Case history


Redazione V+ Redazione V+

Le brave ragazze non cambiano la storia

DONNE CHE HANNO RIVOLUZIONATO IL BUSINESS,
CONTRO LIMITI E STEREOTIPI

 

 

 

BROWNIE WISE:
LA PIÙ GRANDE VENDITRICE DELLA STORIA

Tupperware è oggi un’azienda multinazionale che nel 2014 ha conseguito un fatturato di 2,6 miliardi di dollari; dopo oltre 60 anni di vita continua a prosperare distribuendo i suoi prodotti (contenitori di plastica per alimenti, utensili di cucina, oggetti utili per la casa...), e lo fa in 100 Paesi con una rete di 2,5 milioni di venditori. Pardon: venditrici. Perché il modello distributivo ha rispettato la felici intuizioni della sua creatrice.

Earl Tupper, inventore di Tupperware, che dopo aver lavorato per DuPont durante la Seconda guerra mondiale, aveva scoperto un modo per modellare il polietilene in fogli sottili ma resistenti. Nel 1949 aveva creato e brevettato i coperchi “Tupper Seal”, che rendevano i contenitori a tenuta sia di acqua che di aria; ma quando li aveva lanciati sul mercato avevano avuto poco successo.

In realtà c’erano tre problemi: il pubblico non aveva fiducia nella plastica, non sapeva come usare i prodotti Tupperware e Tupper non aveva alcuna esperienza nella gestione di una forza vendita.

La soluzione dei suoi problemi si presentò nel 1951 quando incontrò Brownie Wise, una casalinga della Florida che come dealer indipendente vendeva due camion di prodotti alla settimana, utilizzando il metodo delle riunioni a casa delle clienti, tutte casalinghe (gli home parties). L’unico modo di vendere quei prodotti era mediante una dimostrazione del loro utilizzo: la soluzione erano proprio gli home parties. Tupper la assunse immediatamente, nominandola General Sales Manager, e adottò il suo metodo di vendita.

Wise era sempre alla ricerca di collaboratori, specialmente donne e quando li selezionava, non escludeva nessuno a priori. In un’intervista del 1954, ricordò che una volta si era fermata a un distributore con la sua station wagon carica di contenitori. Il benzinaio l’aveva guardata con curiosità e le aveva chiesto che cosa facesse. Avevano cominciato a parlare e alla fine il benzinaio aveva accettato che sua moglie organizzasse un party. Nella ricerca di nuovi dealer, il suo maggior problema era che trovava prevalentemente persone non addestrate e che avevano timore di vendere. Ma non si scoraggiava mai. Il suo motto era: “Costruisci gli uomini e loro costruiranno il business per te!”. La conseguenza fu che spingesse fortemente la formazione, includendo anche un corso per parlare in pubblico e suggerimenti su come fare una presentazione: insisteva che il presentatore mostrasse determinazione sul suo volto e tenesse la testa eretta. Wise insegnava poi a dedicarsi a un singolo obiettivo alla volta: “L’essere umano è costruito in modo da riuscire a concentrarsi soltanto su una cosa”.
Raccomandava di visualizzarlo in qualche modo. Per esempio, uno dei suoi obiettivi personali era quello di possedere la sua casa. Wise disse: “Ho trovato la fotografia di una casa che somigliava a quella che mi sarei voluta costruire e l’ho appesa alla parete, in modo di poterla vedere spesso”. Ogni volta che incontrava degli ostacoli o degli insuccessi, raccomandava di riacquistare l’autostima parlando dei propri attributi positivi. “Sofférmati sui molti talenti che possiedi e sulle grandi cose che puoi realizzare, semplicemente facendo conto soltanto su alcuni di essi”.

Wise era convinta che la maggioranza delle persone fosse impaziente e volesse ottenere i suoi obiettivi immediatamente. Invece il suo consiglio era di cercare una piccola vittoria ogni giorno e controllare il progresso. “Pianifica il tuo sviluppo, fissa un momento ogni settimana, e in certi casi ogni giorno, per prendere coscienza di quanto ti sei avvicinato al tuo obiettivo. È importante mantenere un grafico del progresso fatto”.

Wise richiedeva rapporti giornalieri da tutti suoi distributori e teneva una macchina da scrivere in camera da letto, nel caso avesse urgenza di scrivere un memorandum nel corso della notte!

Il processo che aveva creato incontrò un grande successo: nel 1951 aveva solo 200 dealer, nel ‘54 il numero era esploso a 9 mila e il fatturato di Tupperware aveva raggiunto parecchi milioni di dollari. Il successo era dovuto certamente alle capacità di Wise, ma anche al fatto che – forse senza saperlo – aveva sfruttato a pieno il conformismo suburbano, il consumerismo postbellico e il cambiamento del ruolo delle donne nell’America degli anni ‘50.


Purtroppo, però, dopo sette anni di collaborazione produttiva, Tupper licenziava Wise, stanco della sua grande visibilità (era stata la prima donna ad apparire sulla copertina di Business Week). Era il 1958 e lo stesso anno Tupper monetizzava il successo vendendo la sua società alla Rexall per 16 milioni di dollari. Dopo un’esperienza negativa di riapplicazione del suo metodo, Wise scompariva dalla scena del business per poi morire dimen-ticata nel 1992.

ESTÉE LAUDER:
LA FORZA DELLA SORELLANZA

(ph: tendencia.com)


Estée Lauder, nata Esther Metzer, era la figlia di una famiglia molto modesta di venditori di elettrodomestici, immigrati ebrei dall’Europa. Quando decise di vendere la crema creata da un suo zio, che lasciava la pelle liscissima e che produceva a casa cuocendola in pentolini, iniziò promuovendola fra le compagne di liceo; dopo il matrimonio con Joe Lauder, creò il suo brand e si mise a portare di persona i suoi prodotti “casalinghi” nei saloni di bellezza e dei parrucchieri di New York. Allestì angoli nei punti vendita, fare dimostrazioni e applicare gratuitamente i prodotti alle clienti, che acquistavano e diffondevano spontaneamente i molti campioncini ricevuti alle amiche. Una politica di “sampling” era diretta e poco costosa.

Un inizio difficile anche quello di Evelyn Hausner: anche lei ebrea, era scappata coi genitori da Vienna in pieno nazismo. Nel 1959 iniziò la sua carriera come telefonista in Estée Lauder, che all’epoca aveva “ben” 4 dipendenti e 6 prodotti. Che avesse talento e faccia tosta fu subito evidente anche alla fondatrice, Estée: Evelyn rispondeva alle telefonate dei potenziali clienti dicendo di attendere, affinché potesse passargli l’interno giusto. Appoggiata la cornetta, aspettava un po’, poi rispondeva modificando la voce: un trucchetto per far credere all’esterno che l’azienda fosse molto più grande. Sia lei che Estée affermarono poi convinte che “il successo percepito diventa successo vero”.

Estée, che cercava una donna in grado di affiancare i suoi tre figli maschi alla guida della sua azienda, riconobbe e premiò presto questo talento. Anche suo figlio Leonard dimostrò di apprezzare molto Evelyn, tanto da sposarla. Suocera e nuora lavorarono in sintonia, portando l’azienda al grande successo negli anni Settanta. Evelyn, che subentrò a Estée alla presidenza, teneva corsi ai venditori e fu sua l’intuizione di creare il segmento dei prodotti di bellezza semi-farmaceutici dando vita a Clinique. Dopo che nel 1987 la diagnosi precoce la salvò da un cancro al seno, creò il simbolo e la campagna del “Nastro rosa”, che a oggi ha raccolto 350 milioni di dollari destinati alla cura e alla ricerca.

L’impero Estée Lauder, nato letteralmente nel tinello di casa e che oggi si estende a tutto il mondo, ad agosto 2016 registrava un incremento di fatturato nel trimestre pari a 2,65 miliardi di euro (+5%).

ELIZABETH ARDEN:
L’INTUITO, PRIMA DI TUTTE

(ph: Alan Fisher, New York World-Telegram and the Sun)

Una pioniera dell’industria cosmetica in America fu una canadese figlia di immigrati, nata nel 1890 col nome di Florence Nightingale Graham.
Rimasta orfana da piccola e dovendo lavorare, provò a fare l’infermiera scoprendo presto che curare la gente non le bastava, voleva farla sentire più bella; quindi si trasferì a New York e iniziò a lavorare in un salone di bellezza. Altra scoperta: i suoi massaggi erano definiti “magici”, specialmente quelli al viso. I suoi datori allora le insegnarono princìpi e formule dei prodotti, e lei dopo poco decise, con soli 6 mila dollari, di mettersi in proprio aprendo un salone nella prestigiosissima Quinta Strada. Trattandosi dell’area top con la clientela top, intuì di avere bisogno di un nome che “suonasse” meglio, che potesse diventare marchio, e per sceglierlo, si affidò, cosa che in qualche modo racconta molto il suo mondo interiore, alla letteratura. Da Elizabeth e il suo giardino di von Arnim e la poesia di Tennison Enoch Arden, ecco nascere il nome che, sempre rimanendo il salone più famoso della Quinta Strada, oggi firma cosmetici, profumi, make up, con distribuzione mondiale.

Considerando la condizione femminile di un secolo fa, il pionierismo di Elizabeth Arden è da citare anche nel marketing: nel 1910 distribuiva i suoi rossetti rosso fuoco alle suffragette, come simbolo di lotta. La promozione del concetto di “bellezza democratica” oggi si esprime anche attraverso l’ampia diffusione di tutorial attraverso i canali digitali.

HELENA RUBINSTEIN:
VOCAZIONE E APPLICAZIONE


(ph: dal sito themag.helenarubinstein.com)


Polacca, nata nel 1873, era una delle otto figlie di una famiglia ebrea di commercianti, che evidentemente le trasmisero il gene dell’intraprendenza. Infatti a soli 20 anni, e da sola, andò in Australia, dove iniziò a vendere vasetti di una crema emolliente polacca alle donne locali, dalla pelle secca a causa del sole. Visto il successo, iniziò a importare la crema attraverso sua madre e poi ad aprire negozi.

Intravedendo il potenziale, tornò in Europa a stu-diare dermatologia, con l’obiettivo di creare prodotti specifici propri. Disse: “Il mio laboratorio è la grotta dell’alchimista di sempre, con i mezzi di oggi”.

Il primo negozio europeo fu a Londra e, considerando che si era a inizio ‘900, non bisogna trascurare la sua determinazione e il suo coraggio quasi da suffragetta: per le donne “di buona famiglia” anche il rossetto era sconveniente. Eppure, eppure... il suo successo fu inesorabile e internazionale, e “Madame Rubinstein” continuò a lavorare nel suo ufficio senza sosta fino al 1965, quando morì a 92 anni.

La rivista Life la definì “la donna d’affari di maggior successo al mondo”.

JOY MANGANO:
LA RIVOLUZIONE DELLE PULIZIE DOMESTICHE

(dal sito joymangano.com)

Nel 1990 Joy Mangano è mamma single di tre figli e casalinga di origine italiane che vive a New York. Dopo una laurea in gestione aziendale, deve lasciare il lavoro per badare alla famiglia ed è proprio pulendo e cercando di capire cosa fare della propria vita che la Mangano ha un’idea di business: unire più fili di cotone in modo da usarli come uno straccio solo, strizzandoli nel secchio senza bagnarsi le mani o stare in ginocchio. È l’invenzione di Miracle mop, il “mocio che fa miracoli”.

I primi modelli vengono prodotti nel garage del padre e distribuiti porta a porta, nelle fiere locali o in piccoli negozi.

La svolta arriva grazie alla televisione: il canale di televendite QVC viene a sapere della storia e del successo di Miracle mop e propone di mandare in onda delle dimostrazioni del suo funzionamento. Le vendite non decollano, fino a quando a qualcuno (non si sa bene chi) viene in mente di far fare alla Mangano le dimostrazioni. Il boom: secondo Time, durante la prima televendita di Joy Mangano, gli ordini sono circa 18 mila (in 20 minuti!).

Da allora si apre la strada del successo per questa inventiva donna italoamericana: dopo la creazione di moltissimi altri brevetti e prodotti per la casa (distribuiti soprattutto su Home Shopping Network), si stima che la Mangano abbia raggiunto un patrimonio di 50 milioni di dollari, diventando una delle imprenditrici più influenti del mondo.

LUISA SPAGNOLI:
UNA DONNA “AL BACIO”

(ph: dal sito luisaspagnoli.com)


Luisa Spagnoli, classe 1877, Perugia. Anzi, pro-vincia di Perugia: Sargentini. Tant’è, perché il prodotto che meglio la ricorda porta il nome del capoluogo umbro. Il cioccolatino più scartabellato e conservato con i suoi bigliettini: il Bacio Perugina.

Come avvenne? Grazie alla collaborazione con il marito Spagnoli (e poi di Giovanni Buitoni), una certa tradizione cioccolataia nel centro storico di Perugia, una prima guerra mondiale che non spaventa, cento dipendenti a conflitto finito. Nel dopoguerra la crescita dell’azienda, l’attenzione per i diritti delle lavoratrici (la Spagnoli fonda un asilo) e quindi l’invenzione del Bacio.

Prima, la Perugina crea una tavoletta che dalla Spagnoli prende il nome; poi, negli anni Venti si pone il problema di recuperare alcuni scarti di produzione: cioccolato gianduia, granella di mandorle, nocciole intere e il cioccolato “Luisa”, appunto. Da qui la ricetta del Bacio, all’inizio - pare - chiamato “Cazzotto”, per la forma a nocca di dita, poi rinominato in modo più romantico...

La realizzazione del cioccolatino seguiva regole quasi “magiche”, completamente artigianali: si sentiva la temperatura del cioccolato poggiando il mestolo sulle labbra (niente termometri) e la doppia glassatura lo rendeva “fragrante” come una rosa. Nel 1927 la pubblicità dice: “In soli cinque anni la Perugina ha distribuito cento milioni di Baci”. Nel 1939 apre il primo negozio sulla Fifth Avenue a New York.

Luisa Spagnoli non si fermerà qui: la seconda passione della sua vita sarà la produzione della lana d’angora per scialli e altri abiti (lana che in Italia non era così diffusa). “Luisa Spagnoli” è oggi un alto brand d’abbigliamento – creato dal figlio – il cui amministratore delegato è attualmente un’altra donna, Nicoletta, pronipote di Luisa. L’azienda ha più di 800 dipendenti e ha chiuso il 2015 con un fatturato di 126 milioni di euro. Un’altra (bella) storia di business.

IRIS APFEL:
«A 95 ANNI VADO ANCORA DI MODA»

(ph: dal sito d-art.it)

 

«Amo improvvisare. Mi piace fare le cose come se stessi suonando jazz». A 95 anni, la stilista newyorchese Iris Apfel vive ancora la moda sulla pelle ed è l’incarnazione del concetto di “icona”: «Mi piace l’unicità, oggi è tutto così omogeneo e io detesto l’omogeneità». Cresciuta negli anni della grande Depressione americana, ha imparato dalla madre che “se hai un vestito nero, hai sempre qualcosa da metterti”, basta “venerare l’altare dell’Accessorio”: perciò sfoggia decine di giganteschi bracciali e grosse collane sopra le camicie fantasia. È tutto grande, in questa piccola donna. Dagli occhiali alla “vision”: sono gli anni Quaranta quando chiede a un negoziante di venderle un paio di jeans. “Lo sa che le giovani signore non indossano i jeans?”. Devono ordinargliene un paio da uomo, insiste settimane per averli. Da giovane, studi artistici la portano ad approfondire l’interior design e a fondare la Old World Weavers, azienda che conduce fino al 1992 e che produce all’inizio tappezzeria (per tutte “le case più importanti d’America”, anche la Casa bianca!), poi tessuti per le case di moda più eleganti del mondo. «Chi vende abiti deve avere senso della storia e curiosità; non può semplicemente andare alle fiere e comprare un paio di bottoni: è follia! Deve conoscere il mondo, l’economia, la politica, la società, perché un abito è influenzato da tutto questo». A Iris Apfel vengono dedicate mostre, consegnati premi e a 90 anni “debutta” come docente all’università del Texas su temi di moda e stile. Il Guardian l’ha definita “una delle 50 donne meglio vestite sopra i 50”. Ancora oggi seleziona abiti, sceglie modelli per le sfilate, fa consulenze, parla in tv delle nuove tendenze; e se da un impegno all’altro deve affidarsi al bastone o alla sedia a rotelle, lo fa indossando rigorosamente una delle sue pellicce fluorescenti, perché “il colore può resuscitare i morti” (le citazioni di Iris Apfel sono prese da Iris, documentario in onda su Netflix, ndr)