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Il difetto che ti frena

Immagine: Robert Doisneau

 

PIÙ PASSI AVANTI FAI NELLA CARRIERA,
PIÙ DIVENTA DIFFICILE INDIVIDUARE (E CORREGGERE)
I TUOI DIFETTI PERSONALI E PROFESSIONALI

Emily Triplett Lentz / Help Scout

Di cosa stiamo parlando? Insomma, l’idea comune è che i leader abbiano tutti gli strumenti per identificare e rimuovere gli ostacoli. Invece ecco cosa ci dice il coach manager Marshall Goldsmith: “Noi ci sentiamo rassicurati dai successi passati e, con un meccanismo mentale facile da giustificare, pensiamo che questi successi ne porteranno altri in futuro”. In altre parole, pensiamo di essere arrivati dove siamo arrivati grazie a ciò che siamo e a ciò che abbiamo fatto – e non ciò nonostante. In molti casi, ci sbagliamo… e di grosso. I nostri difetti ci limitano, ci trattengono, ma non deve andare così.

I difetti che non riesci a vedere
A meno di aver ricevuto una qualche illuminazione, è molto probabile che ognuno di noi abbia qualche difetto non identificato, ignorato o sottovalutato. Spesso si parla di “punti ciechi”, qui li definiremo “deragliatori”, perché in qualche modo si tratta di difetti abbastanza rilevanti da far andare la tua carriera… fuori dai binari.
Andando avanti, questi deragliatori hanno sempre meno a che fare con le hard skill – rivelandosi “strutturali”, parte della nostra personalità e della nostra natura. Forse non sei consapevole di quanto pesantemente negativo risulti nei meeting. Forse sei più propenso ad accampare scuse che ad assumerti responsabilità. Preferisci avere ragione o essere efficace? Ti attribuisci meriti che non meriti? Non ascolti? Ti comporti come se alcune regole non ti riguardassero?
Se pensi: “Certo, ma io sono fatto così”, bè, ecco un bel deragliatore!

Goldsmith afferma che è facile “rendere i nostri nèi delle virtù, semplicemente perché le imperfezioni fanno parte di ciò che noi reputiamo essere ‘io’. Questa fuorviante fedeltà alla nostra vera natura – questo bisogno eccessivo di essere se stessi – è uno degli ostacoli più ostici al cambiamento positivo nel lungo termine dei nostri comportamenti”.


1.    Meglio non sapere
Di fatto, i deragliatori ci trattengono sia che ne siamo consapevoli, sia che non lo siamo. Claire Lew, CEO di Know Your Company, dice che alcuni dei tormentoni più frequenti che ascolta dai CEO sono “Non so se voglio sapere tutto” o “Mi sembra di aprire il vaso di Pandora”. Lew dice loro che sì, potrebbero ricevere feedback che avrebbero preferito non sapere, ma la realtà è che “quelle cose esistono, a prescindere dal fatto che tu scelga di affrontarle, o no”.

2.    Non vogliamo sembrare incompetenti
Specie fra i leader, c’è la preoccupazione che chiedere un feedback possa farli apparire come se non sapessero cosa stanno facendo. “Se sei tu la persona da cui gli altri si attendono risposte, ma queste risposte non le hai, il tuo team può ritenerti un leader non così forte”, dice il CEO di HelpScout, Nick Francis. “Come leader fai sempre grandi scommesse, o vai per ipotesi e te ne esci con una stima monca del prodotto, del mercato o altro. Con queste premesse, diventa poi difficile chiedere consigli, o supporto”.

3.    Cavalier non porta pena
Una volta chiesi alla mia migliore amica di dirmi quali fossero le mie debolezze, quelle che non riuscivo a vedere. Non volle dirmelo. Insistetti: “Come posso cambiare in meglio se non so in cosa sbaglio?”. Risposta: “Certe conversazioni è meglio non farle”.
Le persone non vogliono essere i grilli parlanti perché temono conseguenze negative. Ciò è vero specialmente nei casi in cui chi chiede il feedback ha una posizione di maggiore potere: chi vorrebbe informare il proprio supervisore che ha un brutto carattere? Si parte dal presupposto che il ricevente ci considererà inattendibili o in torto, e in ogni caso metterebbe in dubbio il messaggio. Ci aspettiamo che la prenda sul personale e si metta sulla difensiva. Non ci vuole certo una sofisticata analisi di costi-benefici per decidere che è meglio far buon viso a cattivo gioco piuttosto che esporsi…

COME SOLLECITARE UN FEEDBACK CRITICO?

Non è che puoi andare dal tuo team e chiedere brutalmente cosa non va in te. Primo, probabilmente non te lo diranno; secondo (siamo realisti!) se lo facessero ti metteresti sulla difensiva. Però è possibile chiedere un feedback onesto e produttivo sulle cose che potresti fare meglio, provando a seguire questi step.

1.    Fai domande
Lew raccomanda una attitudine mentale “sinceramente curiosa” a proposto delle nostre aree di potenziale miglioramento. “Le risposte vengono solo dalle domande”: e più le domande sono specifiche, meglio è. Chiedere a un collega “Che debolezze non mi rendo conto di avere?” non darà mai lo stesso risultato di “Qual è una cosa che potrei fare diversamente ogni giorno, per migliorare la comunicazione?”.

2.    Inquadra il feedback come un consiglio
“Fa sempre paura chiamarlo feedback”, dice Lew, che raccomanda invece di porre domande mirate, ad esempio: “Hai qualche consiglio su come dovremmo fare reclutamento in azienda?” oppure “Hai qualche consiglio su come prepararci agli incontri con i nostri clienti?”. Questa tecnica funziona perché alle persone piace dare consigli! “A ognuno piace pensare a se stesso come a un esperto, e condividere la propria prospettiva”, conclude Lew.

3.    Di’, semplicemente, “grazie”
Quando si riceve un feedback, la tentazione immediata è reagire – difendendosi, spiegandosi, scusandosi, sparando giudizi… Resisti a questo impulso. Lìmitati ad ascoltare senza interrompere. Non finire le frasi dell’altra persona e non lasciar vagare altrove la tua attenzione. C’è una sola cosa che ti è consentito dire: un grazie.

4.    Prendi nota
Una tecnica per ascoltare senza esprimere giudizi è quella di scrivere il consiglio che stai ricevendo. “Anche se non sei notoriamente un maniaco degli appunti,” dice Lew, “dimostri di star prendendo davvero in considerazione quello che ti stanno dicendo, che non hai chiesto tanto per chiedere”

COSA FARE CON IL FEEDBACK RICEVUTO?

Eccoci alla parte dura: una volta scoperti i propri deragliatori, bisogna agire in modo da far onore alle persone che sono state oneste e coraggiose con te (altrimenti, fai ciao-ciao con la manina a ogni altro possibile feedback in futuro). Impégnati nell’azione. Condividi i tuoi piani di cambiamento con chi ti sta intorno, così che possano aiutarti a conseguirli.

Va detto: quando si tratta di produrre auto-giustificazioni, i nostri cervelli sono macchine incredibili! Siamo abilissimi nel minimizzare l’importanza di come ci percepiscono gli altri; per non dire della bravura che abbiamo nell’identificare negli altri i difetti che in noi non vediamo. Una buona notizia: è possibile sollecitare un feedback onesto e lavorarci su in modi che aiutino a vincere questi potenziali deragliatori della nostra carriera.

PERCHÉ È COSÌ DIFFICILE SOLLECITARE IL FEEDBACK?
Quando Cathy Atkins, partner fondatore di Metis Communications, decise di lasciare la sede centrale di Boston, non si aspettava che il suo team le chiedesse di ripensarci. Il contatto diretto, le dissero, sarebbe andato perso, e il lavoro ne avrebbe sofferto. “Sono tornata sui miei passi” dice Atkins. “Ho sempre dato valore alle mie relazioni professionali e personali, ma non avevo mai pensato a esse come al risultato della mia presenza, al fatto di essere fisicamente seduta fianco a fianco delle persone”. In seguito, Atkins ha comunque imparato a gestire alcune attività a distanza – come parlare con persone di altre aziende o cercare nuove soluzioni tecnologiche. Ha funzionato. “Do valore al tempo faccia a faccia, ma sono anche orgogliosa del fatto che il nostro team sia consapevole di avere la possibilità di continuare a lavorare con noi anche in caso di trasloco”.

Attraverso il follow up si dimostra al proprio team non solo di rispettare le sue opinioni, ma di dar loro abbastanza valore da renderle parte di veri cambiamenti. “Le persone che sono davvero in grado di fornire grandi contributi alle loro aziende e quelle che hanno il maggiore impatto sui collaboratori e sui consumatori” chiosa Lew “sono quelle che ottengono feedback e sanno reagire presto di conseguenza”.

… MA TUTTO È TEORIA, SENZA LA PRATICA!

Riassumendo: se si vuole dare un grande contributo alla propria azienda e avere un impatto positivo su collaboratori e clienti, bisogna conoscere i propri “deragliatori”. Scoprire i difetti e impegnarsi in un processo di cambiamento.


Nick lavora nel team di supporto tecnico. Nonostante un suo mentore gli avesse consigliato di staccarsi dalla tastiera e aspettare almeno 12 ore prima di dare un feedback negativo, Nick ammette di dover ancora lottare con le reazioni emotive immediate. “Magari è un problema di pochi pixel, ma mi faccio prendere” dice. Anche se ha imparato a non indulgere più in lunghe risposte e contro-risposte, ammette di rispondere a volte un po’ troppo d’impulso in chat, dovendosi poi scusare. La regola delle 12 ore “ha fatto la differenza”. Ma: “Devo lavorarci sempre su. Costantemente”.

Non si migliora senza follow up” scrive Goldsmith. “Riprendere costantemente quanto iniziato, ad esempio ogni mese, dimostra che stai prendendo molto seriamente il processo, che non stai ignorando i tuoi collaboratori”.
Controllando regolarmente i progressi, con te stesso e con il tuo team, farai il balzo dal conoscere cosa dovresti cambiare a guidare tu il cambiamento.