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Crediamo più negli algoritmi che nelle persone?

 

SIAMO CONNESSI PER DAVVERO?
LE NUOVE REGOLE DELLA FIDUCIA NELL’ERA DIGITALE

INTERVENTO DI RACHEL BOTSMAN AL WORLD BUSINESS FORUM MILANO
PER GENTILE CONCESSIONE DI WOBI

Vorrei iniziare con il porvi una domanda: perché tanti di noi sostengono di non fidarsi dei politici, dei giornalisti e dei banchieri ma, allo stesso tempo, utilizzano la tecnologia a disposizione per interagire con estranei?
Sono sempre stata affascinata da come, fin da piccoli, noi essere umani riponiamo fiducia negli altri. Molto sta accadendo nel mondo per quanto riguarda il senso di fiducia, e questo influenza e influenzerà diversi aspetti delle nostre vite.


Come nasce la fiducia nel mondo del digitale
Spesso questo senso di fiducia si sviluppa attraverso dei “segnali”: nascono da indizi o simboli che utilizziamo, coscientemente o incoscientemente, quando decidiamo se la persona che abbiamo di fronte sia da reputare fidata o meno. Il problema è che spesso ci focalizziamo su segnali sbagliati, che a volte sono più forti di altri.
Commettiamo questi errori perché, quando prendiamo in considerazione i segnali che ci indicano un senso di fiducia, non consideriamo gli information gap (letteralmente, “salti” di informazione, dunque informazioni mancanti, che non permettono di farsi un’opinione precisa o di fare una ricerca completa, ndr).
Una grande sfida, quando parliamo di fiducia: l’illusione del senso di fiducia è molto più pericolosa dell’ignoranza.


Come può aiutarci la tecnologia?
Dobbiamo innanzitutto capire quali sono i tratti che determinano la fiducia attraverso l’attendibilità. Di positivo, c’è che esiste una scienza applicabile per comprendere l’attendibilità di qualcuno o qualcosa.


I tratti dell’attendibilità sono quattro:
1. competenza
2. affidabilità
3. integrità
4. benevolenza
I primi due, competenza e affidabilità, sono facilmente individuabili, mentre integrità (definita il sacro Graal della fiducia) e benevolenza sono più difficili da indagare. L’integrità non riguarda solo l’essere una “brava persona”, ma si lega soprattutto alle intenzioni di un individuo.


L’importanza del contesto
Quando però parliamo di fiducia, non possiamo decifrarla senza inserire il “giudizio” all’interno di un contesto, e questo è un dettaglio che viene spesso perso. Ogni individuo, ogni compagnia, ogni istituzione ha i suoi limiti, quando si parla di fiducia. La fiducia, infatti, può essere data in un contesto ma tolta in un altro, anche quando ci si riferisce a uno stesso individuo: per esempio, potete darmi fiducia se devo scrivere un articolo, ma non se devo portarvi sani e salvi a casa…
I sondaggi ci dicono che, all’interno delle grande istituzioni, la fiducia è più bassa che mai. Questi dati però sono da prendere con le pinze, poiché non è specificato il contesto.
Ma cosa determina questo crollo di fiducia? I motivi sono intuibili:

La fiducia nelle istituzioni non è stata creata per l'era digitale. La tecnologia lavora contro il principio secondo cui gruppi ristretti lavorano a porte chiuse, come invece lavora il mondo istituzionale. Internet ci mostra, infatti, quello che pensa noi vorremmo vedere e non quello che dovremmo davvero guardare.


Un nuovo modello di fiducia
La tecnologia non sta facendo scomparire la fiducia, ma sta trasformando la sua “forma”: da ascendente (bottom up, istituzionale e così via) sta diventando distribuita, o meglio, orizzontale. La fiducia ha cambiato forma solo due volte nella storia, passando da locale a istituzionale con l'urbanizzazione, e poi da istituzionale a distribuita, grazie al digitale.
La fiducia diffusa, quella data ai pari e spesso a estranei, offre moltissime opportunità ma, come dicevo, anche grandi sfide.
Questo cambiamento, che viene definito “Trust Stack” per indicare il suo carattere graduale, è una scala che si sale un gradino alla volta; ma è anche un processo inarrestabile (nonostante le proteste dei tassisti, Uber totalizza 5 milioni di corse al giorno) e che ha il potenziale di migliorare il sistema produttivo, facendo emergere imprese e idee di business ad alto contenuto innovativo e più in linea con la domanda del mercato.
Prendiamo come esempio Airbnb, che in questo momento è il brand di hospitality numero due al mondo. Non avremmo mai pensato, dieci anni fa, di dormire a casa di estranei: la tecnologia ha creato un nuovo modello di fiducia. Il successo di piattaforme come Airbnb è dato da come queste quantificano la fiducia.

Con l’avvento della tecnologia, il principio di fiducia si sta trasformando. Le piattaforme online gestiscono la fiducia attraverso algoritmi, che apparentemente sembrano neutrali, mentre sono una benda sugli occhi rispetto alla realtà. Il fenomeno delle fake news sui social network ne è un esempio.
Una volta la fiducia era un processo umano, ma oggi la stiamo trasformando in un processo tecnologico a suon di bit. Gli algoritmi sono affidabili e competenti, ma abbiamo la possibilità di giudicarne la benevolenza?


LESSON LEARNED
Il passaggio fondamentale è pensare, sentirci responsabili, ponendo le domande giuste e utilizzando la tecnologia per trovare le informazioni giuste. Tutto questo non è necessariamente negativo. La tecnologia può amplificare il nostro essere umani, ma non dobbiamo farci sostituire.


Il senso di una comunità postula relazioni, non solo connessioni, si nutre di fiducia e prossimità. (Paolo Venturi su Nova, Il Sole 24 Ore)


L'auto a guida autonoma che innesca un incidente mortale, i dati di milioni di utenti finiti nelle mani sbagliate, le fake news, sono tutte storie che remano in una sola direzione: quella della sfiducia nelle piattaforme tecnologiche. ««All'inizio si pensava che qualsiasi tecnologia in grado di rendere il mondo più aperto, collegandoci o rendendoci più uguali, conferendo potere individuale, fosse qualcosa di positivo» ha detto al New York Times Dov Seidman, Ceo di LRN «Ma ora stiamo affrontando la realtà: il potere di rendere il mondo più aperto e uguale non è nelle tecnologie stesse. Tutto dipende da come sono progettati gli strumenti e da come scegliamo di usarli». (Biagio Simonetta sul Sole 24 Ore)

 

QUELLO CHE È MIO È TUO: IL CONSUMO COLLABORATIVO
Definita da Monocle una dei 20 speaker più influenti a livello globale, Rachel Botsman è esperta di “sharing economy”, cioè di “economia della condivisione” o “economia collaborativa”. Il libro dove ne parla, Il consumo collaborativo (edito in Italia da Franco Angeli) è un bestseller: se le persone non si fidano più di chi è al potere, di chi si fidano? La risposta è sotto gli occhi di tutti: dei loro pari, spesso di sconosciuti, quelli che “incontrano” sui social o con cui condividono un’auto o una casa. Più che la proprietà di un prodotto, conta l’esperienza di un servizio. E, è solita dire la Botsman, se faremo le cose per bene, questo “passaggio di fiducia” porterà con sé una società più trasparente, inclusiva e responsabile.
Consigliata anche la lettura di un altro libro: Di chi possiamo fidarci? Come la tecnologia ci ha uniti e perché potrebbe dividerci, sempre uscito per Franco Angeli.