Case history


Redazione V+ Redazione V+

Dal volume N° 23

BRAND, AMORE E FANTASIA

LA VENDITA SPIEGATA DA KEVIN ROBERTS, AD DI UN’AGENZIA PUBBLICITARIA PRESENTE IN 70 PAESI. CREDE NELLA LEADERSHIP, NELLA CREATIVITÀ E NEL POTERE DEI MARCHI DI CATTURARE IL CUORE DEL CONSUMATORE

INTERVISTA A KEVIN ROBERTS

Per gentile concessione di Wobi

 

Ha trascorso la maggior parte della sua vita professionale – se non l’intera sua vita professionale – a lavorare con e per i brand. Come è cominciato tutto?

In inglese la chiamiamo “serendipity”, parola che indica un fortunato incidente. Quando avevo 17 anni fui espulso da scuola. Uno shock, a dire il vero. Invece di andare all’università, mi ritrovai sul mercato, e conobbi una designer di nome Mary Quant. Era la Londra degli anni ‘60. Fu lei che inventò la mini gonna e i collant. Un’icona del fashion e della creatività. All’epoca stavo studiando francese e spagnolo; Mary mi disse che voleva espandersi in Europa e cercava giovani. Cominciai così, lavorando per questa donna e costruendo un brand, Mary Quant, ancora oggi molto famoso.

Oggi è global Ceo di Saatchi & Saatchi. Si considera un leader?

In realtà credo che le persone diano il loro meglio quando fanno parte di una squadra. Le aziende sono squadre, no? Bene, anch’io do il mio meglio quando sono in gruppo. Come “capitano” assumo la guida, ma si basa tutto sull’ascolto. Ecco, per essere dei grandi leader, leader creativi, bisogna saper ascoltare, ma ascoltare davvero. Una leadership fondata sul controllo e sul comando oggi non funziona, almeno non fuori dall’esercito. Oggi leadership significa creare attorno a sè una cultura di responsabilità. Significa ispirare quanti lavorano con noi a essere il meglio che possono essere. Se lavori in Saatchi & Saatchi, un’organizzazione creativa piena di creativi, ti rendi conto che, se fossero aquile, non potrebbero volare in formazione perfetta. Quello che faccio è guidarle verso una stessa direzione.

Ha parlato di “leadership creativa”.

Nel corso degli anni all’interno delle aziende si sono avvicendati vari modelli di leadership. I leader e la leadership cambiano con la società e la cultura. Oggi, per esempio, ci muoviamo in un mondo che io definisco con la sigla “Vuca”, “Volatile, uncertain, complex, ambiguous”, quindi volatile, incerto, complicato e ambiguo, talmente tanto che avere una strategia non è più un fattore critico di successo. Gli eventi accadono così velocemente che serve un altro tipo di leadership, basata sull’abilità di generare un maggior numero di idee rispetto al tuo concorrente. Le idee sono la moneta del nostro tempo. Quello che fa la differenza, credo, è la cultura che guida le persone. Apple è un grande esempio, perché trasforma dipendenti e clienti in partecipanti appassionati.

Non dare mai ai clienti quello che vogliono, da’ loro quello che non riescono neanche a sognare. Questa è la leadership creativa: costruire una cultura in cui – lo dice Tom Peters –puoi fallire in fretta, imparare in fretta e correggerti in fretta. Il fallimento non ha un peso così importante, perché tutti falliamo; ma pochi imparano velocemente dagli sbagli e pochi si correggono nei tempi che servirebbero. Una volta che un leader ha insegnato alle persone a sbagliare, imparare e correggersi in fretta, quelle persone staranno anche meglio con se stesse.

Quindi la strategia in un’azienda non è determinante.

Credo che parlare di strategia, oggi, sia datato. Bisogna essere vicini al cliente e bisogna raggiungerlo nel minore tempo possibile.

Invece di parlare di strategia, dovremmo tornare a parlare di sogni. Martin Luther King non ha iniziato dicendo: “Bene, questa è la mia strategia”. Lui aveva un sogno che lo ispirava.

Ha scosso i media pronunciando parole forti come “Il marketing è morto” e “Il brand è morto”. Cosa intendeva dire?

Il marketing, come lo si intendeva in passato, non esiste più. Il marketing che ci hanno insegnato, quello finalizzato a creare clienti, domanda, “brand equity”, per cui hai un marchio dal nome importante e guadagni di più... no. Oggi tutto questo non è abbastanza. La funzione del marketing si è raffinata: deve creare un sentimento, un movimento, un’appartenenza. Prendiamo ancora Apple, prendiamo l’iPad: prima che arrivasse sul mercato, lavoravamo benissimo anche senza, adesso non possiamo più farne a meno – me compreso. Non è così? Non riguarda il prodotto in sè, riguarda il movimento Apple, il pensiero Apple, la tribù Apple, e come i clienti vogliano farne parte.

In passato si diceva “Brand is the king”, il brand è sovrano. Ho lavorato per Procter & Gamble, ho lavorato per Pepsi Cola, entrambi grandi marchi, e il lavoro consisteva nel mettere in risalto elementi come la fiducia o i benefit del prodotto; ma nel tempo mi sono accorto che qualcosa non funzionava. Pensiamo agli shampoo per capelli: tutti rendono i capelli morbidi e lucenti. Oppure le creme: tutte rendono la pelle luminosa come quella di un bambino. Cosa vuol dire? Che i brand sono diventati tutti uguali. Sono diventati delle commodity, facilmente sostituibili con altri.

Per questo ho deciso di andare oltre ai brand, e con Saatchi & Saatchi parliamo di “lovemark”.

Perché l’emozione più potente di qualsiasi altra, anche della paura o dell’odio, è l’amore. E l’amore ha molti modi di esprimersi: puoi amare la tua nazione, tua madre, il tuo cane, il tuo partner, tuo figlio, la tua squadra di calcio. L’amore è universale, giusto? E possiamo amare anche i brand, ma non se i brand diventano tutti uguali e le uniche cose che contano sono il prezzo, l’etichetta o le promozioni. C’è di più. È la differenza tra brand e “lovemark”, e la differenza è che un brand appartiene all’azienda, un brand da amare appartiene alle persone.

Quando un manager viene nel mio ufficio, mi arrabbio se dice “il mio brand”. Non è il suo brand, il brand è del consumatore.

Quando il consumatore ama un brand?

Un brand, per essere amato, deve essere costruito su tre caratteristiche: mistero, sensualità e intimità, familiarità.

Perché mistero? Perché più conosciamo una cosa, meno interesse nutriamo per essa. E come si crea il mistero? Raccontando delle storie. Come esperti di marketing, come pubblicitari, come venditori, torniamo a raccontare storie! La maggior parte dei siti aziendali che consulto sono terribili: pieni di informazioni, ma dannatamente noiosi. Dobbiamo costruire una storia attorno al nostro marchio.

Perché sensualità? Perché quando ci approcciamo al mondo, usiamo tutti e cinque i sensi, giusto? Invece i brand intervengono per lo più su un senso per volta. Qual è invece l’odore di Apple? Qual è il suo suono? Perché Apple continua ad aprire punti vendita? Perché il cliente possa vedere, sentire, toccare Apple. Vale anche per Nike: se entri in un negozio Nike, senti di essere in un negozio Nike e non Adidas, per esempio. Questi due brand hanno clienti diversi, obiettivi diversi: Nike è tutto effetti speciali, spettacolarità; Adidas è performance sportiva, storia. Ed entrambi sono brand amati dalla gente.

Perché intimità? Perché bisogna creare la giusta atmosfera per il cliente. Di recente ho incontrato Howard Schultz, AD di Starbucks, la nota catena di caffetterie. Ultimamente Starbucks aveva dimenticato il concetto di familiarità e si era concentrata sui prezzi e sull’espansione; Schultz l’ha capito e ha fatto un passo indietro. Ha riportato l’attenzione sui baristi che preparano la nera bevanda, presentandoli come ideali confidenti, e sul profumo e l’aroma del caffè. Ha fatto in modo, poi, che ogni punto vendita avesse in sottofondo della buona musica, che i bagni fossero puliti e così via. Ha ricreato l’ambientazione, l’intimità che si sente quando ci si prende una pausa per  bere un caffè.

Mistero, sensualità, intimità. Curando questi tre elementi, riusciamo a restare in costante contatto con i consumatori, ma non con ciò che dicono o fanno, con ciò che sentono. L’amore per un brand lo si costruisce ogni giorno, proprio come in una relazione, innovando ogni giorno, offrendo qualcosa che vada oltre un paio di scarpe o una tazza di caffè.

Come si fa a bilanciare vita e lavoro?

Parlare di equilibrio tra vita e lavoro... bè, è una fesseria! Trovare un equilibrio significa cedere a un compromesso. Che modo terribile di vivere. Il successo non riguarda i compromessi, il successo non riguarda la moderazione. Il successo riguarda l’eccesso. Oprah Winfrey ha detto: “Devi vivere la tua migliore vita ogni giorno”. E questo non ha niente a che fare con l’equilibrio. Se vuoi essere il migliore al lavoro, se vuoi essere il migliore papà, il migliore amico, il migliore collaboratore, il miglior sportivo che puoi essere, devi volerlo tutto il tempo.

Non si tratta quindi di bilanciare vita e lavoro, ma di integrarli. Devi voler essere il meglio che puoi essere sempre.

Due consigli per concludere?

La prima cosa per avere successo è volerlo. Vince Lombardi ha detto che vincere non è tutto, ma è voler vincere l’importante. In Europa ho conosciuto molti uomini e donne di business che non vogliono più vincere, ma solo guadagnare qualcosa, o leader politici che vogliono solo rimanere al potere. Ma questo concetto di successo è povero. Vincere inizia dal voler vincere, e non a ogni costo. Devi voler vincere perché insegui uno scopo. Il secondo elemento che determina il successo è la presenza di leader in ogni parte di un’organizzazione. Ci vogliono leader che accolgano il cliente quando entra in azienda, ci vogliono leader tra le segretarie, ci vogliono leader nelle agenzie viaggi. Ricordo una partita degli All Black contro l’Irlanda. Finì 60 a zero. C’erano 15 capitani, 15 leader in campo, che si sono presi la responsabilità della partita, hanno garantito un risultato e messo le loro qualità a disposizione della squadra.

Servono ambizione e voglia di vincere. Questo serve.

 

ALL YOU NEED IS LOVE

Kevin Roberts è global Ceo di Saatchi & Saatchi, agenzia pubblicitaria con 6 mila dipendenti presente in oltre 70 Paesi.

Roberts è una delle figure più conosciute e carismatiche quando si parla di brand, marketing e comunicazione aziendale. Ha ricoperto ruoli manageriali ai vertici di aziende come Gillette, Procter & Gamble, Pepsi. Ha introdotto il concetto di “lovemark”, per definire quei brand che vanno oltre il marchio e fanno innamorare il cliente. “Quando in Saatchi & Saatchi parlai per la prima volta di amore riferendomi ai brand, arrossirono imbarazzati. Ma l’amore è il centro. È quella connessione potente tra l’azienda e la gente che ispira fedeltà oltre ogni possibile ragione. Un lovemark è un brand che non puoi togliere dal mercato senza provocare un tumulto! Bisogna chiedersi: che cosa trasforma un brand in qualcosa che il consumatore ama?”. Nel 2010 AdAge l’ha definita una delle “Top ten ideas” del decennio.

Insegna in università di tutto il mondo e parla come speaker ad almeno 50 seminari o incontri ogni anno.

Tra i suoi libri: Peak perfoming organizations (2000), Lovemarks: the future beyond brands (2004) tradotto in 17 lingue, Sisomo - The future on screen (2005), The lovemarks effect (2006), Diesel: XXX years of Diesel communication (2008).

www.saatchikevin.com - Facebook: Lovemarks, Saatchi & Saatchi - blog: krconnect.blogspot.it - twitter: @SaatchiSL