Storie dei lettori


Alessandro  Gutti Alessandro Gutti

Dal volume N° 26

Quel talento inconsapevole che ci rende tutti venditori

Primo gennaio 2014, ore 12. Mi trovo nell’ufficio di una compagnia di autonoleggio, in un piccolo aeroporto nella Spagna del sud. Ho prenotato un coche per fuggire, per qualche giorno, in quell’angolo di Portogallo che conosco; una di quelle brevi parentesi di gentilezza verso me stesso, prima che l’epifania mi riporti un’altra volta a casa, al lavoro, a Milano.
Ci sono solo io. Rifletto sul fatto che non devono essere arrivati tanti aerei, quella mattina.
Al desk, Carolina, 25 anni o giù di lì, anche lei sola.
Intuisco subito che la customer satisfaction per lei non deve essere il risultato di un corso intensivo, quanto piuttosto l’espressione di un talento innato.
Tuttavia, penso, devo essere un cliente facile: sono in vacanza, talmente rilassato e in pace con me stesso che le sorrido con inconsueta naturalezza.
Eppure oggi è pur sempre il primo di gennaio, san Pigro, e lei sta lavorando. Compilo, firmo, attendo le chiavi. Carolina si alza per fotocopiare la mia patente, mi ha già detto in che slot troverò la mia auto.
In quel momento arriva un cliente francese. Scuro in volto, visibilmente alterato e sbraitante. Sostiene, se così si può dire, che la Ford che gli hanno affidato pochi minuti prima non parte, che gli spagnoli sono tutti degli incapaci, che lui deve partire (penso: “Solo tu, vero?”), che devono dargli un’altra vettura e che, dulcis in fundo, quella compagnia di rent à car è, alla lettera, une vrai merde! Et voilà.
Intanto la saletta dell’autonoleggio inizia a riempirsi, altri clienti si mettono in coda, incuriositi e un po’ contrariati per l’improvvisa sceneggiata del… simpatico avventore transalpino.
Uno tsunami sta per abbattersi in una piscina, ma Carolina è brava, e sa bene che da queste parti un paio di scarti con il capote possono essere determinanti per calmare la fiera, per cambiare tercio e averne ragione. È l’arte del toreo, metafora della vita. Carolina non si scompone. Lo ascolta con attenzione. Risponde alle “colorite” rimostranze del cliente, che ormai rasentano l’insulto più becero, con voce calma e tono sinceramente comprensivo. Non ribatte mai, gli spiega pacatamente che c’è una procedura per sbloccare la macchina e avviarne il motore, che è una sicurezza elettronica presente su alcuni modelli. Insomma, all’origine della questione c’è soltanto un banalissimo antifurto da resettare.
Ma lui nada, urla ancora, tira le chiavi sul bancone e si accinge ad andarsene, bestemmiando come uno scaricatore di Marsiglia. Carolina allora prega un suo collega, arrivato probabilmente per vedere chi stesse facendo tutto quel baccano, di
“voler cortesemente accompagnare il cliente alla sua vettura, e di volergli spiegare come dovesse fare per disattivare il blocco elettronico dell’auto”.
I due escono, e d’improvviso torna la quiete, nello stesso modo con cui se ne era andata.
La scena dura in tutto meno di 10 minuti, che a me son parsi molto lunghi, per la verità. Ritiro le chiavi, ringrazio e la saluto; lei contraccambia sorridendo, come se nel frattempo non fosse accaduto assolutamente nulla; anzi, quella formidabile “venditrice” mi trasmette la sicurezza di chi – nello stesso modo e allo stesso tempo – ha semplicemente servito, con la stessa professionalità, due clienti molto diversi tra loro. E poi, via, ci sono tutti gli altri che attendono in coda, tocca a loro.
Quando sto uscendo dal parcheggio, vedo che il simpaticone è riuscito a farla partire, la sua auto, come era logico immaginare. Mi chiedo che bisogno ci fosse di fare tutta quella confusione. Per un attimo mi sorprendo a ricordare la finale di Berlino, Materazzi e Zidane… colonna sonora di Paolo Conte… poi, dissolvenza.

L’aneddoto mi è tornato in mente leggendo l’ultimo bellissimo libro di Daniel Pink, To sell is human. Pink sostiene che in ogni interazione umana che generi persuasione si compie una vendita. Anche quando si tratta di una “vendita senza vendere”.
Quel giorno Carolina ha fatto ancora di più: non ha solo domato il cliente francese; inconsapevolmente, ha venduto il valore del suo ruolo – e del suo modo di interpretarlo – a tutti i presenti. A beneficio anche, e soprattutto, dell’azienda per la
quale lavora. Che grande lezione, in quel piccolo episodio.
A prescindere che vi sia o meno una transazione diretta di denaro, una provvigione o qualsiasi altra tangibile forma di ricompensa, ogni volta che un nostro atto di persuasione produce un miglioramento nella vita di altri, allora siamo di fronte
a una vendita.
Vendere significa in qualche modo contribuire a rendere migliore la vita dei nostri simili. E per molti di noi, è anche il più nobile dei mestieri.