Pillole


Valeria Tonella Valeria Tonella

Cattivi, ma non troppo: lo siamo tutti (quasi)

 

Ho trovato, sulla rivista Doppio Zero, una definizione che mi ha un po’ inquietato, quella di “piccola cattiveria”. È l’atteggiamento di chi non ti procura un Dolore con la d maiuscola, non ti fa proprio del male, ma ti infastidisce, ti indebolisce, ti punge.


Chi ti fa notare che sei in ritardo e lo fa con brutto tono. Chi ti sbatte la porta dell’ascensore sulla faccia. Chi non ti saluta da anni – e vai a sapere perché.
Ecco, la “piccola cattiveria”. E mi ha inquietato perché pervade la nostra quotidianità, il più banale giorno in ufficio, la più banale conversazione in posta. Hai dimenticato un documento e l’addetta te dice sgarbatamente: perché? Perché non può dirti la stessa cosa con normale cortesia? Cambierebbe qualcosa? Dirlo con “piccola cattiveria” la rende più felice o rende te, povero utente smemorato, più rapido nell’assolvere all’incombenza? No. Eppure succede. Succede di continuo.


Allora ho spulciato tra le fonti del web, e ho scoperto che un professore americano di psicologia, Christian Thoroughgood, ha studiato la cosa e ne ha dedotto che, se siamo più inclini a mostrarci sgarbati, è perché abbiamo insito in noi un pregiudizio di tipo cognitivo (bias), che ci traghetta verso la negatività. Dice che, anche quando ci interessano con la stessa intensità, le esperienze e gli eventi negativi hanno un potere, sui nostri pensieri, almeno cinque volte superiore rispetto agli eventi positivi o “neutri”. Se un supervisore ci urla contro, saremo più predisposti ad arrabbiarci e ad alterarci a nostra volta. Se viviamo delle frustrazioni, saremo più inclini a farle vivere agli altri.


Dipende dalla evoluzione della specie umana, anzi dalla non evoluzione: non siamo tanto diversi dagli antenati che, per sopravvivere, erano reattivi al minimo rumore o cambio di vento. Per la maggior del tempo, la minaccia non si palesava, ma lo stato di allerta era necessario, faceva la differenza ed evitava di venire uccisi da un animale o un incendio.
L’amigdala – il centro emergenze del nostro cervello – è ancora efficiente come allora. Ma oggi abbiamo più informazioni da processare, più persone da incontrare e un livello di stress meno acuto ma più duraturo nel tempo. E il nostro centro emergenze ne risente. Non pensiamo a mostrarci gentili perché siamo troppo preoccupati a difenderci, a pensare a quello che è andato storto l’ultima volta, a sopravvivere, in un certo senso, emotivamente parlando.


Ma è necessario rompere il circolo vizioso che secoli di condizionamento celebrale (e anni di brutte esperienze…) hanno causato. Ci vorrà pazienza, prima che empatia, e il coraggio di essere vulnerabili, di fare il primo passo. Vedete alternative? Soprattutto perché i luoghi dove la “piccola cattiveria” mette radici sono, statisticamente, quelli dove lavoriamo, anche come commerciali (negozi, bar, altre aziende, sportelli). E anche l’esperienza del cliente può uscirne migliorata o… distrutta.