Case history


Maria Bietolini Maria Bietolini

Dal volume N° 22

DAL TOP AL FLOP

UN INSUCCESSO DOVREBBE INSEGNARE: MA COSA IMPARANO LE AZIENDE? QUALCHE ESEMPIO E IL CASO KODAK

 

Qualche volta si è trattato di prodotti difettosi, qualche volta erano sbagliati i tempi. A volte era sbagliata la strategia di comunicazione – o anche solo il nome. Il più delle volte sono stati disattesi i gusti o le aspettative dei consumatori. Ma, quale sia stata la causa, gli insuccessi sono capitati anche ad aziende molto grandi e di esperienza, con conseguenze rimediabili o devastanti, sia sul fronte dell’immagine che del business.

È interessante vedere come in alcuni casi l’azienda abbia saputo porre rimedio, e in che modo, riconquistando posizioni; come in altri sia stata sorda, o comunque restìa a recepire i segnali premonitori; e, infine, come oltre a tutto ciò sia stata anche incapace di reagire prontamente ed efficacemente, condannandosi masochisticamente alla debàcle.

Visto che V+ crede nell’assunto “l’esperienza insegna”, vediamo se da queste storie si possa trarre spunto di riflessione e miglioramento per tutti.

 

Un insuccesso… sistematico

Il sistema operativo Windows XP è stato il più longevo di Microsoft: prima di lanciare un suo sostituto, l’azienda ha lavorato più di 5 anni. Dopo una prima diffusione “tecnica” del nuovo Windows Vista fra aziende software, a fine gennaio 2007, finalmente, ecco il lancio mondiale al pubblico degli utenti: nuova interfaccia, nuove funzioni e più sicurezza, che era il “punto critico” attribuito al prodotto. Tutto perfetto? No. In breve tempo su Vista sono piombate critiche crescenti e molto negative: il nuovo sistema richiedeva maggiori risorse hardware rispetto al suo predecessore, molti software e programmi non risultavano più compatibili, e il consumo di energia elettrica era cresciuto enormemente. Morale: moltissimi utenti insoddisfatti decisero di ritornare al caro “vecchio” sistema XP.

A questo punto era spontaneo pensare che Microsoft, avendo avuto così tanti elementi per riflettere sugli errori commessi, sarebbe andata sul sicuro con un nuovo lancio; invece a maggio 2013 leggiamo che, nel primo trimestre, il mercato dei pc che usano Windows è calato del 14%, anche a causa del flop del nuovissimo sistema Windows 8. L’errore è stato ammesso dall’azienda, che sta cercando di rimediare al danno. Ma come è successo? Di nuovo, pare che nell’ansia di tenere testa alle innovazioni introdotte negli ultimi anni, specie da Apple, invece di ascoltare le reali aspettative degli utenti, si sia sviluppato un sistema dalle funzionalità non richieste: il touchscreen su postazione fissa non interessa (per questo ci sono i tablet e anche molti smartphone), l’uso non risulta lineare con le abitudini, e il prezzo quindi non giustifica questa innovazione.

La cosa forse più bruciante? La dichiarazione resa mesi fa dall’AD della concorrente Apple, Tim Cook, secondo il quale prima di lanciare un prodotto bisogna chiedersi se il consumatore lo vuole davvero, perché la combinazione di “un tostapane e un frigorifero” non sarebbe stata apprezzata dal mercato.

 

Il brand lo fanno le persone

La forza del marchio ha indotto altre sottovalutazioni sulle reali aspettative delle persone, portando alcune aziende a lanciare prodotti non in linea con il vissuto del brand.

Prendiamo l’esempio di Smith and Wesson: sapevate che dalle sue linee di produzione “spara” anche biciclette? Solo che fin quando le produceva per la polizia, la cosa ha funzionato, ma appena ha aggredito il mercato delle mountain bike, è stato un tonfo.

Come quello degli slip monouso della Bic: associati agli accendini, alle biro o ai rasoi, non ebbero vita lunga sul mercato.

Altro caso il profumo della Harley-Davidson: resiste, ma evidentemente l’immagine del selvaggio motociclista in pelle non ha una forte associazione con lo spruzzo di eau de cologne…

In tema di lancio, il flop dei flop a imperitura memoria, resta probabilmente quello della New Coke: una nuova Coca Cola che nelle intenzioni aziendali sarebbe stata più moderna, più trendy, più cool e via delirando. Due anni di studi e lavoro in segreto. Test. Il 25 aprile 1985 il megalancio… e viene subito fuori che, semplicemente, nessun consumatore sentiva il bisogno di qualcosa di diverso, anzi, era affezionato a un gusto familiare e rassicurante fin dall’infanzia. L’unico grande successo di vendita fu quello delle confezioni della “vecchia” Coca Cola, di cui si fece incetta, pagando cifre assurde. L’11 luglio il prodotto fu ritirato e la società rilanciò la Classic Coke.

 

Un caso ben gestito

Tra le case history di insuccesso ribaltato a proprio favore c’è quello della Mercedes con il lancio, nel 1997, della Classe A. Sottoposta da un giornale svedese al test “dell’alce”, l’auto si ribaltò. In questo caso l’azienda reagì in modo efficace: richiamò tutte le vetture, aggiunse il sistema di stabilità Esp e modificò le sospensioni, risolvendo tutti i problemi e tenendo informato il pubblico sul problema e sulle soluzioni apportate. Al ritorno sul mercato, la Classe A fu un successo.

 

Un caso di sordità fatale

Il 2 maggio scorso (2013), la stampa internazionale specializzata ha diffuso una notizia che qualche anno fa sarebbe stata a dir poco “incredibile”: Kodak, l’azienda che ha dominato il settore della fotografia in 133 anni di storia e che era entrata in amministrazione controllata all’inizio del 2012, si avvia a uscirne prima del previsto, forse già in estate, dopo aver ristrutturato le sue attività, licenziato il 25% del personale (che conta ormai 12 mila dipendenti) e detto addio alle pellicole fotografiche che l’avevano caratterizzata nel tempo. Kodak si concentrerà sulla stampa e le immagini commerciali. Ma come è potuto accadere?

Kodak è vittima di una innovazione “radicale”, quella della fotografia digitale, che non ha previsto e che ha distrutto il suo giro di affari.

 

La macchina fotografica è capace di registrare il mondo circostante grazie alla luce; nel ‘700 si comprendono i materiali fotosensibili, come il nitrato di argento, che spalmato su un foglio lo annerisce nei punti in cui è esposto alla luce. Nell’800 Louis Jacques Daguerre perfeziona il processo fotografico, la “dagherrotipia”; poi nel 1881 un appassionato, il bancario George Eastman, fonda a New York la “Eastman Kodak”, per commercializzare la prima macchina portatile, che al prezzo di 25 dollari fornisce anche il film sufficiente per fare cento fotografie. In pochi anni diventa l’indiscusso leader di mercato.

Una posizione che viene messa in discussione solo molto tempo dopo, nei primi anni ‘70 del secolo scorso, quando l’elettronica permette di innovare anche nell’acquisizione delle immagini. La prima vera fotografia ottenuta attraverso un processo solo elettronico è realizzata nel 1975 proprio nei laboratori Kodak, da Steven Sasson. Le ricerche sulla fotografia digitale sono rallentate dai miglioramenti delle fotocamere a pellicola, che propongono modelli sempre più semplici e comodi da usare, mentre invece la tecnologia digitale non riesce ancora a dare un livello qualitativo equiparabile, e questo forse non fa percepire allarmi all’azienda, che quindi non sente proprio l’esigenza di perseguire l’innovazione.

Negli anni ‘80 Kodak inizia a subire l’attacco dei concorrenti giapponesi: con i loro apparecchi da 35 millimetri con messa a fuoco automatica, riducono molto i prezzi. Nel 1989 Canon, Minolta e Olympus si impadroniscono del 40% del mercato mondiale.

Kodak conserva però il mercato delle macchine instamatic e continua a dominare nella produzione e sviluppo delle pellicole. Ma nei primi anni ‘90 Sony propone fotocamere digitali senza pellicola, che permettono di registrare le immagini su dischi magnetici o su compact disc e di riprodurle sullo schermo di un pc.

La risposta di Kodak è un investimento di un miliardo di dollari nel campo della fotografia digitale per lanciare nel 1995 un compact disk, il “Photo CD”, che memorizza fino a un centinaio di negativi 35 millimetri; questo perché nel suo progetto i clienti useranno ancora la pellicola tradizionale, ma avranno la possibilità di trasferire le immagini su Photo CD, per proiettarle sullo schermo tv. Kodak, insomma, spera di continuare a sfruttare i suoi vantaggi nel campo delle pellicole, della carta da stampa e dei prodotti chimici per lo sviluppo, con l’idea di cominciare a costruire un mercato della fotografia digitale. Così resta in una posizione ambigua, che le impedisce le difficili ma inevitabili decisioni per uscire dallo stato di rischio in cui si trova e non le consente di costruire un brand valido nel mondo digitale, cambiando la sua immagine radicata di produttore del film convenzionale.

Addirittura investe ancora nello sviluppo di un prodotto, l’“Advantix System”, che offre la scelta dei formati di stampa. Quando però vengono lanciate dalla concorrenza le compatte digitali totalmente automatiche, che consentono al fotografo occasionale di conservare e rivedere le immagini direttamente nella fotocamera, la grande vittima dell’innovazione è Kodak e solo Kodak.

Nei primi anni Duemila i volumi di vendita cadono. L’azienda giustifica l’appannamento del suo business con gli eventi esterni, come la contrazione del turismo dovuta al terrorismo, rifiutando l’idea che invece stia avvenendo una drammatica conversione dei consumi. Alla fine, nel 2003, deve ammettere le difficoltà e gli errori: con il valore dell’azione passato dagli 83 dollari del 1997 a 30 dollari, il nuovo AD, Antonio Perez, si pone l’obiettivo di trasformare Kodak da un business basato sul film a uno invece fondato sulle tecnologie digitali.

Nonostante la pesantissima ristrutturazione i risultati economici peggiorano a vista d’occhio. La divisione “consumer digital” non decolla e in più scoppia una guerra dei prezzi nel settore. A gennaio 2012 scatta l’amministrazione controllata e l’azione perde quasi tutto il suo valore (mentre scriviamo, a maggio 2013, la quotazione è di 0,14 dollari).

 

A proposito di Kodak, Fortune nel 1994 scriveva che era diventata “una delle aziende più avverse al rischio, burocratiche, paternalistiche che esistessero in America”.

Sicuramente si è dimostrata anche una delle più sorde, sia all’innovazione che al tipo di innovazione richiesta dal mercato.

 

Il commento di Edoardo Lombardi

Questa storia illustra i rischi e il fallimento che incontra chi resiste all’innovazione, specialmente quella “radicale”.

Kodak avrebbe fatto molto meglio ad avviare la conversione del suo business convenzionale in digitale molto tempo prima, di sua scelta piuttosto che subirla sotto la pressione della concorrenza.

Ma che cosa bisogna fare per cogliere l’importanza dell’innovazione e per realizzarla con successo?

1) L’organizzazione che vuole adottarla deve annullare gli “anticorpi” che naturalmente si sviluppano di fronte ai cambiamenti, e per farlo occorre che abbia una cultura imperniata sul coraggio di cambiare.

2) Il vertice deve esercitare una forte leadership che si traduca in decisioni tempestive e in una chiara indicazione dell’importanza del progetto.

3) L’organizzazione deve saper gestire il corretto equilibrio fra creatività e risultati a breve. Creatività senza l’abilità di trasformarla in profitti può essere divertente, ma è insostenibile nel tempo; così la ricerca di profitti senza creatività funziona solo nel breve periodo.

4) Va incoraggiata l’assunzione di rischi a tutti i livelli dell’organizzazione. Uno dei temi nelle organizzazioni innovative è che l’opposto del successo non è l’insuccesso, ma l’inerzia. Un’azienda che non assume rischi non genera innovazione e senza innovazione non progredisce.