Audiolibri, Netflix e musei: tre esempi di esperienze "diverse"
Se cambiano i consumi, è anche (o soprattutto?) perché cambia il modo dei consumatori di fruire dei prodotti.
Sembra una frasona da nobel dell’Economia; vediamo degli esempi semplici di questi giorni.
La crescita degli audiolibri
Le ultimi analisi sul mercato dell’editoria italiana del 2018 mostrano una impennata dell’audiolibro e dei contenuti audio (vedi i podcast o gli audiofilm). Gli audiolibri non sono nati nel 2018 e non rispondono neanche, come molti pensano, al bisogno di ritorno a una tradizione orale (“che bello ascoltare le storie attorno al fuoco”). No. Semplicemente sono cambiati e migliorati i mezzi tecnologici con i quali si ha accesso ai contenuti audio. Ci sono prodotti come Storytel o Audible che mettono la lettura sullo stesso piano (come fruzione, eh) di Netflix o Spotify. E poi cambiano le abitudini: ascoltiamo un audiolibro mentre siamo sulla metro o facciamo le pulizie. Perché “fruire”, dal latino, significa non solo “usare”, ma anche “godere”, e i consumatori vogliono godere di questi prodotti, essere comodi, divertirsi.
Personalizzazione al quadrato
Un altro esempio di cui tutti stanno parlando è Netflix con Bandersnatch, il suo primo film interattivo (legato alla fortunata serie di Black Mirror) in cui lo spettatore è chiamato a fare delle scelte di trama. Dieci secondi a disposizione - che creano un certo hype, una certa adrealina - e poi il sistema segue una scelta predefinita. Cinque i finali previsti, secondo Netflix. Molti utenti hanno recensito questa esperienza “nuova” dicendo, per esempio, di aver usato non il telecomando ma la consolle della Playstation (rendendo la visione di una serie tv più simile a un videogioco) e sottolineando anche che sarebbe bello se altri film in futuro dessero questa possibilità di personalizzazione, anche solo estetica, chessò, consentendo di scegliere la musica di sottofondo o il colore dei vestiti dei protagonisti.
Al museo ci voglio andare con lo smartphone
Siamo stati ad Amsterdam per la fine dell’anno, e non abbiamo potuto non fare caso all’impostazione dei musei olandesi. Molto (ma molto molto) più interattivi di quelli italiani, forniscono ogni visitatore di un dispositivo (una specie di telecomando) che, portato all’orecchio, permette di ascoltare dei contenuti extra. Succede per esempio nel museo storico ebraico: puntando il telecomando verso dei ricettori numerati, parte una voce (nella lingua dell’utente) che segue ben tre percorsi (A, B o C). L’utente può scegliere cosa ascoltare e quando.
Sempre sulla questione musei, vi consiglio la lettura di questo articolo: ad Amsterdam, più che altrove, siamo rimasti disorientati dalla mancanza di divieti sull’uso dello smartphone. Se qui in Italia siamo molto rigidi al riguardo, lì era possibile fotografare la qualunque e fare riprese. Il che, chiaramente, si traduceva in stanze piene di visitatori che puntavano i loro telefoni verso i dipinti costringendoti a uno slalom tra gli schermi per vedere qualcosa. Il punto è: possiamo aspettarci qualcosa di diverso da individui ormai completamente digitalizzati? Ha senso vietare l’uso dei telefonini nei musei, se vogliamo che i musei vengano visitati? O non è forse il caso di integrare il digitale anche in luoghi “storici” e classici come i musei, per andare incontro a una customer experience che non è più quella di una volta?