IL NEGOZIO CHE C'È E... NON C'È
Si chiamano “vetrine a tempo” e restano visitabili dai clienti solo per pochi giorni o qualche mese. Simbolo di un’economia “liquida” e in movimento, la loro apertura viene attesa in tutto il mondo come un evento unico e inedito
In questo periodo di crisi una nuova strategia di marketing sta prendendo piede nel settore del commercio: si tratta dei cosiddetti “temporary shop”.
Le strutture sociali stanno diventando sempre più fluide, impalpabili, e tutto si fa più rapido, dissolvendosi e ricostruendosi da un giorno all’altro. I sistemi, di qualunque tipo essi siano, risentono di questo mutamento; l’economia, prima fra tutti, rispecchia la tendenza. Ed è in un contesto così “sfuggente” che il mercato cambia forma, si adatta alle nuove regole e diventa momentaneo, transitorio, “temporary”, per l’appunto.
Cosa sono?
Si tratta di negozi con un periodo di apertura limitato e prestabilito. Questo lasso di tempo può variare dai pochi giorni a diverse settimane, fino a un massimo di tre mesi, con tanto di countdown a vista a scandire le ore, i minuti e i secondi che mancano alla chiusura.
Quando nascono?
L’antesignano in Italia è stato Levi’s, che nel 2003 a Milano ha testato la formula proveniente dagli Stati Uniti. Il pubblicitario Russel Miller fu il primo a sperimentarla con successo a New York in un loft di 400 metri quadri.
Le radici del “temporary shop”
In italiano la parola “temporary shop” si traduce con “esercizi di vicinato temporanei”, e a essi sono assimilate anche quelle bancarelle che spuntano durante le feste patronali. In effetti il concetto è lo stesso: le bancarelle sono autorizzate a vendere solo per il periodo della festa, quindi sono dei negozi a tempo determinato. Ciò di cui sono prive è il meccanismo del countdown, presente invece nelle vetrine dei negozi “temporary”.
Il segreto del successo
Il fenomeno dei temporary shop è, forse, l’espressione più immediata di un’economia “liquida”, poiché rende reale e visibile l’aspetto provvisorio e precario del mercato. Il successo di questa formula di vendita è decretato dall’effettivo risparmio che ne deriva per il cliente, e dal fatto che la “comparsa” delle “vetrine a tempo” si trasforma di volta in volta in un evento atteso. La novità c’è, la convenienza anche, e questa combinazione sembra essere ancora più vincente se si pensa allo scenario economico “critico” che si profila dietro a questo nuovo tipo di offerta. Secondo gli psicologi sarebbe merito di un meccanismo di “ansia” propulsore di curiosità, che spingerebbe le persone “shopping addicted” (“dipendenti da shopping”), ma non solo, a correre letteralmente a visitare lo shop, a prescindere che poi si acquisti o meno il prodotto. Così viene rilasciato, anche se inconsciamente, un feedback positivo al brand. Secondo invece gli uomini del marketing, il gioco forza risiederebbe nella sensazione che si ha varcando la soglia di questi store a tempo: ci si sente, infatti, come se si stesse prendendo parte a un evento unico e inedito.
Il marketing e l’advertising
Lo scopo dei “temporary shop” è lo stesso che può avere una tradizionale campagna pubblicitaria, ma l’effetto finale è molto più coinvolgente. La comunicazione è fondamentale per ottimizzare l’apertura del negozio di poche settimane, apertura che deve essere pubblicizzata come qualcosa di irripetibile. Per le piccole e medie imprese può servire da test prima dell’avviamento di un vero negozio; per quelle più grandi diventa una strategia di marketing per testare nuovi prodotti e distribuire linee esclusive. Capita così che l’Oreal apra dei negozi per cinque settimane in zone di villeggiatura alla moda, o che a Treviso ci sia Loft, un “temporary shop” di abbigliamento fashion. Capita anche che Nike predisponga di negozi in giro per Tokio solo per un paio di mesi, e che un punto vendita di Target rimanga visitabile per un mese e mezzo nel Rockfeller Center, per poi chiudere e rispuntare su un battello nel bel mezzo del fiume Hudson, sempre a New York. O infine, per restare nella Grande Mela, che per sole nove settimane la compagnia aerea Song installi nel quartiere di SoHo un negozio in cui, fra le altre cose (gadget, menù, ecc.), si vendono anche biglietti aerei.