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Dal volume N° 46

Competenza, quando è troppa

AGISCI DA LEADER, POI PENSA DA LEADER:
CIÒ CHE GIÀ SAI NON BASTA


INTERVENTO DI HERMINIA IBARRA AL WORLD BUSINESS FORUM MILANO
PER GENTILE CONCESSIONE DI WOBI


Ricordate un momento della vostra carriera in cui il vostro successo dipendeva non dal miglioramento delle vostre abilità esistenti ma dal fare qualcosa di completamente diverso?
Rischiamo di diventare vittime più dei nostri punti di forza che delle nostre debolezze. È quello che sta accadendo a molte aziende oggi. Quando un’azienda ha un prodotto o un servizio di successo, si struttura e si focalizza intorno a quello, dimenticando però che non potrà essere il futuro dell’azienda per un tempo infinito.

Non possiamo permetterci il lusso di aspettare, dobbiamo prendere di petto il dilemma “ciò che ci ha portato fin qui non ci porterà più in là”, perché il mondo sta cambiando velocemente e le nostre aspettative nei confronti della leadership e dei nostri leader stanno cambiando. La transizione va contestualizzata. Stiamo passando dall’essere leader sulla base di esperienze all’essere leader sulla base delle caratteristiche delle persone su cui si esercita la propria leadership.

Come professoressa all’Harvard Business School, mi sono trovata di fronte a alla seguente situazione: la mia ricerca accademica stava procedendo molto bene, ma l’esperienza era totalmente diversa nella classe degli studenti del master. Mi trovavo, insomma, un po’ in difficoltà e cercavo costanti feedback. Sembrava tutto inutile, nonostante dedicassi impegno ed energia. Un giorno, un mio collega, il meno “politically correct” di tutti, al termine della lezione mi disse: “Ho capito qual è il tuo problema: ti focalizzi sul contenuto della lezione, ma ciò non ha nulla a che vedere con quello che dovresti fare. Dovresti entrare in quest’aula, essere chiara con gli studenti e con te stessa circa il fatto che questa è la tua aula, non la loro aula. Si tratta di un semplice gioco di potere”.
Credevo che il metodo che mi si proponeva fosse antitetico a quello cui avevo sempre creduto. Provandoci, ho scoperto non solo un nuovo dialogo coi miei studenti, ma ho ampliato il mio punto di vista in merito al mio lavoro. Ero lì con un compito unico, esclusivo: creare un ambiente per aprire le menti e far partecipare gli studenti alla conversazione.
Ho cambiato il modo di comportarmi, e mi sono trasformata in un altro tipo di accademica. Fare qualcosa di così innaturale per me, qualcosa che non avrei mai pensato di fare, ha cambiato radicalmente il tipo di leader (accademico) che sono oggi.

Un paradigma da cambiare
Il motto per essere leader oggi di solito è “pensare prima di agire” e, nonostante appaia come la cosa logica da fare, non è il metodo giusto per farlo. Non funziona automaticamente, implica un cambio di mentalità che guida il nostro comportamento.

Dunque, è estremamente difficile pensare sempre prima di agire. Quando si tratta di leadership, troppa riflessione e pensiero ti ancorano al passato. Invece agire e sperimentare ti aiuta a raccogliere più dati e a creare nuove esperienze per poi attuarle.

Il motto deve quindi essere rovesciato e trasformato in “agisci e poi pensa”. Considerate che nel mondo del lavoro c’è sempre meno spazio da dedicare al pensiero analitico, e ciò potrebbe apparire scoraggiante. In realtà facilita l’immergersi nel nuovo, perché il modo più efficace per cambiare passa per l’azione e non per l’analisi: l’importanza del creare costantemente nuove esperienze vincerà sempre sull’introspezione.

L’azione implica una buona dose di estroversione. Per essere dei leader migliori, dobbiamo incrementare la nostra estroversione. Come? Cambiando le nostre esperienze e di conseguenza la nostra mentalità. I modi sono tanti, ma il più efficace resta il networking, aprirsi a nuovi stakeholder e sì, prendersi meno sul serio.

Evitate di:
•    occuparvi troppo delle urgenze: sacrificherete il tempo per definire strategie future;
•    eccellere solo nelle vostre competenze: è una trappola. Utilizzarle costantemente può diventare un problema. Impedisce di sperimentare cose nuove.

Di solito uso due metafore per spiegare tale situazione: quelle del perno e del ponte. Il perno rimane legato alle stesse competenze (the go to expert); il ponte, invece, unisce e interagisce non solo con le proprie competenze ma anche riconoscendo quelle altrui. Essere ponte è un dovere per i leader, che devono essere ponti con il resto dell’azienda. Quando investite in questo ruolo, la vostra leadership diventa più forte e di qualità migliore: si trasforma in “vision thing”.

Abbiamo bisogno di “reti” diverse
Parlavo di capacità di guardare fuori da sé, dall’azienda… ecco, l’unico modo per vedere l’esterno è vivere all’esterno. Dimenticatevi della routine di tutti i giorni, dovete ridefinire il vostro lavoro e ridefinire voi stessi in modo tale da esplorare, fare da ponte, sfuggire alla “trappola” della competenza.
La leadership oggi dipende, più che in passato, da avere delle buone reti e capire cosa sta succedendo nel mondo. I leader devono avere a che fare con tanti stakeholder. Con coloro che cambiano il corso delle cose. In questo modo posso diventare degli innovatori.

Le nostri reti tendenzialmente si basano su somiglianza e frequenza d’incontro. Dunque, cosa possiamo fare per evitare che le nostre reti siano composte solo da persone simili a noi? Bisogna aumentare l’ampiezza della rete, inserendo persone al di fuori del settore in cui lavoriamo, eliminando il più possibile l’omogeneità, ramificandola. Avere reti composte da persone diverse da noi aiuta a reinventarsi.

Quindi ricordatevi le tre cose più importanti:
1.    ridefinite il vostro lavoro;
2.    incrementate le vostre reti;
3.    non siate (solo) voi stessi.