanti dopo l’intervento formativo. Teoria e pratica, insomma, non devono essere incoerenti o inconciliabili tra di loro.

IN SINTESI
Parafrasando la scrittrice statunitense Marion Bradley, si potrebbe dire che chi sceglie per sé stesso un utensile inadatto a un compito, o peggio ancora non impara a usarlo in maniera appropriata, non deve lamentarsi dei danni che gli può procurare. Se poi sceglie l’utensile per altri trascurando di spiegargliene il corretto impiego, non si stupisca qualora facesse loro dei danni.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 75 di V+: puoi scaricarlo, per intero e gratuitamente, qui