Pillole


Valeria Tonella Valeria Tonella

Dal volume N° 71

Basta parlare di motivazione al lavoro (o almeno nel modo sbagliato)

DALLE CATENE DI MONTAGGIO ALL'AUTODETERMINAZIONE:

SE SIAMO LIBERI DI GESTIRCI, CI SENTIREMO CAPACI

Frederick Taylor era un ingegnere meccanico che, alla fine dell’Ottocento, studiò come aumentare l’efficienza delle fabbriche. L’idea fu semplice: spingere gli operai a lavorare non più su tariffa oraria, ma a cottimo, motivandoli quindi a produrre più velocemente. Oggi tu, manager o imprenditore con una squadra, non hai una catena di montaggio davanti, ma individui, che possono anche svolgere dei compiti ripetitivi, a cui assegni delle task più o meno creative e non sempre così nel dettaglio da dire “se fai questo, questo e questo, ti pago questo”.

Il lavoro è misurabile fino a un certo punto, di conseguenza motivare un gruppo diventa più macchinoso. Diciamo più impegnativo, estremamente più impegnativo. Spesso diventa “il” compito di un responsabile o supervisore o capo. Anni di articoli e ricerche, ormai, ci hanno convinti che ordinare a una persona di essere motivata è impossibile. Di più: ci sono psicologi che hanno sposato l’idea che o la motivazione viene da dentro, o niente.

Nello specifico Richard Ryan ed Edward Deci hanno coniato l’espressione “intrisic motivation”, “motivazione intrinseca” o teoria dell’autodeterminazione. Ne parla David Burkus sul sito di Ted. In pratica, quando una persona viene lasciata libera di gestirsi e di decidere come lavorare su una cosa, sarà molto più motivata. Bisogna darle, cioè, quel po’ di potere su se stessa che la fa sentire capace, sensazione che, secondo questi due esperti, non viene neanche da un incentivo in denaro.
Capiamo subito che è una bella teoria, ma piena di potenziali buchi: e se un individuo non è in grado di gestirsi? Se perde la strada e non finisce il lavoro in tempo? Davvero i bonus sono così limitanti e limitati?


Spiegata così, sembra utopica, e probabilmente lo è – senza contare le piccole e grandi difficoltà che tutti incontriamo quando dovremmo essere produttivi e non lo siamo (problemi di salute, instabilità emotive, famiglia…)
La teoria dell’autodeterminazione (quindi ognuno è responsabile per sé) contiene, però, tre principi interessanti dai quali è più facile partire per motivare e non diventare per forza dei controllori sul posto di lavoro.

  1. L’autonomia: quanto una persona del nostro gruppo sente di avere voce in capitolo su ciò a cui stiamo lavorando e su come ci stiamo lavorando? Può intervenire sulle scelte? Può fissare, a sua volta, degli obiettivi e delle scadenze? Questa persona, e le altre del gruppo, vengono solo consigliate “dall’alto” oppure vengono fatte loro delle domande che le guidino nella ricerca di soluzioni? Se la risposta è sempre sì, gli individui di un gruppo avranno un maggiore senso di autonomia, ed è più facile che la loro motivazione se la costruiscano da sole.
  2. La competenza. Per motivare qualcuno, è necessario poi valorizzare la sua competenza. Attenzione! Non intesa come “cose che già si sanno o si sanno fare”, ma “naturale desiderio di imparare, di crescere e di sentirci come se stessimo facendo progressi”. Il capo gruppo bravo è quello che ricorda a ognuno i progressi già fatti, ma anche che li spinge a farne altri, perché la ricchezza sta nel poter migliorare ancora e ancora. Pensiamoci: in questo modo non mette limiti e non li evidenzia – come invece farebbe dicendo “sai questo ma non quello”. Ogni individuo è un essere umano in divenire, e qui sta l’investimento.
  3. La relazione. “Le persone sono molto più motivate ad agire quando il loro obiettivo è aiutare gli altri componenti del team”. Se tutti pensassimo alle conseguenze che il nostro lavoro ha sulle giornate di chi è in ufficio con noi, quanto più efficacemente riusciremmo a superare la pigrizia, la stanchezza, la demotivazione? “Sono importante per gli altri” è una frase molto potente! Va al di là di qualsiasi vision o mission aziendale: è l’essenza del lavoro di gruppo, e nella maggior parte dei casi del lavoro in generale.

Conclude Burkus: “Non ho parlato di stipendi o di vantaggi economici. Non ho parlato di quante ore bisogna fare o di una qualsiasi delle cose in genere discusse quando i capi pensano di costruire un posto di lavoro più motivante. Sì, quelle cose sono tutte fantastiche. Semplicemente non fanno molto per la motivazione, almeno se paragonati alla creazione di un senso di autonomia, competenza e relazione”

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