Pillole


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Quando è stata l'ultima volta che hai parlato di salute mentale sul lavoro?

Perché ha fatto scalpore il caso del ritiro di Naomi Osaka dall’Open di Francia? Perché è l’atleta donna più pagata di sempre? Perché è uno dei tornei più importanti e sponsorizzati? Sì e sì. Ma anche perché Osaka ha rinunciato alla competizione per motivi di salute. Mentale.

“Viziata, debole egoista” l’hanno definita. Ansia e depressione, hanno giustamente ricordato altri. Ma a quei livelli solo un braccio rotto o una caviglia slogata avrebbero potuto giustificarla… solo a quei livelli?

Un’analisi di Forbes ci ricorda che non si tratta di Osaka e nemmeno del tennis mondiale. Non soltanto. Su qualsiasi posto di lavoro si parla ancora troppo poco di salute mentale – ed è bizzarro, dopo una pandemia che avrà effetti “long” oltre che sul corpo anche sullo spirito delle persone.

“La salute mentale sul posto di lavoro continua a essere un argomento controverso al quale non viene riconosciuto lo stesso valore della salute fisica”.

E ancora: “Molte aziende continuano a fare richieste punitive ai dipendenti che vanno contro il loro benessere mentale ed emotivo”, di fatto non riconoscendo il problema. “Ma cosa sarà mai?”

Ricordiamo che Osaka ha lasciato un lavoro che, oltre a farle fatturare cifre miliardarie, ama profondamente – con conseguenze mediatiche per lei devastanti.

Cosa possiamo imparare?

1. Il tuo benessere mentale deve essere una priorità. Proteggila quotidianamente. Non sentirti un egoista o un/a fallito/a, se decidi fare un passo indietro.

2. Mantieni il controllo sulla tua carriera. Se ti senti maltrattato al lavoro, parlane con qualcuno, e non prendere mai decisioni su due piedi che ti porterebbe più in alto come posizione, ma più in basso come equilibrio psico-fisico. Non importa quali pressioni arrivino da chi ti sta sopra – e una volta che stai meglio, cerca di non tornare sui tuoi passi.

3. Fissa dei confini “sani”. Se un’azienda ti fa richiesta irragionevoli, sii pronto a dire di no.

4. Smettila di criticarti. Se ti trovi in un ambiente tossico, è normale voler tirartene fuori.

5. Individua delle persone che possano aiutarti. Famiglia, amici, colleghi su cui poter fare affidamento nei momenti critici. Serena Williams e Michael Phelps hanno parlato apertamente in difesa di Osaka.

6. Resta professionale: parla con l’azienda, e di’ che è tua speranza che entrambe le parti trovino una soluzione – anche per le situazioni che capiteranno in futuro con altri collaboratori.

7. Prendi in considerazione l’idea di mollare il lavoro.

E se sei un manager o un supervisore?

“People first” (“Le persone vengono prima di tutto”) non è uno slogan da gridare solo nei momenti buoni. La salute mentale è un diritto dei tuoi collaboratori, e se sei attento al loro benessere e alla loro soddisfazione come dici, non puoi girarti dall’altra parte. Per evitare decisioni sbagliate, consultati con le Risorse umane e con un esperto, valutate assieme la situazione della singola persona. Non sarà minimizzando la cosa che ne uscirete indenni o che manterrete alte le performance di un collaboratore in difficoltà. Sii presente, informati sullo stato del tuo gruppo, abbi occhi per vedere, anche quando c’è lo smart working di mezzo. Non lasciare che nessuno si isoli o si senta lasciato in disparte. “Attento a non trasformare le persone da soggetti a progetti”, parafrasando Maura Gancitano e Andrea Colamedici nella loro Società della performance.

Manda giù questa pillola proprio con l’ultimo libro qui citato: La società della performance, Gancitano e Colamedici, Edizioni Tlon