Pillole


Valeria Tonella Valeria Tonella

Dal volume N° 31

Ups!

Alle aziende la ciambella non riesce sempre con il buco. Può succedere che per Halloween il gigante americano Walmart metta in vendita, sul suo e-commerce, alcuni “Fat girl costumes”, vestiti (da strega, diavolo o cameriera) per ragazze grasse (proprio così). Il web si indigna, i clienti più sensibili pure, e allora Walmart cerca di ovviare al problema… modificando la dicitura della sezione, che diventa “Women’s plus size Halloween costumes”. Insomma, costumi per chi non è proprio grassa, ma ha una taglia in più. La coscienza è salva, e a parte qualche rimostranza su twitter il customer service risponde ai clienti che “i suoi suggerimenti sono importanti per migliorare Walmart. Grazie”. Ma la pagina resta online com’è. Solo quando i toni si inaspriscono e i follower fanno notare che tutta la faccenda manca di eleganza, la sezione “Fat girl costumes” sparisce dal sito, con relativo cinguettio di scuse e testa di Walmart coperta di cenere.


Di altri scivoloni come questo avevamo avuto notizia nei mesi precedenti: Zara e i suoi pigiami per bambini a righe con stella gialla simil ebraica («Ci dispiace molto» dissero), o Urban Outfitters, che fece uscire una felpa targata “Kent State” trivellata di buchi rossi sul davanti. Più il reperto di un omicidio che un capo vintage («Non volevamo sembrassero fori di pistola». Poco male, considerando che la sparatoria della Kent State, avvenuta nel 1970 nell’omonima università dell’Ohio, è una delle più tristemente ricordate).

In tutti e tre i casi le scuse dell’azienda sono giunte con celerità, non sufficiente, però, a bloccare un’opera di branding e di marketing disastrosa e ormai confezionata. La “colpa” è da imputare forse al facile innamoramento che le aziende subiscono verso certe idee e verso i prodotti che ne nascono. Ma, perché i prodotti possano poi essere effettivamente venduti, è importante che niente sia passibile di fraintendimento; che si tenga conto di una clientela multiculturale; che vi sia, in azienda, la collaborazione di gruppi che lavorino sullo stesso prodotto (i cosiddetti “cross-functional team”); e soprattutto che si tenga sempre un occhio dentro e uno fuori l’azienda. Pensare a quello che penserebbe il cliente, una volta che ha il nostro prodotto in mano, non è solo marketing teorico. È vendita pratica.


Ultimo accorgimento ma non meno decisivo: è importante chiedere scusa subito, senza nascondere la polvere sotto il tappeto. Pensate che a novembre Einaudi annunciava su twitter la pubblicazione di una raccolta di lettere dell’autore americano John Fante… solo che la foto di copertina non era la sua, ma quella di uno scrittore inglese. Straordinariamente la “vox populi” del web non si è scatenata all’eccesso, ma ha scelto di capire l’azienda. Un errore ci sta, ed Einaudi l’ha ammesso quasi in diretta e in modo esplicito. Pare inoltre che le copie con la copertina sbagliata siano ora super valutate (ovviamente). Tutti a comprare Fante! Ed Einaudi ha risposto con ilarità: “Sta a vedere che per vendere John Fante bastava mettere Stephen Sender in copertina. A saperlo lo facevamo subito! (smile)”.