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Dal volume N° 75

E tu non hai fame? Intervista ad Ana Mazzeo, WOBI

 

DONNA, MAMMA, STRANIERA: COME FARE CARRIERA?
STORIA DI ANA MAZZEO, COUNTRY MANAGER ITALIA WOBI

 

Proprio nei giorni in cui le parole “imprenditoria” e “donne” assieme provocano dibattiti infuocati sui social, ci accordiamo in redazione per un’intervista “al femminile”. Non interveniamo volutamente nelle polemiche (troppo complesso il tema, troppe variabili, troppe opinioni), ma decidiamo – e volentieri – di dare spazio a una manager e alla sua storia.

Le ricerche dicono che ancora molte donne sotto i 50 anni non lavorano, o lo fanno ma non occupano posizioni di vertice in azienda (pare, comunque, che vada meglio rispetto alla media europea). Quindi dare voce a una donna di business, per di più appassionata e con una bella storia di crescita professionale, ci sembrava un’occasione ricca di possibili spunti per tutti.
Soprattutto se la protagonista dell’intervista, dopo 18 anni nella stessa azienda (a rigore, con due anni di pausa, ma tant’è), è fresca di nomina per il ruolo di Country Manager Italia.
L’organizzazione è WOBI, rinomata per l’offerta di formazione, eventi e contenuti per il business in Italia e nel mondo, da tempo ormai presente anche su V+; la manager è Ana Mazzeo, già Sales Director e Business Development Director per l’Europa, una grande passione per le vendite e una determinazione non facile da trovare, di questi tempi: «Il mio lavoro, per me, significa aver voglia di crescere, di superarsi sempre». Sì, anche durante una pandemia, quando le reti commerciali sono più disperse, gli incontri ridotti, e la formazione commerciale e imprenditoriale vive spesso di esclamati, ma poco remunerativi, “vai e conquista!”.

Questa “fame” di crescita è una tua caratteristica?
Sì, come la fame di conoscenza e la curiosità. Sono nata in Argentina, a Cordoba, seconda città per dimensioni del Paese, e ho sempre avuto un forte interesse per le lingue e la multiculturalità. Giovanissima, grazie a un programma di studio internazionale frequentato parte del liceo negli Stati Uniti, e ho vissuto per un periodo con una famiglia americana nel Minnesota.
Nonostante la mia famiglia appartenesse alla cosiddetta classe media, dopo la separazione dei miei genitori, mia mamma ha faticato tanto per darmi un’istruzione, e notavo le differenze con altre famiglie più benestanti. Questo ha segnato profondamente la mia vita e il mio lavoro: da lì è nata la “fame” che poi ha sempre caratterizzato la mia crescita personale e professionale. Sono cose che non si imparano all’università.

E le vendite? È sempre stato il tuo sogno o è nato per caso?
Ero portata, ma l’ho scoperto… facendolo! Dico sempre che la mia formazione è stata l’esperienza.
Il primo lavoro l’ho trovato a 16 anni: ero commessa in un negozio di abbigliamento, e vendere mi gratificava.
A 18 anni ho sperimentato il call center “puro”: il mio database erano le Pagine gialle, mi guadagnavo la pagnotta con le commissioni. Telefonavo, telefonavo, telefonavo, e insistevo, perché la voglia di “spaccare” era tanta, come la voglia di lavorare. Anche oggi lavorare, portare a casa dei risultati mi dà energia. Ricordo che nel call center chi era lì da più tempo non mi vedeva di buon occhio, non capiva il mio entusiasmo, perché magari non lo provava a sua volta, e questo causava frustrazione.
Un’altra esperienza arricchente l’ho vissuta con un’azienda di San Diego: per quattro anni ho lavorato nel mondo della costruzione come coordinatrice di progetti.
Poi al lavoro per obiettivi e per commissioni, ho aggiunto la passione per gli eventi: a Barcellona ho lavorato per un’altra grande azienda, la Marcus Eventi, dove avevo il compito di vendere stand a clienti esteri, tutto in inglese quindi. Era un approccio di vendita molto “aggressivo”, ma è stato un periodo molto formativo. Pensate che mi hanno dato questo manuale di vendita e mi hanno detto: “Se lo segui, in una settimana riuscirai a vendere uno stand”. Leggendolo, ho scoperto che avrei dovuto fare almeno cento telefonate, mandare venti email, e in cinque giorni avrei chiuso un contratto. Ed è andata proprio così! Dopo quella settimana, mi portavano come esempio, perché ero stata l’unica a seguire il manuale step by step!

Quando hai incontrato il mondo di WOBI?
Mi ricordo che ero nel mio ufficio a Barcellona e mi è arrivata la proposta di lavorare a Milano per WOBI. Mio nonno aveva origini italiane, ma io non ero mai stata in Italia: non conoscevo la lingua, non conoscevo Milano! Ma mi piacevano e mi piacciono le sfide, e ho deciso di cambiare Paese, imparare la lingua, ricominciare ancora da zero. Era il 2005.
Anche in questo caso l’esperienza sul campo è stata tutto: mi hanno chiesto di trovare nuove sponsorship per il World Business Forum Milano, non un compito da poco! Ma volevo crescere, avevo fame, volevo mettermi in gioco, partendo dal basso.
Non è sempre stato facile: il primo anno non ho chiuso nessuna vendita, ed essendo sempre stata abituata a lavorare per obiettivi, era dura. Ma ho amato questo business dal primo momento, con tutti i suoi alti e bassi, e questo mi ha permesso di avere pazienza e di insistere. Per due anni ho anche lavorato altrove, ma poi sono tornata, perché era questo che volevo fare. Così sono diventata prima Sales Director Italy, poi Business Development Europe. A inizio maggio, è arrivata la nomina a Country Manager e, che dire: il coronamento di un sogno.

Questa tua esperienza ha ispirato anche la scelta dei tuoi collaboratori?
Cerco di formare le persone direttamente con l’esperienza. Apprezzo chi ha voglia di lavorare, di partire dal basso, anche se magari non ha una laurea.
Quando ho iniziato, non mi interessava il tipo di contratto o il ruolo: o vendevo, o andavo via. Sia perché avevo l’esigenza di mantenermi, sia perché ci credevo così tanto che non avevo paura di fare fatica. In chi lavorerà con me ricerco le stesse cose. Punto su figure junior per poi crescerle con la cultura di WOBI, obiettivo per obiettivo.

E funziona?
Abbiamo pochissimo turnover. Nel team Italia siamo in undici, quasi un family business! Pochi ma in azienda da tanti anni. Certo, il rovescio della medaglia è che quando si è in pochi, si è difficilmente sostituibili. Ma se lavori con il cuore, non può che essere così: nessuno sarà come te. Quando te ne vai via, lasci un know-how, ma ognuno di noi è unico.

Alcuni lettori se lo staranno chiedendo, quindi ti facciamo LA domanda: hai una famiglia, due bambine. Come hai conciliato vita e lavoro?
Non ho formule vincenti per tutte. Nei periodi più complicati, ho tenuto duro. Quando mi sono candidata per il ruolo europeo, la mia seconda figlia aveva cinque mesi e mezzo. Ma era “o adesso, o scelgono qualcun altro”. Dovevo essere presente in quattro Paesi, mi alzavo alle quattro di mattina e rientravo in giornata da Londra o da Madrid. Se ci ripenso, sì, è stata un po’ una follia! Volevo tanto quel ruolo che mi sono impegnata il più possibile per conciliarlo con la famiglia. Ma non mi sono mai sentita né più né meno di altri o altre manager perché avevo delle figlie, questo no.

Altra domanda doverosa, visto il periodo: come ha reagito WOBI alla pandemia? Come cambia il modello di business quando passi da grandi eventi in presenza al blocco totale in lockdown, così di punto in bianco?
Le prime settimane ci sentivamo come congelati: all’inizio, con il lockdown, abbiamo pensato solo a restare a casa e a tutelare la salute di tutti. Abbiamo fatto un grande lavoro di brain storming durante lo smart working e i meeting online: l’idea è stata quella di contattare il nostro network di speaker, chiedendo che producessero delle pillole-video per dare ispirazione e contenuti ai manager. Le inviavamo quotidianamente per restare vicini e dire “ehi, ci siamo ancora!”. Iniziativa molto apprezzata.
Credevamo che per la fine del 2020 le cose si sarebbero sistemate, potevamo contare su una buonissima pre-vendita di biglietti per gli eventi dell’autunno.
A settembre, però, è stato chiaro che gli eventi in presenza non erano possibili, e gli sponsor hanno cominciato a tirarsi indietro.
Per mantenere la qualità dei contenuti, anche senza guadagni diretti, abbiamo offerto dei webinar gratuiti, sempre grazie ai nostri super speaker; poi tutti gli eventi WOBI sono diventati digital, e abbiamo creato le masterclass online che abbiamo deciso di mantenere e che ancora oggi stiamo vendendo.
Il desiderio è quello di tornare ai livelli del 2019, quando al World Business Forum Milano c’erano 3 mila persone; le sponsorship vanno bene, con i biglietti stiamo recuperando. È una crescita, ma non molliamo.

Dunque il tuo prossimo obiettivo è crescere.
Sì! E fare in modo che WOBI venga conosciuto sempre di più, al di fuori della nicchia di manager che ci seguono da tanti anni.

Per finire, ci lasci un tuo mantra che riassuma questa chiacchierata?
Si sarà capito: “never give up”, “non darti mai per vinto”. Viene detto tanto, ma metterlo in pratica… è un’altra cosa!

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