Strategie e tecniche


Valeria Tonella Valeria Tonella

Facciamo corna!

Winston Churchill fa segno di "vittoria" e forte volontà nel 1941

(ma in altri Paesi, è un insulto...)

 

"Ci sono 250 gesti che gli italiani usano normalmente, tutti i giorni.

E non puoi conoscere gli italiani se non conosci questo aspetto”.

La lingua italiana è la quarta più studiata (dopo inglese, francese e spagnolo), e a studiarla sono circa in 700 mila, in tutto il mondo (dati 2014).

Ma non è solo la nostra grammatica a essere oggetto di approfondimento: ci sono i gesti. Il linguaggio non verbale, a cui siamo abituati, nei negozi, per strada, tra amici, ma anche nel business, e che Luca Vullo, 34 anni, siciliano, insegna nelle università. Cambridge, Sidney, Los Angeles, Vullo – con una t-shirt e il cappello, in stile weird ma rigorosamente made in Italy – mostra e spiega come si fa a controbattere o come si invita qualcuno a prendere un caffè. Con l’espressione della faccia e le mani. Perché fa parte di noi. E non puoi pensare di dialogare con un italiano (e di capirlo), se non sai cosa dicono mani e faccia.

“La cosa che affascina di più gli studenti di italiano è che quello che loro hanno sempre visto come qualcosa di stereotipato, un muoversi accentuato, è in realtà un codice linguistico”.

Dal «Ma dai!», con le mani unite ai palmi che vanno su e giù al meno cortese – ma sempre efficace – gesto di indice e mignolo ben dritti a formare un paio di corna, scaramantiche o piazzate all’insulto: la fisicità della linguistica gestuale è un aspetto quasi biologico del modo di esprimersi degli italiani, per il quale vengono riconosciuti in patria e fuori. Anche il New York Times, nel 2013, ha avviato una ricerca a partire dai gesti che i politici italiani facevano e fanno in televisione…

Gesticoliamo da tempi immemori

Che cosa c’è dietro ai gesti degli italiani? Se lo sono chiesto in molti, spinti dall’accento folkloristico ma anche dall’importanza che i gesti hanno nella cultura della penisola.

Nel 1832 un ecclesiastico, Andrea de Jorio, fece stampare a Napoli La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano, libro con 19 illustrazioni tutto dedicato al gesticolare dei napulè, che era sì, una consuetudine – per attirare l’atten-zione nelle piazze o nei vicoli più affollati – ma soprattutto un filo rosso tra epoche diverse: de Jorio, infatti, aveva rivisto i movimenti delle mani e del corpo dei napoletani immobilizzati, con un sorprendente fermo-immagine, sui vasi, le pitture e i bassorilievi “degli antichi”. Dice: “Si è sforzato, con ragioni convincentissime, dimostrare che la mimica [degli antichi] abbia tutto il rapporto con gli atteggiamenti del popolo napoletano, colonia un tempo della gloriosa Atene”. Non si aveva la stessa lingua, si comunicava a gesti.

Il Dizionario di Bruno Munari

La cosa – che potrebbe far sorridere i più scettici – desta l’attenzione non di uno qualunque: Bruno Munari, artista, design, uno dei personaggi più eclettici e produttivi del panorama culturale italiano, che spaziò dalla pittura al disegno industriale, alla grafica. Un Leonardo moderno, che vinse innumerevoli premi e ottenne riconoscimenti prestigiosi.

A Munari non sfugge l’opera di de Jorio, e nel 1963 la cita nel Supplemento al dizionario italiano. Morto nel 1998 all’età di 91 anni, nel 1994 pu-blica forse il suo libro più famoso sull’argomento: Il dizionario dei gesti degli italiani, per illustrare a un pubblico per lo più straniero i gesti che considerava unici nella simbologia internazionale. Ognuno è mostrato in foto con un breve testo in inglese, tedesco, francese e giapponese. “Molte volte – scrive Munari nell’introduzione – gli italiani si esprimono solo a gesti”, e un dizionario come il suo diventa non solo divertente, ma anche utile. Così utile (e così divertente) che oggi è quasi impossibile reperirne una copia: pubblicato da Adnkronos, è da tempo esaurito.



Una curiosità: a commissionare a Munari il primo Supplemento fu una azienda torinese, la Carpano, produttrice di liquori. Una sottile azione di marketing: tra i gesti descritti da Munari ce n’è uno apposta per ordinare il loro vino aromatizzato più conosciuto, il famoso Vermut.

Dal cinema alle aziende

Tutto inizia ben prima: all’inizio del Novecento, con le grandi migrazioni verso l’America, gli italiani vanno oltreoceano, e i loro gesti con loro. Quel popolo di sgangherati comunicatori non verbali esercitano un certo fascino, alimentato dal boom del cinema: le pellicole di Vittorio De Sica, Luchino Visconti, Roberto Rossellini non hanno nulla di meno dei film muti, dove la gestualità era tutto. Il filone del cosiddetto “neorealismo” (Roma città aperta, Ladri di biciclette) porta sullo schermo il modo di esprimersi dei “semplici”, lavoratori e povera gente senza istruzione (spesso gli attori reclutati erano non professionisti). Nel frattempo, con la Seconda guerra mondiale, gli americani erano sbarcati in Italia, entrando in contatto diretto con la gestualità delle popolazioni liberate – che, si racconta, avessero sviluppato in quegli anni ancora di più il linguaggio non verbale per non farsi capire dai soldati stranieri.

Oggi a fare da testimone della gestualità italiana è il siciliano Luca Vullo, che all’Istituto italiano di cultura di Los Angeles ha da poco proiettato La voce del corpo, un documentario-fiction sulla gestualità siciliana.



Ma ci sono aziende che sui gesti hanno fondato intere campagne di comunicazione: un esempio interessante viene da Retrosuperfuture, brand di occhiali che per la collezione Super Sunglasses ha creato quattro modelli associandoli, ciascuno, a un gesto del Dizionario di Munari. Un omaggio al designer, ma anche all’essenzialità e, allo stesso tempo, al grande impatto visivo dei gesti, che non passano inosservati. associandoli, ciascuno, a un gesto del Dizionario di Munari. Un omaggio al designer, ma anche all’essenzialità e, allo stesso tempo, al grande impatto visivo dei gesti, che non passano inosservati.

Vademecum dei gesti

Ripassiamo, allora, alcuni dei gesti più diffusi, per non essere impreparati e soprattutto per risultare degli italiani doc. Le immagini sono tratte dal magazine online Dudemag – Manuale di sopravvivenza per gentildonne e gentiluomini.

Le punta delle dita che si uniscono possono voler dire tante cose, dipende da come si muovono: avanti e indietro, stanno a significare «Ma cosa stai dicendo?», ma, se le dita si chiudono e si aprono, allora esprimono un senso di strizza. «Paura, eh?». Se toccano le labbra, indicano qual-cosa di «Buonissimo» o riuscito alla perfezione.

 

Evitiamo di grattarci la testa, se non vogliamo dare a vedere che siamo nel dubbio più completo (il famoso “grattacapo”).

La mano aperta chiede di aspettare un momento; se mossa con stizza, dice «Lasciamo perdere». Buon uso se ne può fare nel traffico, per ringraziare, alzandola, chi ci lascia passare sulle strisce pedonali, o anche per chiedere scusa, se ci siamo buttati in strada troppo in fretta causando la frenata improvvisa – e uno spavento – al malcapitato automobilista (che nel frattempo potrebbe redarguirci con altri gesti che qui non descrivo).

Per dire “ci sentiamo al telefono”, Munari non usava il classico gesto della “cornetta”: ai tempi delle prime edizioni, gli apparecchi avevano ancora un disco che girava per comporre il numero, e il gesto riproduceva proprio questa azione.

Si è poi passati alla cornetta, che però oggi, pur essendo ancora di moda, è stata sostituita dal “gesto dello smartphone”: due pollici che si muovono come a battere su una tastiera invisibile. Spiega Vullo: “Come in tutte le lingue, l’evoluzione c’è anche nella gestualità”.

C’è l’evoluzione e c’è anche la commistione: il gesto dell’“ok” tipico americano è entrato a tutti gli effetti nel gesticolare italiano.

Sempre il gesto dell’“ok”, ma mosso come a formare una linea orizzontale, sta a significare: «Perfetto così!».

Quindi la prossima volta che una proposta del vostro cliente straniero vi interessa, ricordatevi di grattare ben bene il mento. Se le vostre intenzioni sono sulla stessa lunghezza d’onda, fateglielo sapere unendo gli indici come a dire “siamo d’accordo”. E se è ora di pranzo ma il cliente ha perso la cognizione del tempo, la mano appiattita che batte sullo stomaco, gli ricorderà che… tenete una gran fame!

Fonti: La Repubblica, Dudemag (Manuale di sopravvivenza per gentildonne e gentiluomini), New York Times, lavocedelcorpo.com