Mondo V+


Maria Bietolini Maria Bietolini

Dal volume N° 19

VENDITORE: ORGOGLIO O PREGIUDIZIO?

Durante l'ultima lezione di inglese siamo stati invitati a parlare del nostro lavoro.

Una ragazza, arrivato il suo turno, ha tirato fuori dalla borsa una bottiglia e dei volantini e ha iniziato a presentarci i benefici miracolosi dell’integratore alimentare che rappresenta da qualche anno. Quando le detto che aveva dimostrato un'ottima tecnica di vendita, se l'è presa: "Ma io non vendo! Io presento!".

Dissolvenza.

Incontro il mio nuovo promotore finanziario. Mi chiede di cosa mi occupo: gli parlo di pubblicità e poi gli mostro una copia di V+. "Bello! Mi interesserebbe molto, se facessi il venditore". "Scusi – oso chiedergli – ma non è qui per vendermi una polizza?". "Sono qui a proporla: io sono un consulente."

Dissolvenza.

Un mio cliente ha una piccola rete. Bisogna fare i biglietti da visita per dei nuovi collaboratori. Tutti hanno qualcosa che non li convince riguardo alla definizione da scrivere sotto il proprio nome: nessuno ritiene di occuparsi solo di vendita ("… non potremmo farla passare come area marketing?”), qualcuno dice che “commerciale” suona troppo… commerciale. A questo punto voglio capire e creo un elenco di varianti, alcune in inglese e alcune francamente fantasiose. Risultato del test? Se è scritta in inglese, “Sales”, la parola vendite risulta accettabile – specie se seguita da Manager, Specialist e cose così. Grande successo di Business Developer, Business Professional, Client Relationship e deliranti varianti.

Insomma: per paradosso, da queste esperienze potrei dire che oggi in Italia la crisi non sembra dovuta alla diminuzione dei consumi, ma alla apparente estinzione dei venditori.

Perché un professionista delle vendite ha resistenze a definirsi venditore? All’estero, specie nei Paesi anglosassoni, non è così: il venditore è consapevole e fiero del proprio ruolo economico e sociale. “Sales Professional è una definizione chiara e orgogliosa non solo negli Stati Uniti, ma anche in mercati dinamici ed emergenti. Qual è il "peccato originale" di questa semplice, pura parola?

(Temo ci sia una componente psicologica generalizzata: quando lavoravo nelle agenzie di pubblicità, che a tutti gli effetti è una modalità di vendita, i miei colleghi ci tenevano a definirsi "creativi", non pubblicitari, e sostenevano di fare comunicazione, non di vendere…

Anche per questo, un famoso libro scritto da Jacques Séguéla, si intitola: Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario, lei mi crede pianista in un bordello. Ecco: sostituite venditore a pianista, e avremo il quadro del nostro attuale percepito professionale).

V+ è nato per promuovere una visione diversa del venditore, come professionista serio e in costante auto-miglioramento.

Per questo, vorremmo capire cosa ci motiva e cosa ci trattiene; cosa ci ha fatto scegliere di diventare venditori, o perché questa scelta è vista come un ripiego.

Nel numero 18, nella rubrica "L'esperienza insegna", Alberto Aleo ha raccontato della sua scelta di passare dal marketing al commerciale, con conseguente commento di sua nonna: "Ma fai il commesso viaggiatore?".

Ecco, da questa domanda che esprime tutto vorremmo partire per iniziare un approfondimento, da sviluppare sul magazine e sul sito, intitolato come questo articolo: venditore, orgoglio o pregiudizio?

Stiamo chiedendo contributi e pareri ad alcuni collaboratori, ma evidentemente tutto parte da chi vive questo duplice sentimento sul campo. Cosa pensate della vostra professione? Perché siete fieri del vostro ruolo, o perché lo sentite di serie B? Cosa ha di bello o di brutto la parola venditore? Qual è per voi il limite o il valore della professione della vendita?

Insomma: è davvero meglio che vostra madre vi creda pianisti in un bordello?

Scrivete a redazione@venderedipiu.it