Interviste


Maria Bietolini Maria Bietolini

Dal volume N° 74

Avrò cura di te: il welfare aziendale fa bene anche alle PMI

 

 

V+ INTERVISTA LUCIA TROILO, RESPONSABILE PROGETTI WELFARE ASSITECA

Dopo aver parlato qui su V+ di temi “roventi” per le PMI come i rischi informatici, la sicurezza e i crediti d’impresa, è arrivato il momento di fare il punto sul fronte ampio e delicato del welfare, attualissimo nel settore sanitario, ma non solo. Infatti negli ultimi due anni anche altri temi, già importanti, hanno assunto una maggior rilevanza: vedi l’equilibrio vita-lavoro, con molteplici aspetti che, se ben affrontati, possono costituire una leva competitiva per le aziende, oltre ai benefici per i singoli e la collettività.

In questo contesto, il welfare aziendale viene considerato sempre più come parte integrante di un nuovo patto tra azienda e lavoratore: in cui all’erogazione di denaro si affiancano forme di supporto concreto che aiutano le persone ad accrescere il loro benessere nell’organizzazione. Parliamo di salute, certo, ma anche di formazione personale e sviluppo, flessibilità, previdenza complementare, convenzioni, servizi salva-tempo, maternità, servizi a supporto della genitorialità… perché le evidenze dimostrano quanto il benessere personale e un corretto bilanciamento tra vita privata e lavoro accrescano il benessere organizzativo all’interno dell’azienda, in termini sia di energia che di motivazione.
Prendersi cura dei singoli è insomma anche salutare per le imprese.

Per un motivo o per l’altro, i piani di welfare attivi nelle imprese registrano un trend in crescita costante: secondo i dati di AIWA (Associazione Italiana Welfare Aziendale), ben + 495% dal 2016. E i progetti sono in crescita anche nelle PMI e a realtà più piccole.
Di fatto, per le imprese il welfare è una somma di visione e occasione; e può essere anche potente acceleratore della ripresa progettata dal PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza contenitore dei fondi destinati all'Italia dal Next generation EU.

Abbiamo quindi pensato di parlare della necessità e delle opportunità del welfare aziendale nelle PMI: e lo facciamo con Lucia Troilo, Responsabile Progetti Welfare Assiteca.



Piccola media impresa e welfare: un tema per “grandi”?
Obiettivamente le normative italiane, che già in generale non sono sempre di facile applicazione e troppo spesso si prestano a personali interpretazioni, non tengono conto che le imprese italiane per loro natura e dimensione non sono strutturate per recepire anche quelle che sono opportunità.
Tutte le imprese possono creare valore, a prescindere dalla loro dimensione e dal territorio in cui operano. In un contesto dove la burocrazia e la complessità delle norme irrigidiscono le imprese, la scelta del player welfare diventa strategico in quanto avrà l’onere e l’onore di offrire proposte ad hoc – e applicarle nella maniera più semplice, sempre rispettando le complicate “regole del gioco”.
Seppure la penetrazione del welfare aziendale in Italia è ancora a macchia di leopardo, negli ultimi anni si vede un bel cambio di passo: le PMI sono sempre più predisposte all’innovazione, attente alle persone e pronte a fare rete con altre realtà del territorio per creare un circolo virtuoso con impatti positivi sia nelle proprie organizzazioni aziendali, sia verso la comunità. Da Nord a Sud ci sono realtà “pronte” che fanno da esempio, e da traino.

È cambiata la percezione dell’imprenditore?
Le PMI hanno come fulcro le persone. Negli interessi dell’imprenditore, nelle sue strategie future, c’è sempre più la visione del dipendente non più o non solo come prestatore di lavoro, ma come capitale umano.
Anche per questo si è sempre più orientati a creare piani “sartoriali” non solo tagliati sulle dimensioni dell’azienda, ma per le sue diverse popolazioni interne.
Va detto che una delle conseguenze positive del periodo pandemico è stata la presa di coscienza dell’attenzione da dare ai dipendenti e alle loro famiglie. Le aziende più favorevoli a politiche di welfare hanno intercettato le aree in cui il welfare statale è carente, e quindi cosa offrire, dove intervenire per colmare le lacune.

C’è anche una motivazione reputazionale?
Vedo due aree di valore che beneficiano dei programmi di welfare aziendale: la brand reputation, certo, e il clima aziendale. Il primo aspetto aiuta ad attrarre e valorizzare i talenti, il secondo consente di trattenerli – e perdere un talento per una PMI è più pesante che per una multinazionale. La busta paga non è tutto, e specialmente i giovani ora cercano e scelgono anche in base ad altri fattori, quali lo smart working, la formazione, le tutele della salute…


In concreto l’imprenditore cosa deve fare? (E deve fare da solo?)
Ovviamente all’imprenditore, se non sollecitato dalle parti sociali, serve un lasso temporale per prendere coscienza dell’importanza ricoperta dalle iniziative di welfare; e necessita certamente di supporto concreto e qualificato per individuare quali misure siano attuabili e rispondenti a reali necessità. Occorre, quindi, un forte spirito di condivisione fra imprenditore e dipendenti, propensione all’ascolto e apertura ad azioni concrete. Certo, poi dipende anche da noi addetti ai lavori: quanto siamo in grado di sollevare l’azienda dall’onere gestionale? Quanto sono flessibili gli strumenti e le tecnologie adottate?
La normativa è articolata e in continuo aggiornamento, quindi l’affiancamento di professionisti con specifico know-how è fondamentale per creare una giusta sinergia tra imprenditore, dipendente e, se coinvolto, anche consulente del lavoro. Si tratta anche di trovare un punto di equilibrio fra onere e costi di gestione, per trasformare un’idea teorica in azioni concrete.

Ci sono punti di resistenza? Di che tipo – o in quali aree?
Indubbiamente per molte PMI un elemento di deterrenza è ancora la connotazione tecnologica degli interventi: e non riguarda solo i titolari ma (sembra incredibile) anche i dipendenti. Spesso è proprio la popolazione aziendale a mostrare resistenza alle tecnologie – anche se non saprei dire quanto sia reale e quanto psicologica: in fondo, anche non volessimo, siamo ormai pervasi dalle tecnologie, ci viviamo dentro. Forse è solo una umana resistenza al cambiamento facilmente superabile con il giusto affiancamento, usando dei modelli comunicativi nuovi per far adottare strumenti più flessibili.
Per le giovani generazioni, invece, le tecnologie rappresentano leve attrattive – vediamo ad esempio lo smart working, ora considerato punto focale in ottica retention.
Comunque la pandemia ha portato una accelerazione nella adozione di nuove tecnologie che sembrava impensabile due anni fa, e non solo nel lavoro da remoto riservato agli impiegati, ma anche nella popolazione operaia.

Quindi come affiancare le PMI nel loro percorso virtuoso verso il welfare?
Prima di tutto, bisogna capire le esigenze specifiche e in questa fase è rilevante effettuare una survey interna o organizzare focus group, poiché l’imprenditore presume ci siano certe esigenze, ma non è detto che le vere necessità siano quelle!
Poi va affiancato il dipendente: far accompagnare il progetto da un piano di comunicazione efficace consente di mettere tutti in condizione di poter sfruttare al meglio tutti i nuovi strumenti messi a disposizione massimizzando il ROI (Return on Investment).

Il metodo che applichiamo è riassumibile in cinque punti:
1.    ascolto e analisi interna dei bisogni e del contesto sociale;
2.    progettazione del piano “sartoriale” e regolamentazione dello stesso;
3.    piano di comunicazione e formazione dei soggetti beneficiari;
4.    gestione del piano e assistenza continuativa su tutte le aree;
5.    analisi annuale: feedback e interventi sulle possibili aree di miglioramento.

Un’ultima cosa, non meno importante: quali sono i “pilastri” del welfare aziendale, le aree in cui i benefit sono più richiesti – e apprezzati?
Analizzando come si sono orientate le scelte dei dipendenti nell’ultimo quinquennio, possiamo sicuramente annoverare tra i servizi di maggior interesse gli interventi a sostegno dell’istruzione dei figli e i servizi a tutela della salute – anche se, comprensibilmente, negli ultimi due anni il sostegno sanitario è stato importantissimo (vedi ad esempio per le cresciutissime liste d’attesa del servizio pubblico).
Al terzo posto metterei l’assistenza agli anziani, che nel pubblico vedono ancora molte carenze e molta frammentazione. Poi c’è l’assistenza ai minori che negli ultimi due anni ha forzatamente subito una forte riorganizzazione nelle famiglie che tipicamente si avvalevano dell’aiuto dei nonni per l’assistenza dei propri figli.
E poi eccoci alla previdenza complementare, questione sottovalutata e problematica… da sempre, e che vede ancora pochissima consapevolezza da parte dei lavoratori, specialmente nei più giovani, anche se non solo.

IL GENERALI WELFARE INDEX 2021

Il Generali Welfare Index 2021 evidenzia come i piani di welfare aziendale abbiano enormi impatti sociali non solo sui dipendenti delle singole realtà, ma anche sulla collettività, vedi:
•    il 92,2% delle imprese mette salute e sicurezza dei lavoratori fra i valori centrali della gestione d’azienda;
•    il 22% ha già attivato iniziative di salute e assistenza per i lavoratori e i familiari: ad esempio in ambito sanitario ben il 43,8% delle aziende ha introdotto prestazioni diagnostiche per il Covid-19, il 21,3 ha offerto servizi medici e di consulto anche a distanza e il 25,7% nuove polizze sanitarie;
•    il 56% delle imprese ha attivato iniziative a sostegno della propria comunità.

Nelle imprese più attive nel welfare:
•    la presenza femminile sale al 42% vs 32,5% (media);
•    la presenza femminile in ruoli di responsabilità arriva al 45,5% vs 36,2% (media);
•    ci sono state nuove assunzioni, 51,2% vs media 39,8%, contribuendo alla mobilità sociale di donne e giovani;
•    si sono proposte soluzioni per migliorare la conciliazione vita-lavoro, come una maggiore flessibilità oraria (35,8%) e attività di formazione a distanza (39%);
•    si sono attivate forme di sostegno nell’educazione scolastica dei figli (4,8%), oltre a bonus e aumenti temporanei della retribuzione (38,2%).


Se tutte le imprese italiane del settore privato adottassero piani di welfare aziendale, si potrebbe arrivare a un valore vicino ai 53 miliardi di euro, con un beneficio per le aziende pari a 34 miliardi considerando:
•    i vantaggi fiscali;
•    gli incrementi di produttività dovuti al maggior benessere e coinvolgimento dei dipendenti.
Passando ai singoli lavoratori, il beneficio corrisponderebbe quasi a una mensilità aggiuntiva per ogni anno, con un impatto totale di 19 miliardi di euro.

>>> L'intervista a Lucia Troilo è comparsa originariamente sul numero 74 di V+ magazine. Puoi scaricarlo, gratis e completo, qui. Per ricevere i prossimi numeri, iscriviti alla newsletter di V+ qui