UN'ESPERIENZA RELIGIOSA: L'INNOVAZIONE PER GUY KAWASAKI
DISCEPOLO DI STEVE JOBS E APOSTOLO DEL CULTO DELLA MELA, CREDE FORTEMENTE NEL POTERE DEL MARCHIO, CHE NON DEVE AVERE COMPRATORI, MA “FEDELI”. DIFFONDERE QUESTA DEVOZIONE (EVANGELIZZARE, DUNQUE) VUOL DIRE VENDERE
A CURA DELLA REDAZIONE
PER GENTILE CONCESSIONE DI WOBI
Nel giugno del 1995 Apple Computer Inc. annunciava che Guy Kawasaki era stato nominato membro del prestigioso programma “Apple Fellows”.
Il programma Apple Fellows riconosce i meriti di quei rari individui che hanno dato uno straordinario contributo tecnico o di leadership al personal computing. Ogni Apple Fellow agisce come leader e come uomo di visione, guidando la sua azienda nella sua particolare area di expertise. Kawasaki, noto manager, imprenditore e saggista statunitense, ha giocato un ruolo particolarmente importante nell’“evangelismo” del computer Apple Macintosh e del suo software.
Che cos’è l’evangelismo? Oltre a essere la predicazione del Vangelo, esso è inteso oggi anche come la pratica di diffondere ad altri informazioni su un particolare insieme di convinzioni, con l’obiettivo della loro conversione.
L’accostamento all’evangelismo è appropriato nel caso di Apple, in quanto l’attitudine dei suoi simpatizzanti è vista da molti come tipica dei seguaci di un culto. E infatti il termine “culto di Mac” è spesso usato per descrivere questo gruppo.
Ma torniamo a Kawasaki.
Durante gli anni di appartenenza ad Apple (dal 1983 al 1987 e dal 1995 al 1998), Kawasaki ha sviluppato il programma software “evangelico” per il computer Macintosh come direttore dello Sviluppo prodotti. Egli è stato uno degli uomini chiave responsabili del lancio del primo computer Macintosh nel 1984 e in quel ruolo ha affermato il termine “software evangelist” nel suo sforzo, coronato da un grande successo, di sostenere gli sviluppatori del software Macintosh. La sua funzione è stata quella di persuadere le imprese a sottoscrivere software per Mac, con l’intenzione di ampliare la base di fedeli del prodotto e di preservare il “culto Macintosh”. Attualmente è Ceo della società Garage Technology Ventures ed è un vero apostolo dell’innovazione.
Secondo Kawasaki, i marchi non dovrebbero avere “compratori”, bensì credenti: l’unica forma per raggiungere il successo nel lungo periodo è costruire una base solida di discepoli che amino il marchio e, contemporaneamente, trasmettano questa devozione ad altri.
Talento, passione, comunicazione. Non c’è molto di più. Kawasaki è categorico quando parla di come creare una cultura innovatrice. Nella maggioranza dei casi la cultura giunge dall’alto, dal fondatore: «Steve Jobs esercitava un incanto speciale per i consumatori. Si trovava in una situazione perfetta, non solo costruiva eccellenti prodotti, ma si circondava anche di persone che desideravano cambiare il mondo, adoravano le sue idee ed erano disposte a evangelizzare».
La vera innovazione è il risultato dell’empatia che si stabilisce fra l’organizzazione e i suoi clienti. Un’azienda che impara a “vivere” la vita dei suoi consumatori e ad analizzare i loro problemi nel contesto svilupperà l’abilità di creare grandi prodotti, fortemente desiderati dai clienti, quasi senza sapere che cosa desiderino.
Le grandi corporazioni hanno il problema del bilancio trimestrale, che devono presentare ai loro azionisti. Poiché la maggioranza delle innovazioni non si realizza nell’ambito di un trimestre, esse preferiscono apportare solo qualche modesto miglioramento al prodotto, ma senza lasciare la curva su cui il prodotto si evolve. E invece bisogna “saltare le curve”, ideare qualcosa che rappresenti una discontinuità nello sviluppo.
Il ruolo chiave è quello del Ceo: deve capire che se non innova, la sua azienda morirà. Infatti è assolutamente probabile che in qualche garage o in qualche aula universitaria ci siano due giovani, inesperti, ma audaci e creativi, che stiano lavorando al nuovo prodotto che nel prossimo futuro competerà con gli attuali leader del mercato. In questo modo sono nate Apple, Yahoo, Google, Cisco e molte delle storie di successo di Silicon Valley.
Kawasaki assicura che il 95% di ciò che ha appreso sull’innovazione lo deve a Jobs: «Steve ha esercitato una grande influenza su di me. Mi ha insegnato che bisogna circondarsi di persone migliori, ma che amino il prodotto. Mi ha insegnato ad apprezzare l’interfaccia con l’utente, a sfidare lo status quo, cercando di lasciare un segno nell’universo, come era solito dire».
Dei dieci libri che Kawasaki ha scritto fra il 1990 e il 2011, va menzionato l’ultimo, Enchantment, sul tema dell’evangelizzazione e dell’incantesimo. In questo libro spiega come sedurre i clienti e come stabilire con loro una relazione empatica di mutuo beneficio, che risulti duratura e profonda, la radice del culto del marchio. Ancora una volta sulla falsariga di ciò che fa Apple.
«Apple non vende computer, seduce e convince con l’obiettivo che ciascuno crei nell’ambito della propria visione del mondo. Certo che Apple vende i suoi prodotti. Ma questo approccio la differenzia dalle imprese che si prefiggono come unico obiettivo quello di fare la transazione. Le aziende che esistono solo per fare fatturato, difficilmente sono “incantatrici”. Ciò non significa che non siano di successo, ma certo non generano fedeli clienti capaci di trascorrere una notte intera in coda per acquistare il loro nuovo prodotto, che spesso neppure conoscono».
La capacità di seduzione di Apple le ha permesso di crescere continuamente partendo da un fattore chiave della sua storia di successi: il lancio dei prodotti. Ma, dice Kawasaki, «l’innovazione non è un evento isolato, bensì un processo. Ciò significa che per entrare nel mercato non devi aspettare di avere prodotti perfetti. La prima versione di tutta l’innovazione poche volte è quella ideale. Se l’azienda attende fino a quando tutto sia perfettamente a posto, non lancerà nulla e il mercato la scavalcherà. Jobs aveva la capacità di prevedere il potenziale commerciale di un prodotto, anche se non era ancora perfetto. Quando lanciò Macintosh, il concetto di interfaccia grafica era tecnicamente già pronto in aziende come PARC e Altos Computer Systems, ma mentre queste erano abili nella ricerca e nella sperimentazione, Apple aveva il know-how del lancio e della distribuzione, che a loro mancava. Ricordate che si apprende di più mettendo il prodotto sul mercato e ascoltando le critiche reali, piuttosto che lavorando in laboratorio e supponendo di sapere ciò che il consumatore desidera».
Kawasaki crede che questo sia il momento più propizio nella storia per imparare dai consumatori, grazie ai “social media”. «Si pensi a Twitter, Facebook e Google Plus: sono gratuiti, promuovono contatti immediati con i consumatori, sono onnipresenti, 900 milioni di persone su Facebook, 200 milioni su Twitter, 60 milioni su Google Plus. La tecnologia ci ha dato la possibilità di raggiungere ogni singolo cliente in un istante; la situazione non potrebbe essere migliore.
Create un prodotto, vendetelo, miglioratelo e vendetelo ancora, e poi create qualcosa che faccia sembrare obsoleto quello che avete ideato finora».