Noi e gli altri


Sebastiano Zanolli Sebastiano Zanolli

Dal volume N° 26

Credibilità, punto tutto

È L’UNICO FATTORE SU CUI SCOMMETTERE DAVVERO. PER TRASFORMARE IL SOSPETTO DEL CLIENTE IN CERTEZZA POSITIVA, LA POVERTÀ DI IDEE IN BENESSERE PER TUTTI

Troppe cose e poca testa.

Pochi soldi e tante voglie.

Tanto timore e poca fiducia.

È un mondo difficile per chi produce, figuriamoci per chi vende. Soprattutto perché chi produce, se può, pratica quella che si chiama la “dis-intermediazione”. Significa che tutto ciò che non aumenta il valore del prodotto o servizio, o di cui il cliente non si accorge, non si deve fare, e se si fa, va eliminato.

 

Ora, pensate a quanti venditori non aggiungono nulla al processo. Quelli che Mario Silvano chiamava già trent’anni fa i “porgitori”. Quelli (e non solo quelli) sono gli elementi del sistema di cui si occupa un “dis-intermediatore”. Li cerca, li osserva, li elimina, senza “se” e senza “ma”, avvicinando così la casa madre ai clienti. Possiamo criticare questa strategia? Io direi di no. Lo faremmo tutti nei panni di un’azienda mandante. Dis-intermediare significa o aumentare i profitti o poter diminuire i prezzi. Il lavoro che si suppone un’azienda seria faccia.

 

Torniamo a noi che vendiamo.

Dove sta la chiave per non farsi “dis-intermediare”?

Ci ho riflettuto molto, dietro al parabrezza e al tergicristallo impazzito, la sera, mentre volevo rientrare a casa, ma ero in coda sull’A4.

Ve la faccio breve.

 

La chiave delle chiavi sta nel meccanismo della credibilità. Se dovessi scegliere una sola area su cui giocarmela di questi tempi, sceglierei questa. In cosa consiste la credibilità e su cosa si basa?

Ci sono due componenti fondamentali da tenere presenti:

 

• l’affidabilità, che è di solito soggettiva;

• la competenza, che invece è di solito circostanziata da dati e numeri.

 

A questi due elementi vanno aggiunti, come esaltatori della credibilità stessa, il dinamismo psichico e la presenza fisica.

 

Vediamo l’affidabilità.

In termini tecnici, dovremmo dire che con “affidabilità” s’intende la probabilità che un prodotto possa assolvere alle sue funzioni in un intervallo di tempo e in condizioni d’uso ben definiti.

È evidente che, siccome i venditori e le venditrici sono esseri umani, questa probabilità non è mai determinabile in modo definitivo. Troppe le variabili interne ed esterne.

Nonostante ciò, noi sappiamo di cosa stiamo parlando: è quel sentimento che ci fa sentire sicuri che il risultato arriverà, se ce lo siamo promessi, oppure è la certezza che faremo tutto ciò che è umanamente possibile e tenteremo tutte le strade umanamente calpestabili. Se il risultato non verrà, è perché è davvero fuori portata, ma non perché non abbiamo provato.

Questo è ciò di cui siamo convinti quando riteniamo di essere delle persone e dei venditori affidabili.

 

L’altro termine è competenza, ossia il saper connettere diverse risorse per creare soluzioni attraverso ciò che si conosce e ciò che si è già sperimentato. Competenza per fronteggiare situazioni definite e arrivare al risultato atteso, dimostrando

così cosa si sa davvero fare con la testa, il corpo e lo spirito.

La performance è il frutto della competenza. E questa sì, è misurabile.

Misurabile in termini statistici, con numeri e dati, in un intervallo temporale e con definizione di aree geografiche, nel caso di chi vende.

E infine il dinamismo psichico e la presenza fisica. Nel campo dell’affidabilità, entra in funzione anche l’aspetto del marketing che aiuta a vendere bene se stessi e a farsi percepire come degni di fiducia. Mostrare un alto tasso di dinamismo e apparire curati e in forma fa leva sul cervello preistorico di cui siamo dotati: questo cervello assimila per istinto alti tassi di visibile energia a più alte possibilità che la promessa verrà adempiuta, per il semplice fatto che è più probabile che un individuo sano ed energico lo faccia.

 

Funziona, ma sempre meno.

Il pubblico vuole prove ed evidenze.

Nel caso della competenza, l’aspetto di marketing e di personal branding è assente. Si lascia spazio solo alle promesse mantenute, corredate di indiscutibilità.

Poche storie, quindi.

 

Quali sono leve per controllare a che punto siamo e su cui lavorare per migliorare? Si tratta di domande a cui serve una risposta sincera, altrimenti non ci saranno di alcuna utilità.

L’indice di credibilità è la misura di come il nostro pubblico ci stima. Più che calcolarlo, si rileva. Un questionario anonimo che chieda da zero a dieci quanto affidabili siamo. Distribuito tra chi fa affari con noi, ci dirà molto. Siamo disponibili a farlo?

 

Quanto interveniamo, nei rapporti con i clienti, anche se sappiamo che potremmo farne a meno?

Quante volte i clienti si confidano con noi, anche e soprattutto su aspetti non relativi al business? Quanto siamo rivolti verso noi stessi? In altre parole, quanto il nostro ego ha il sopravvento su tutto e su tutti?

Ascoltare l’ego va bene, se serve a tenere duro, ma è un cattivo consigliere per far crescere la nostra credibilità, perché non sopporta che le energie, di qualsiasi tipo esse siano, vengano distolte da sé.

Mentre la credibilità, come abbiamo visto, passa attraverso uno spostamento del centro: il centro si sposta dal “sé” al cliente.

Se questo funzionerà davvero, avremo in cambio la fiducia del cliente. Il che significa che l’aggiunta di valore al processo sarà concreta, perché diventa quell’elemento che tramuta il sospetto in certezza positiva, la diffidenza in disponibilità, l’ignoranza in marginalità, la povertà di idee in benessere per tutti.

Con buona pace del “dis-intermediatore”.