Strategie e tecniche


Maria Bietolini Maria Bietolini

Dal volume N° 21

ATTENTION, PLEASE!

ANCHE SE MASTICHIAMO POCO L’INGLESE, USIAMOLO BENE: ANCHE PER… VENDERCI MEGLIO

 

Ogni giorno anche chi afferma di non sapere l’inglese usa ormai qualche decina di parole inglesi: sport, corner, breakfast, mobile, happy hour, stop, email, hi-fi, wifi...

Peccato che a volte abbia “vinto” un uso scorretto sia del significato che della pronuncia, per cui fra noi ci capiamo, ma in caso di interlocutori di alto livello, o stranieri, rischiamo brutte incomprensioni – e brutte figure.

Vediamo alcuni casi ricorrenti di errori “classici”.

Attenzione alle invenzioni

La spider per noi è un’auto sportiva, ma spider nel resto del mondo vuol dire solo “ragno”. Vorreste guidare una tarantola? Ricordatevi di usare “sport car” o “convertible”.

Se invitati a un evento formale all’estero, non chiedete di procurarvi uno “smoking”: questa parola significa solo il fumare, quindi ricevereste tabacco. L’abito da indossare si chiama tuxedo (pronuncia: taxìdo).

Il fatto è che, per ignoti motivi, gli italiani si sono letteralmente inventati dei significati che le parole inglesi non hanno, o hanno proprio inventato di sana pianta delle parole: è importante quindi, in caso parliate con uno straniero o andiate all’estero, che sappiate qual è il nome vero di alcune cose.

autogrill: motorway service station

autostop: hitch-hiking

box: lock-up garage

camping: campsite

dancing: dance-hall

flipper: pinball (“flipper” vuol dire “pinna”)

footing: jogging

golf (maglione): jumper o jersey

notes: notebook

parking: car-park

scotch (adesivo): sellotape

slip: underpants (uomini), knickers (donne)

spot: commercial

stage: training course

tight (il vestito): morning suit

toast: toasted sandwich (“toast” è il brindisi…)

 

Attenzione ai manager

Nel mondo del lavoro è utile ricordare che la nostra tanto ambita parola “manager” non vuol dire “alto dirigente”: quello si chiama “executive”. Derivando dal verbo “to manage” che ha molti significati (gestire, organizzare, amministrare…), è un termine che si usa in molti modi e contesti: in Inghilterra si può essere manager di un’edicola o di una squadra di calcio (il nostro “mister”). Esempi:

audit manager: revisore contabile

house manager: maschera del cinema o del teatro

front office manager: responsabile dei servizi di ricevimento

office manager: capo ufficio o segretaria

payroll manager: responsabile paghe e contributi

property manager: agente immobiliare

store manager: responsabile di negozio

Il nostro Senior manager all’estero è un “high level executive” e la parola “senior” indica l’età della persona (indica anche i pensionati), non il suo livello, quindi… occhio!

(Vale la pena ricordare che la parola senior, come junior e media, non è inglese ma latina: quindi, almeno quando parliamo in italiano fra italiani, sarebbe cosa buona e giusta pronunciarle così come sono, evitando di dire “sinior”, “giunior”, “midia”).

Va da sè che, se diciamo mànager con l’accento sulla prima “a”, useremo lo stesso accento per dire mànagement. Ok?

Attenzione ai falsi amici

Ci sono poi molte parole che ci traggono in inganno, perché il loro suono apparentemente familiare ce le fa interpretare e usare nel modo che ci sembra più simile all’italiano. Ma non sempre è così. In inglese queste parole ingannevoli per gli stranieri vengono definite “false friends”, falsi amici. Vediamo perché.

actual: significa vero, esatto, reale (“attuale” è: present, current…)

argument: lite (“argomento” è: theme, topic, issue, subject, discussion…)

change: alla cassa è il “resto”

eventually: alla fine (in the end; “eventualmente” è: possibly o in case)

effective: efficace (“effettivo” è: actual, real...)

fastidious: pignolo, schifiltoso (“fastidioso” è annoying)

pretend (to): fingere, fare finta

expect (to): pretendere

register: cassa

sensitive: sensibile

sensible: ragionevole, sensato

suggestion: suggerimento

trivial: cosa non importante

Aspettare qualcosa o qualcuno è, ad esempio, “to wait for a taxi”, mentre il verbo “to expect” significa aspettarsi di avere qualcosa, come un aumento.

Il verbo “to support” significa sostenere fisicamente, emotivamente o economicamente. Non significa sopportare! Che invece si traduce “to stand” (“I can’t stand you anymore”, non ti sopporto più).

Attenzione ai nuovi mostri

La crescente superficialità della nostra epoca fa sì che oggi molti usino il verbo italiano supportare (“munire un oggetto di supporto”) in continuazione, pensando di... usare un termine inglese! Quindi è tutto un supportare un’idea, un business, quando potremmo essere molto più chiari e piacevoli dicendo che sosteniamo, diamo credito, o molto semplicemente che crediamo in qualcosa (magari!).

Ma non è il peggior caso di mostri linguistici: pensiamo a “scan”, scansione. Dovremmo dire “fare una scansione”, o magari scansire; invece abbiamo partorito “scannerizzare”, che personalmente mi fa paura (ogni volta che lo sento, vedo famelici zombie pronti a masticarmi).

In ogni caso, è comunque meglio di “scannare”… aiuto!

Si tratta di una forma di preteso internazionalismo: come se, usando parole inglesi italianizzate, molti cerchino di dare a intendere che per loro ormai l’inglese è LA lingua, che l’italiano è ormai faticoso. Credo che sia pigrizia, in molti casi. A parlare bene l’italiano sono pochi, il nostro vocabolario quotidiano si è impoverito e cercare le parole giuste o sinonimi comporta “inutile” fatica. C’è poi il tragico fattore emulazione: basta che un manager famoso dica una parola ed ecco che entra nel linguaggio. Esempi? Tutti abbiamo sentito dire “sono confidente” invece di “sono sicuro”: “confident” è inglese, in italiano vuol dire altro, ma eccoci qui a parlare come uno che non sa né l’inglese, né l’italiano.

Attenzione alla pronuncia

Anche nello sforzo di “inglesizzare” la nostra pronuncia, spesso finiamo per complicarci la vita, sbagliando le cose più semplici: ad esempio, quasi sempre facciamo diventare una “e” tutte le “a”. E così oltre a dire “match” al posto della parola italiana “incontro”, lo pronunciamo “metch”, mentre in originale suona proprio come si scrive: match.

Miami diventa “Maiemi” invece di “Maiami”.

Snack lo facciamo diventare “sneck” invece di lasciarlo “snack” (la pronuncia sbagliata oltretutto crea possibili equivoci con la parola “snake”, cioè serpente… chi vorrebbe fare uno spuntino a base di serpente?).

Flash si dice proprio così, “flash”; se diciamo “flesh”, indichiamo “carne viva”!

Ranch è “ranch”, non “rench”; una gag resta una “gag”, non “gheg”; un gap è un “gap”, non un “ghep”, un gadget resta “gadget”, non “ghedget” e un free-lance è un “frilans”, non un “frilens”.

La amata Champions League è “ciampions”, non “cempions”; il maledetto blackout è un “blacaut”, non un “blecout”.

Bizzarramente, a volte accade il contrario, e spray, che andrebbe pronunciato “sprei”, viene misteriosamente pronunciato “sprai”.

Altra nota utile: la fattura è “invoice”, la ricevuta “receipt”, da pronunciare “resipt”; se dite “resipi”, come mi è capitato di sentire, dite in realtà “recipe”, cioè ricetta di cucina (quella medica è “prescription”).

Un errore terribile, anche se purtroppo frequentissimo sia nei candidati che nei manager, è poi pronunciare la parola francese “stage” come fosse una parola inglese, cioè “steig”. Ma dicendo “steig” il mondo intende “palcoscenico”! La pronuncia corretta è “staj” (la finale “ge” in francese ha un suono tipo sg dolce in toscano, esempio scagiona).

Facendo un minimo di attenzione alle parole che usiamo più spesso, saremo sicuri di farci sempre capire, di apparire professionali e anche, perché no, di risultare uomini “di mondo”.