Customer Experience


Martin Lindstrom Martin Lindstrom

Dal volume N° 22

IL PRODOTTO? LO FA IL CLIENTE

LE AZIENDE DICONO DI FARE PRODOTTI “SU MISURA”, MA LE NUOVE IDEE E LA PERSONALIZZAZIONE PARTONO SEMPRE PIÙ DAL CONSUMATORE FINALE

PER GENTILE CONCESSIONE DI WOBI

 

Può la nostra azienda collaborare con i fornitori, i business locali e i clienti stessi per coinvolgere questi ultimi nel miglioramento del nostro prodotto?

Sì! Vediamo allora alcuni consigli pratici su come rafforzare l’identità di un marchio e aumentare, di conseguenza, i profitti.

Come? Facendo lavorare il cliente per noi!

Dai Lego ai noodle (famosi spaghetti giapponesi), le aziende scelgono sempre di più di lasciare che siano i consumatori o gli utilizzatori del prodotto a controllare il brand e a farlo crescere.

Il caso dei noodle

Camminando in un qualsiasi punto vendita della catena 7-Eleven in Giappone, vedrete scaffali e scaffali di noodle, più di quanti ne vedreste riempiti di soda in uno store americano. In Giappone gli spaghetti di riso o grano sono un business redditizio, e ne sono stati prodotti in quantità esagerata, per migliaia di marchi conosciuti. Tuttavia, più di recente, è iniziato un nuovo trend nel confezionamento di questo prodotto, che potrebbe ridefinire l’intera categoria dei cosiddetti “fast-moving consumer good”, cioè quei beni che si vendono velocemente e a basso costo.

Cosa succede? Sugli scaffali dei supermercati ci sono centinaia di migliaia di confezioni di noodle ciascuno con su raffigurato un ritratto, non di una persona qualsiasi, ma di uno chef del posto piuttosto celebre. Non solo: i noodle prendono il nome dal ristorante dove lo chef lavora e tutta la confezione copia lo stile, i colori, l’immagine del ristorante.

Non pensiate che Celebrity chef, il famoso programma televisivo, abbia semplicemente preso il sopravvento sul business dei noodle, perché non sto parlando di una manciata di maestri cuochi. No, sto parlando di migliaia di chef che sono diventati delle celebrità. E sorprendentemente le aziende food scelgono di non usare più i nomi dei loro stessi brand, ma di rappresentare i tanti brand di piccoli ristoranti di quartiere.

I noodle in Estremo oriente sono come i sandwich nell’ovest del mondo. Migliaia di ristoranti che cucinano noodle hanno negli anni sviluppato una loro clientela. Non si tratta solo del gusto che i noodle hanno, ma anche del modo in cui vengono preparati e serviti, che crea dei seguaci fedeli ai vari locali. E la cosa ancora più essenziale è che i clienti abituali, che regolarmente mangiano questo piatto, non hanno nessuna difficoltà a distinguere i noodle di un ristorante da quelli del ristorante vicino. I “degustatori” più esperti sanno riconoscere un noodle di riso da uno di grano saraceno da uno di patate.

È proprio questa “loyalty” che i grandi produttori del food puntano a “imbrigliare”, sfruttandola per risollevare i loro marchi nazionali in declino. L’azienda invia vari gruppi affinché incontrino i proprietari dei ristoranti di città come Tokio e Osaka; convincono gli chef a condividere le loro ricette; in cambio l’azienda confezionerà e personalizzerà i noodle con il nome del ristorante e la foto dello chef.

Con l’aiuto delle aziende molti di questi piccoli ristoranti sono così diventati dei brand nazionali: hanno la loro linea di merchandising, una distribuzione sull’intero territorio e tutta la notorietà che ne viene. Ogni ristoratore ha milioni di potenziali clienti, anche se il loro locale con 20 posti a sedere non li può fisicamente accogliere tutti. In teoria ogni consumatore ha accesso anche al più piccolo dei ristoranti, nascosto nel più stretto dei vicoli.

Lego, quando il cliente crea il prodotto

Questa tendenza in Giappone è almeno un passo in avanti rispetto ai brand più customer centred del mondo come Nike, BMW e Lego.

Con i suoi concept (Dreamtbyme, Builtbyme and Designbyme) Lego, per esempio, ha creato dei prodotti che possono essere ideati dal cliente. Non serve far altro che scaricare un software, scegliere un kit e progettare la confezione che sarà consegnata direttamente davanti alla porta di casa.

Se teniamo a mente il modello dei noodle giapponesi, è facile vedere come i design dei Lego diventati più famosi online sono arrivati velocemente anche nei negozi. Immaginate la soddisfazione di una persona che progetta un oggetto Lego online e poi lo trova in uno store reale!

E si può andare anche oltre: perché non mettere sulla scatola la fotografia del bambino che ha ideato il giocattolo assieme al suo nome? In questo modo Lego sarebbe la prima azienda di giochi al mondo a “brandizzare” i singoli bambini e a inserirli veramente nella Lego family. Immaginate quanta promozione verrebbe da Facebook o da Twitter per un evento del genere.

Tu lo pensi, noi lo costruiamo

Tutto questo può suonare molto avveniristico. Meglio rimettere i piedi per terra, direte. Però... proviamo solo a pensare a un futuro in cui tutti i brand saranno personalizzati dal cliente. Non dimentichiamoci che c’è tutta una nuova generazione di consumatori “emergenti” che dà per scontato il fatto di avere una pagina personale su Facebook. Questa stessa generazione è cresciuta conoscendo e comprando marchi come Jones Soda che permettevano ai ragazzini di avere le proprie etichette personalizzate per le soda da servire alle feste di compleanno. Oppure c’è lo slogan Nike “You design it. We build it.”, introdotto quasi dieci anni fa per permettere al cliente di modificare le proprie scarpe sportive a piacimento, scegliendo materiali, colori, misure.

Il concetto di brand personalizzabili dai clienti si sta affermando, e quale sarà il prossimo passo in questa direzione sembra ovvio: in un mercato in cui il consumatore è diventato più potente del brand e l’insoddisfazione di un solo cliente può mettere in pericolo i guadagni di un’intera azienda, i marchi più intelligenti saranno quelli che si allineeranno automaticamente con il consumatore.

Le aziende abbracceranno i loro clienti più fedeli trasmettendo un senso di appartenenza. La Coca Cola ha fatto qualcosa di simile con la Vitaminwater – bibita a metà tra l’acqua minerale e l’energy drink – lanciando un contest che permetteva alla community dei fan di Facebook di sviluppare tutti gli aspetti della bevanda, gusto, confezione, persino il nome (“Connect”, alla fine, quello scelto).

Dopo tutto, se un’azienda può “arruolare” i fan più fedeli per costruire o rafforzare il brand, perché non arrivare a prevedere un compenso per questo aiuto? Non si potrebbe certo paragonare a una spesa per il marketing convenzionale, e il messaggio raggiungerebbe un certo target, almeno tra i clienti più recettivi.

Una sola domanda resta da farsi: chi avrà il coraggio di fare questo grande passo e consegnare la proprietà del marchio al consumatore?

 

IL FAN DEI CONSUMATORI

Martin Lindstrom è tra i maggiori consulenti per i brand del mondo. Autore di bestseller, esperto di neuromarketing, speaker, inserito dal Time nella classifica “100 Most influential people” del 2009. Lavora con i vertici di McDonald’s, Microsoft, Procter & Gamble, Walt Disney.

Scrive per il Time e Fast Company, e compare anche sul Wall Street Journal, Newsweek, The Economist, Businessweek, The New York Times e tanti altri.

Tra i suoi libri più famosi Brand building on the internet, Brandsense, Buyology - truth and lies about why we buy e il sèguito Brandwashed. Si definisce un “fan dei consumatori”: secondo Lindstrom solo entrando in contatto con il consumatore – nella sua casa, nella sua vita, nella sua routine – un’azienda può capire cosa il consumatore vuole e di che cosa ha bisogno. E spesso è il consumatore che, in risposta, svela di cosa ha bisogno un marchio, per innovarsi, crescere ed essere distribuito sul mercato.

 

Martin Lindstrom sarà al World Business Forum di Milano il 5 e 6 novembre 2013

www.wobi.com