GUERRA ALLA BUROCRAZIA
È PIÙ FACILE ELIMINARE UN’ORGANIZZAZIONE CHE CAMBIARLA, SOPRATTUTTO, RICORDA TOM PETERS, SE CHI SI TROVA AL VERTICE NON LASCIA IL SUO “UFFICIO DORATO” PER VIVERE LE PERSONE, I PRODOTTI, I CLIENTI
Intervista a Tom Peters
A CURA DELLA REDAZIONE
PER GENTILE CONCESSIONE DI WOBI
Questa intervista è stata effettuata qualche anno fa a Milano a Tom Peters, il grande consulente di business americano. Ma è attualissima e siamo sicuri piacerà ai lettori di V+.
Peters nasce a Baltimora nel 1942. Consegue un MBA e un PHD alla Stanford Business School. Per sette anni lavora alla McKinsey e poi diventa un consulente indipendente. In realtà è un consulente un po’ speciale, più viscerale che cerebrale. Non intendiamo sottovalutare il suo dottorato alla Stanford University e i suoi anni nella torre d’avorio di McKinsey, o il suo enorme contributo alla teoria e alla pratica del management, iniziato con la pubblicazione del best seller In Search of Excellence. Ma, come vedrete, ricorda un po' gli evangelisti.
Come loro, Tom trasforma la vita delle persone. Come loro trasferisce profondi e appassionati concetti.
Lotta da sempre contro la burocrazia, quel malanno delle organizzazioni che fa perdere di vista i loro scopi, che privilegia le attività sui risultati e che alligna soprattutto nelle grandi aziende.
Che cosa può dirci sul tema specifico della burocrazia, soprattutto nelle grandi aziende?
È sorprendente quanto scadenti siano le grandi aziende.
Spero che voi troviate l'episodio che sto per raccontarvi divertente quanto lo trovo io. Un aspirante imprenditore chiede a un consulente: «Che cosa devo fare per crearmi una piccola azienda?». La risposta che riceve è ovvia: «Compra una grande azienda e aspetta!».
Le grandi aziende non funzionano nel lungo periodo. Non voglio addentrarmi nei dettagli, ma se diamo uno sguardo alla lista prodotta dalla rivista Forbes nel 1917 delle prime aziende americane di quel momento, le 100 più potenti aziende della più grande economia del mondo, che sarebbero dovute durare per sempre, e la confrontiamo con quella prodotta sempre da Forbes settanta anni dopo, scopriamo che 61 sono morte, 39 sono ancora in vita, ma solo 18 rimangono nella lista delle prime 100 e hanno comunque fatto peggio del mercato. Soltanto due hanno fatto meglio: General Electric e Kodak. Negli ultimi anni però anche Kodak è scomparsa e così siamo scesi a una.
Ma voglio rinforzare il concetto della rapidità con cui le grandi aziende cadono, specialmente quando la concorrenza si fa più accanita. Questa situazione non è soltanto americana. Due settimane fa ero a Seul, in Corea. Delle 100 aziende coreane più importanti di 50 anni fa, solo 7 sono sopravvissute; e ciò dice che forse il fenomeno è addirittura più coreano che americano.
Facciamoci allora qualche altra risata. Kevin Kelly, che è un profeta della nuova economia, ha detto che generalmente è più facile eliminare un’organizzazione piuttosto che cambiarla. Questo è assolutamente vero; e in secondo luogo è un concetto insito nelle nostre carriere e nelle nostre aziende, piccole o grandi che siano, a meno che si realizzino cambiamenti radicali. Se guardiamo alle poche aziende sopravvissute, ci accorgiamo che l'affermazione è assolutamente corretta!
Ritengo che qualunque organizzazione, sia che si tratti del reparto amministrativo di una piccola azienda con sedici dipendenti o di una grande azienda con sedicimila dipendenti, debba sostituire in fretta il CEO o riclassificarlo come CDO, cioè “Chief Destruction Officer”: sì, avete capito bene, egli deve essere pagato per fare letteralmente esplodere l’organizzazione, cambiandola radicalmente prima che ci riesca la concorrenza.
Come curare questo male subdolo e terribile? Sappiamo che la sua ricetta parte prima di tutto dal suggerimento che chi ha la responsabilità dell’azienda viva in prima linea per percepire il cambiamento, lasci il suo “ufficio dorato” per vivere in mezzo alle sue persone, per assistere la sua organizzazione, formarla, curarla e confortarla. È così?
C’è un americano di nome Howard Schultz che ama moltissimo il caffè e pensa che a quelli a cui piace il caffè deve piacere quello che piace a lui. E così ha creato un’azienda, Starbucks, che ha undicimila bar e conta di arrivare a cinquantamila nei prossimi dieci anni. Mister Schultz è un miliardario, dirige una grande azienda, eppure – quasi in modo religioso – visita fisicamente un minimo di venticinque negozi alla settimana. La sua è una grande azienda, può contare su uno staff numeroso e di grande qualità, gli vengono inviate migliaia di pagine di analisi ogni settimana. Ma dice: “Non m’importa quanto siamo grandi: la nostra realtà è quella di un dipendente che vende una tazza di caffè a un cliente alla volta, e se per leggere quelle migliaia di pagine di informazioni e analisi, io non posso vedere, assaggiare e sentire l’aroma del mio caffè, che vendo a Pechino o a Londra o a Seattle, dove ho cominciato, c’è qualcosa di sbagliato!”. Sono quasi imbarazzato a dire queste cose perché sono davvero ovvie – d’altro canto mi sono reso conto con l’esperienza di essere pagato per dire cose ovvie! C’è da dire, però, che qualche volta mi annoio, e se mi annoio comincio a complicare le cose. E se le complico, finisco con il dimenticare che se Schultz smette di visitare 25 bar alla settimana, la sua azienda comincia a declinare!
Io sono vissuto per trent’anni in Silicon Valley. Lì è stata inventata internet. In realtà è nata in Europa, ma a Silicon Valley hanno inventato come commercializzarla. In questo contesto, Fred Johnson è un “venture capitalist” che ha avuto un successo incredibile. Ha inventato la “regola dei venti minuti”: in base a questa regola egli non dà mai denaro ad aziende che non siano a più di venti minuti d’auto dalla sua sede. Perché dice ciò che Schultz dice: “Ho bisogno di essere intimamente, fisicamente coinvolto con quella persona alla quale ho staccato un assegno di 5 milioni di dollari e ho bisogno di fermarmi la mattina a incontrarlo quando vado al lavoro”.
Uno dei miei amici, che è anche lui un “venture capitalist” a Silicon Valley, ribadisce sempre: “La maniera in cui seguo le mie aziende è di passare nella loro sede alle cinque del mattino e se non trovo sufficienti automobili nel parcheggio, ritiro il mio danaro”.
Ricordate sempre Howard Schultz, ricordate i venture capitalist… e ricordate il problema che la maggioranza di noi ha: noi siamo occupatissimi, sediamo nei meeting, guardiamo slide e grafici e, senza averne l’intenzione, perdiamo di vista le persone, i prodotti, i clienti, l’esecuzione, l’entusiasmo, l’eccellenza. Questa è una lista straordinaria, ma interessa poco il capo dell’azienda se è un contabile. Ora i contabili sono di importanza vitale per contare le cose, ma dovrebbero essere tenuti lontani dalla posizione esecutiva di una azienda. Sono eccezionali per minimizzare i costi, ma non sanno niente di come aumentare i ricavi. Non promuovete mai il Chief Financial Officer a Chief Executive Officer. Occorrono nelle aziende straordinari uomini di finanza e amministrazione, ma non per metterli a capo. Ricordatevelo.
Il mondo cambia continuamente. Il cambiamento adesso si è accelerato e le aziende devono assolutamente dedicarsi a due cose fondamentali: l’eccellenza e l’innovazione. Ci può dire qualcosa di più su questo concetto?
Eccellenza e innovazione: o innovi o muori. Charles Darwin l’ha detto brillantemente 150 anni fa. Non è il più forte che sopravvive, e l’abbiamo visto con le grandi aziende, non è il più intelligente, ma è quello più rapido ad adeguarsi al cambiamento.
L’intelligenza è troppo sopravvalutata. Non voglio difendere gli stupidi, ma voglio dire che le persone più intelligenti che conosco sono quelle che analizzano e comprendono tutti gli 83 aspetti di una questione, eppure hanno il problema che non fanno nulla al riguardo. L’eccellenza e l’innovazione hanno bisogno di azione.