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Dal volume N° 70

Un imprenditore dove trova la forza? Risponde Jim Collins

 

JIM COLLINS AL WORKSHOP “WOBI ON MANAGEMENT”
A CURA DELLA REDAZIONE – CON LA COLLABORAZIONE DI WOBI


Cosa rende grande un’azienda? “Ok, ma i numeri. Ok, ma il Covid e la crisi”. Jim Collins non è uno teorico, ha ben presente queste cose: da 25 anni conduce ricerche sugli executive e i manager di maggior livello avendo come unico obiettivo quello di scoprire cosa renda grandi le grandi aziende: non “big” (grandi solo nelle dimensioni), ma “great”, “grandi” nel senso di “iconiche”, “eccellenti”. “visionarie” al punto da ispirare le altre, da lasciare il segno.

Da questo principio (e citando Procter & Gamble, IBM, Apple), Jim Collins inizia il workshop estivo di due giornate organizzato da WOBI per la serie “WOBI On Management”: «Dovrete arrivare ad avere il 90% del vostro team composto dalle persone giuste al posto giusto, soprattutto se parliamo di ruoli chiave».


PEOPLE FIRST
•    Le persone prima del fatturato «Alla base di tutto ci sono le persone. Se c’è un cambiamento da fare in azienda, dovete pensare prima a “chi”, poi a “che cosa”. Chi potrebbe contribuire? Chi devi sostenere o formare? Dopo e solo dopo potrai approfondire il “cosa” faranno». Collins ci tiene parecchio a questo concetto: «Prima di pensare ai numeri, al business in sé, pensa alle persone che ti servono. Cercale, trovale! Quando le hai trovate, puoi rafforzarti, crescere, e ne assumerai delle altre e così via, in un circolo virtuoso. La tecnologia è importante, però non è ciò che determina l’eccellenza o il declino. La tecnologia, se usata bene diventa un acceleratore, non un creatore, di innovazione».
•    Non si assumono le persone per le skill, ma per il carattere. «Tutti possiamo imparare delle competenze, ma non possiamo imparare ad avere un certo carattere né apprendere la forza di volontà. Perciò, come imprenditori, executive e manager, dobbiamo scegliere solo persone che condividono i nostri valori, rientrano nella nostra cultura, sono davvero “a bordo”. Dopo, e solo dopo, ci sono le competenze. E attenzione, perché non sempre le persone migliori sono brillanti ai colloqui: dovremo saper vedere un po’ dentro di loro…»
•    Le persone non ti devono abbandonare: «Per il libro Good to Great (in italiano O meglio o niente, ndr), abbiamo preso in esame alcuni parametri e confrontato le aziende di successo con le altre. Abbiamo scoperto che anche nelle fasi più complesse, anche nelle fasi di non crescita, se un’azienda è ottima (great), se è forte, non vedrà le sue persone abbandonarla. E se un’azienda è forte, queste persone sono almeno il 50%».


Consiglio di lettura: O meglio o niente. Come si vince la mediocrità e si raggiunge l’eccellenza (Mondadori)


LE AZIENDE PIÙ FORTI LAVORANO SU UNA COSA (E LO FANNO BENE)
«Dobbiamo essere più simili al riccio che alla volpe. Nella favola di Isaiah Berlin, la volpe è astuta, si destreggia in situazioni diverse, mentre il riccio rimane solido nelle sue convinzioni, si affida a regole definite. Come scrive Berlin, “la volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande e la sa bene”. Nel business le volpi sono quelle aziende che hanno tanti scopi, e nella complessità non riescono ad arrivare a una visione unificante e unica, a un obiettivo specifico; l’azienda “riccio” si concentra su ciò che per lei è essenziale, un’attività che la appassiona, in cui può essere la migliore e di cui sa cogliere i fattori economici più importanti. Non dovrai fare niente che non corrisponda al tuo “concetto del riccio”. Trova una cosa, unica per te, e lavora su quella. Anche nei momenti più turbolenti ti aiuterà».


LE AZIENDE PIÙ FORTI NON HANNO PAURA DI CADERE
Le aziende più forti sanno affrontare il declino. «. La buona fortuna non rende un’azienda grande; la sua capacità di evitare il fallimento, sì».

Quando un'azienda cade
Il declino di un’azienda si articola in cinque fasi.
Fase 1: c’è l’arroganza che deriva dal successo e confonde il potere di mercato con l’eccellenza (in greco “hýbris”). È quell’atteggiamento che ci porta a prendere cattive decisioni.
Fase 2: l’azienda ricerca una crescita indisciplinata, vuole tutto e subito.
Fase 3: negazione. l’azienda vede la tempesta all’orizzonte, ma la nega.
Fase 4: l’azienda sta cadendo, e si aggrappa a qualsiasi cosa, pur di salvarsi (un leader carismatico che risolva tutto, grandi acquisizioni poco calibrate, una trasformazione culturale improvvisa…). A questo punto può ancora riprendersi, se si rende conto della situazione: è successo anche a giganti come o Apple.
Fase 5: l’azienda diventa irrilevante, viene comprata o sparisce dal mercato.
Attenzione, perché all’inizio, da fuori, almeno fino alla fase 3, un’azienda in declino può sembrare ancora un’azienda sana… per questo bisogna avere il coraggio e il buon senso di riconoscere il crollo, quando arriva, perché abbiamo ancora il tempo di tirarci in piedi.


LE AZIENDE PIÙ FORTI AFFRONTANO LA REALTÀ
«Le aziende più forti hanno la disciplina di affrontare le difficoltà più grandi: non le ignorano. Le aziende “great” affrontano le difficoltà mantenendo due atteggiamenti opposti ma ugualmente efficaci: accettano quello che è, confidano che ci sia una via d’uscita. I tuoi collaboratori e i clienti vogliono sapere che non li stai ignorando, ma stai capendo come affrontarli. Si chiama “paradosso di Stockdale”, dal nome dell’ammiraglio americano James Stockdale che fu fatto prigioniero durante la guerra del Vietnam e rimase in un campo di reclusione per otto anni, dal 1965 al 1973. Come fece a non perdersi d’animo? Da un lato, accettò la situazione, senza disperarsi, dall’altro non perse mai la fede, non dubitò nemmeno un attimo che ce l’avrebbe fatta».


LE AZIENDE PIÙ FORTI SI PREPARANO ALLE MARCE LUNGHE
Collins racconta un’altra storia, quella della spedizione in Antartide del norvegese Roald Gravning Amundsen a inizio Novecento. «Pochi anni prima un altro esploratore, l’inglese Robert Falcon Scott, aveva tentato di raggiungere il polo Sud, sottovalutando l’inesperienza dei suoi uomini che non avevano mai sciato né guidato slitte trainate da cani. Il viaggio di ritorno su un incubo: molti cani vennero uccisi e dati in pasto ai compagni. Amundsen, invece, pianificò tutto nel dettaglio: prima del viaggio, procurò molti pezzi di ricambio e li fece distribuire lungo il percorso; poi stabilì che ogni giorno la squadra avrebbe percorso 20 chilometri. Tutti i giorni. Fu così che riuscì nell’impresa. Scott ritentò più tardi, ma l’esito fu ancora più nefasto: a causa delle cattive condizioni meteorologiche, nessuno tornò indietro».


«Ci sono aziende che sono scomparse dal mercato allo stesso modo. Quanto più è turbolento il mondo, tanto più sarà marcato il vantaggio di chi ha la disciplina di marciare ogni giorno 20 chilometri. “Marciare” non significa solo mantenere alta la produttività, ma anche, per esempio, innovare a prescindere da quello che succede fuori, da cosa fanno i competitor; rimanere creativi, come la Pixar che produce tre film ogni due anni, comunque vada. Ma potrebbe anche vuol dire fissarsi un obiettivo con il tuo team e perseguirlo con estrema regolarità; o aiutare un tot di persone dell’azienda a crescere ogni anno. Anche se fuori infuria la tempesta, continua a marciare. La disciplina ti consente di essere pronto a fare quello che devi fare nei prossimi anni: cosa ti sarà richiesto tra 20 anni? Cosa sarà richiesto alla tua azienda? Prova a prepararti già oggi, perché il tempo passa in fretta, e le disruption arrivano quando meno te lo aspetti». Qual è l’azione che puoi compiere quotidianamente per crescere? E il tuo team è in marcia con te?


LE AZIENDE PIÙ FORTI SI ADATTANO
Non possiamo pensare di durare nel tempo se non ci adattiamo alle nuove condizioni che ci si presentano. È bello dire “investiamo nel futuro”, ma se facciamo come abbiamo sempre fatto, non ci riusciremo. È facile farlo un giorno, un anno, ma farlo per anni? Quando ci poniamo degli obiettivi difficili, questo può comportare dei lunghi periodi di “scomodità” (pensiamo ancora agli esploratori del polo Sud!): avremo voglia di fermarci o rischieremo di prendere la direzione sbagliata (pensiamo alla Kodak). Se teniamo lo sguardo fisso ai prossimi 20 anni, se guardiamo più avanti, capiremo l’importanza di tenere duro e di essere flessibili.


LE AZIENDE PIÙ FORTI SONO … PARANOICHE!
«Non dobbiamo chiederci “se” arriverà una nuova crisi, ma “quando” arriverà la prossima crisi. Significa prepararsi al peggio quando le cose vanno bene, pensare che la catastrofe sia imminente, se serve a motivarci, avere delle “protezioni”, quando arriva la tempesta. Per raggiungere il polo Sud, Amundsen calcolò la quantità di provviste necessarie per il viaggio, e poi lo moltiplicò non per due, ma per tre! Era un po’ “paranoico”? Sì, ma il mondo lì fuori era incerto e inospitale, e questo gli permise non solo di avere successo, ma anche di tornare a casa. La paranoia produttiva ti rende attivo: “Oggi cosa facciamo? E domani?” Non è paranoia pura e semplice: ti spinge a muoverti. Certo, non è facile: richiede persone disciplinate, con pensieri disciplinati. Ma solo se si prepara ai fatti più “brutali”, un’azienda sarà costruita per durare (“built to last” in inglese). Ricordati di: preservare la base (i valori), stimolando il progresso; semplificare il mondo complesso, per individuare pochi ma buoni concetti che tutti in azienda possano capire».


Consiglio di lettura: Built to Last: Successful Habits of Visionary Companies (Harper Business)